N. 137 - Maggio 2019
(CLXVIII)
Le inclinazioni filorusse dei sovranisti euroscettici
SULLA DESTRA ESTREMA in EUROPA
di Leila
Tavi
Negli
ultimi
tempi
i
partiti
di
estrema
destra
hanno
registrato
all’interno
dell’UE
largo
consenso.
Il
caso
più
clamoroso
è
stato
quello
della
Lega
in
Italia
alle
recenti
elezioni
europee,
che
dai
cinque
seggi
a
Strasburgo
del
2014
è
passata
a
ventinove
dopo
le
consultazioni
del
28
maggio
2019.
In
Francia
avanza
Rassemblement
National
(RN),
guidato
da
Marie
Le
Pen,
che
ha
ottenuto
ventidue
seggi,
staccando
di
poco
La
République
en
marche
(LaMAR),
il
partito
del
presidente
François
Macron,
che
conquista
ventuno
seggi,
ma
che
avrà
dopo
la
Brexit
lo
stesso
numero
di
seggi
di
RN,
corrispondente
a
ventitré.
Spicca
in
Gran
Bretagna
il
risultato
del
Brexit
Party
di
Nigel
Farage,
fondato
solo
poche
settimane
fa,
che
ha
ottenuto
il
31%
dei
voti,
attestandosi
come
primo
partito
e ha
rappresentato
una
conferma
del
fatto
che
il
popolo
britannico
di
voler
uscire
dall’UE.
In
Polonia
il
partito
di
destra
radicale
Diritto
e
Giustizia
(Prawo
i
Sprawiedliwość,
PiS)
ha
ottenuto
il
43%,
superando
di
cinque
punti
il
cartello
di
partiti
di
opposizione
chiamato
Coalizione
Europea,
ma,
mentre
Salvini
si
distingue
come
uno
dei
leader
europei
più
spiccatamente
filorussi,
Jarosław
Kaczyński
e il
suo
partito
sono
profondamente
diffidenti
nei
confronti
di
Mosca.
Quanto
a
Fidesz,
Viktor
Orbán
non
vuole
voltare
le
spalle
al
potente
Partito
popolare
europeo,
che
gli
garantisce
un’influenza
di
gran
lunga
maggiore
rispetto
al
gruppo
di
Salvini.
Nel
complesso
poi
gli
equilibri
nel
Parlamento
europeo
non
sono
cambiati
in
modo
radicale:
la
compagine
socialista
è
passata
da
186
a
183
seggi,
il
centro-destra
con
i
popolari
resta
la
prima
forza,
pur
scendendo
da
217
a
179
seggi,
mentre,
sommando
i
seggi
conquistati
da
tutte
le
formazioni
di
populisti
(EFD)
e di
nazionalisti
(ENF)
si
arriva
a
112
eurodeputati.
Come
si
può
vedere
dal
grafico
che
mostra
l’affluenza
alle
urne,
la
percentuale
di
cittadini
che
sono
andati
a
votare
per
queste
consultazioni
del
2019
è
alta
solo
per
il
Belgio
e
per
il
Lussemburgo,
seguiti
da
Malta.
Per
il
resto
dei
Paesi
membri
dell’UE
a
malapena
si
supera
il
50%
in
alcuni
casi,
mentre
per
l’Europa
centro-orientale
abbiamo
percentuali
molto
basse
come
quelle
della
Croazia,
della
Repubblica
Ceca,
della
Slovacchia
e
della
Slovenia.
Dopo
i
verdi,
la
destra
estrema
rappresenta
in
Europa
la
vera
novità
politica,
ma,
nonostante
il
numero
dei
seggi
in
aumento,
le
elezioni
europee
del
2019
non
hanno
segnato
il
trionfo
annunciato
da
populisti
e
nazionalisti,
che
in
controtendenza
sono
in
calo
in
Danimarca
e in
Austria,
dove
l’FPÖ
(Freiheitliche
Partei
Österreichs
-
Partito
della
libertà
austriaco),
travolto
da
un
enorme
scandalo
di
corruzione,
non
ha
superato
i
tre
seggi.
Lo
“scandalo
Ibiza”,
o
Ibiza-Affäre
in
tedesco,
ha
coinvolto
il
leader
del
partito
Heinz-Christian
Strache
e
Johann
Gudenus,
ex
vice
sindaco
di
Vienna,
che
la
sera
del
24
luglio
del
2017
hanno
trascorso
una
piacevole
serata
d’estate
in
una
lussuosa
villa
nei
pressi
di
Ibiza,
tra
champagne,
tartare
di
tonno
e
sushi,
discorrendo,
tra
gli
altri,
con
un’avvenente
donna
russa
e
un’altra
di
origini
serbe,
identificata
successivamente
come
Tatjana
Gudenus,
moglie
del
politico
dell’FPÖ.
Argomenti
della
discussione
sono
stati:
licenze
per
vari
casinò,
come
aggiudicarsi
un
contratto
per
l’ampliamento
della
rete
autostradale
in
Austria,
la
vendita
di
un
albergo
di
lusso
storico,
si è
parlato
addirittura
dell’acquisizione
della
Kronen
Zeitung,
un
tabloid
molto
letto
in
Austria,
tutto
a
beneficio
di
un
investitore
russo,
in
cambio
di
finanziamenti
all’FPÖ.
È
utile
far
notare,
che
Gudenus
ha
imparato
a
scuola
la
lingua
russa
e si
recato
con
regolarità
nella
capitale
russa
per
partecipare
alle
summer
school
dell’Università
Statale
di
Mosca
dal
1995
al
2003,
quando
studiava
legge
a
Vienna,
perfezionando
il
russo
e
acquisendo
nel
2004
una
certificazione
di
lingua.
Nel
2005,
durante
gli
studi
all’Accademia
Diplomatica
di
Vienna
per
conseguire
il
Master
of
Advanced
International
Studies,
Gudenus
ha
vissuto
in
Russia
per
circa
un
anno,
frequentando
contemporaneamente
anche
l’Accademia
Diplomatica
del
Ministero
degli
Esteri
russo.
All’inizio
del
2010,
Gudenus
ha
intrecciato
relazioni
con
Nathalie
Holzmüller,
di
origine
russa
e
trasferitasi
in
Austria
dal
1991
che
ha
lanciato
nel
2007
il
Russische
Ball,
una
cena
e un
ballo
sociali
che
che
è
organizzato
una
volta
l’anno
all’Hofburg
con
l’obiettivo
di
promuovere
la
cultura
russa
e
gli
interessi
politici
russi
in
Austria.
Nel
corso
degli
anni
il
Russische
Ball
è
diventato
un
punto
d’incontro
per
politici,
uomini
d’affari,
diplomatici
e
intellettuali
russi
e
filo-russi.
Holzmüller
anche
ha
lanciato
un
altro
progetto,
The
Faces
of
Russia,
con
l’obiettivo
di
far
incontrare
persone
e
personalità
in
vista
sulla
base
dell’interesse
per
la
Russia,
della
sua
storia
e
della
sua
cultura.
Gudenus
è
diventato
ospite
regolare
del
Russische
Ball
e
delle
serate
tenute
tre
volte
all’anno
nell’ambito
del
progetto
The
Faces
of
Russia.
Inoltre,
a
detta
della
stessa
Holzmüller,
l’FPÖ
è
diventato
uno
degli
sponsor
principali
delle
sue
serate.
Tre
mesi
dopo
l’incontro
di
Ibiza,
l’FPÖ
ha
ottenuto
un
buon
risultato
alle
votazioni
della
Camera
bassa
austriaca
(Nationalrat)
ed è
entrato
nella
coalizione
di
governo,
con
Strache
come
persona
influente
del
neo
eletto
cancelliere
Sebastian
Kurz
e
del
suo
partito
conservatore,
il
Partito
Popolare
Austriaco
(Österreichische
Volkspartei,
ÖVP).
Recentemente
sono
stati
resi
pubblici
i
video
e le
registrazioni
audio
delle
conversazioni
intercorse
tra
i
due
politici
e la
presunta
donna
russa,
Aljona
Makarova
(Aлёна
Mакарова),
che
sosteneva
di
avere
anche
la
cittadinanza
lettone
e
fingeva
di
essere
la
nipote
di
un
ricco
oligarca
russo
vicino
a
Putin,
con
capitali
per
oltre
duecentocinquanta
milioni
di
euro
che
non
potevano
essere
depositati
in
banca,
perché
provenienti
da
traffici
illegali.
Alla
metà
di
maggio,
qualche
giorno
prima
delle
elezioni
europee
del
2019,
per
l’importanza
politica
e
l’interesse
pubblico
del
materiale
filmato
a
Ibiza
la
sera
del
24
luglio
2017,
DER
SPIEGEL
e
Süddeutsche
Zeitung
hanno
deciso
di
pubblicare
il
contenuto
delle
conversazioni
tra
la
Makarova
e i
due
esponenti
dell’FPÖ.
Lo
scandalo
ha
avuto
delle
conseguenze
per
la
coalizione
nero-blu,
con
il
cancelliere
Kurz
che
è
stato
sfiduciato
dal
Parlamento
austriaco,
a
seguito
del
voto
sulla
mozione
di
sfiducia
promosso
dal
partito
socialdemocratico
dopo
lo
scandalo
che
ha
travolto
l’ex
vice
Strache.
La
mozione
è
andata
in
porto
grazie
all’insolita
convergenza
fra
gli
stessi
deputati
dell’FPÖ
e i
socialdemocratici
(Sozialdemokratische
Partei
Österreichs,
SPÖ),
che
insieme
dispongono
della
maggioranza
assoluta.
La
manovra
non
ha
stravolto
però
l’assetto
politico
del
Paese,
con
il
Partito
popolare
del
conservatore
Kurz
che
ha
vinto
le
elezioni
europee
con
il
35%
dei
voti,
nonostante
il
terremoto
politico
seguito
allo
scandalo
dell’Ibiza-gate.
Non
c’è
stato
neanche
un
crollo
dell’FPÖ,
che
ha
ottenuto
alle
urne
il
17,2%
dei
voti.
Per
le
elezioni
anticipate
è
probabile
che
la
leadership
dell’FPÖ
passi
a
Norbert
Gerwald
Hofer,
che
è
stato
ministro
dei
Trasporti,
dell’Innovazione
e
della
Tecnologia
durante
il
governo
Kurz
e
che
aveva
sfidato
nel
2016,
in
una
lunga
campagna
elettorale
durata
quasi
un
anno,
il
verde
Alexander
Van
der
Bellen,
l’attuale
presidente
della
Repubblica.
L’esempio
austriaco
ci
mostra
come
l’influenza
russa
sia
forte
nella
politica
interna
dei
singoli
Paesi
dell’UE,
anche
se
in
questo
caso
si è
trattato
di
una
trappola
con
cui
attirare
i
maggiori
esponenti
dell’FPÖ
in
uno
scandalo
elettorale.
Ci
sono
Paesi
dell’UE
in
cui,
invece,
partiti
di
estrema
destra
finanziati
dal
Cremlino
non
hanno
conquistato
nessun
seggio,
avendo
ottenuto
consensi
al
di
sotto
della
soglia
di
sbarramento
fissata
al
5%,
tra
cui:
il
Volja
bulgaro
(Воля
-
Volontà),
lo
slovacco
Sme
Rodina
(Siamo
una
famiglia)
e il
PVV
olandese
(Partij
voor
de
Vrijheid
-
Partito
per
la
Libertà),
mentre
gli
estoni
di
Ekre
hanno
ottenuto
un
solo
seggio,
ma
in
questo
caso,
per
ragioni
storiche,
non
possiamo
parlare
di
un
partito
filorusso.
Pertanto
la
conquista
dei
partiti
di
estrema
destra
del
Parlamento
europeo
non
è
avvenuta,
come
è
possibile
osservare
dal
grafico
seguente,
che
mette
a
confronto
le
elezioni
del
2014
e
quelle
del
2019.
Durante
la
campagna
elettorale
che
ha
preceduto
le
ultime
consultazioni
europee
non
abbiamo
assistito
neanche
ai
tanto
temuti
attacchi
alla
democrazia
occidentale
da
parte
del
governo
russo
attraverso
disinformazione
e
hacker.
Il
presunto
bombardamento
con
fake
news
da
parte
di
hacker
assoldati
dal
Cremlino
per
pilotare
le
preferenze
degli
elettori
europei
verso
partiti
filorussi,
tra
cui
possiamo
annoverare
anche
il
Movimento
5
Stelle
al
di
fuori
della
compagine
di
estrema
destra,
non
ha
sortito
effetti
eclatanti,
se
non
un’ulteriore
chiusura
da
parte
del
popolo
russo
nei
confronti
delle
istituzioni
occidentali,
presentati
dai
media
locali
come
“nemici
della
Russia”.
Eclatante
è
stato
il
caso
di
Jens
Stoltenberg,
segretario
generale
della
NATO,
che
ha
rilasciato
un’intervista
al
settimanale
tedesco
Welt
am
Sonntag,
pubblicata
il
26
maggio
2019,
la
domenica
delle
elezioni
europee,
in
cui
Stoltenberg
mette
in
guardia
da
Mosca,
che
“interferisce
deliberatamente
nelle
nostre
democrazie”,
informando
i
lettori
che
un
gruppo
di
esperti
della
NATO
ha
incontrato
alcuni
esperti
informatici
dell’UE
alcune
settimane
prima
delle
elezioni
europee
per
scambiarsi
“informazioni
in
tempo
reale
su
malware
e
attacchi
informatici”.
Anche
se
possiamo
rilevare
che
la
varietà
di
risorse
con
cui
il
Cremlino
fa
informazione
in
casa
e
all’estero,
in
particolar
modo
con
i
canali
Russia
Today
e
Sputnik,
combinate
al
supporto
mediatico
ottenuto
attraverso
i
social
network
che
ricevono
dagli
elementi
radicali
della
destra
occidentale,
rappresentano
una
pericolosa
alternativa
ai
tradizionali
media
mainstream
occidentali
a
livello
internazionale.
Durante
la
stessa
campagna
elettorale
europea
i
principali
media
occidentali
da
El
País
all’Indipendent,
da
The
New
York
Times
a
CNN,
da
The
Guardian
a
Der
Spiegel,
da
Euronews
a
Deutsche
Welle,
da
Le
Figaro
a
Naftemporiki,
hanno
denunciato
le
fake
news
pubblicate
da
siti
e
social
media
legati
alla
destra
radicale
nei
diversi
Paesi
dell’UE,
decisivo
è
stato
alla
lotta
alla
propaganda
e
alla
disinformazione
l’apporto
di
Avaaz,
l’organizzazione
non
profit
lanciata
negli
Stati
Uniti
nel
gennaio
2007
e
divenuta
in
poco
tempo
una
rete
mondiale,
che
promuove
l’attivismo
globale
su
temi
quali
il
cambiamento
climatico,
i
diritti
umani,
i
diritti
degli
animali,
la
corruzione,
la
povertà
e i
conflitti.
Dal
suo
quartier
generale
a
Bruxelles,
Avaaz
ha
fatto
investigare
la
rete
da
trenta
“elfi”,
in
contrasto
con
i
“troll”,
che
hanno
identificato
e
segnalato
agli
amministratori
di
Facebook
una
vasta
rete
di
disinformazione
all’interno
dell’UE.
Avaaz
ha
inviato
a
Facebook
oltre
settecento
pagine
di
analisi
dettagliate,
mostrando
come
queste
reti
della
destra
estrema
funzionano,
si
coordinano,
e
utilizzano
profili
falsi
per
fare
propaganda
e
disinformazione.
Grazie
alle
segnalazioni
di
Avaaz
sono
state
chiuse
pagine
che
in
totale
hanno
raggiunto
oltre
tre
miliardi
di
visualizzazioni
in
un
solo
anno.
Sicuramente
la
destra
estrema
europea
ha
preso
a
modello
la
fabbrica
di
Troll
di
San
Pietroburgo,
la
Internet
Research
Agency.
Secondo
Alijna
Poliakova,
che
è
David
M.
Rubenstein
Fellow
al
Foreign
Policy
program’s
Center
on
the
United
States
and
Europe
and
Security
and
Strategy
team
della
Brookings
Institution
e
professore
a
contratto
di
European
studies
alla
Paul
H.
Nitze
School
of
Advanced
International
Studies
(SAIS)
della
Johns
Hopkins
University,
sotto
“il
vigile
occhio”
del
presidente
russo
Vladimir
Putin,
il
governo
russo
ha
sviluppato
dal
suo
primo
mandato
del
2000
a
oggi
una
serie
di
strumenti
in
ambito
politico,
economico,
militare
e
dell’informazione
a
sostegno
della
politica
estera
russa.
Questo
“toolkit”
è
stato
recepito
con
favore
in
un
primo
momento
dalla
destra
estrema
in
Europa
centro-orientale,
che
soprattutto
negli
anni
più
recenti
ha
sostenuto
le
azioni
militari
russe,
come
il
conflitto
tra
Georgia
e
Ossezia
del
Sud
nell’agosto
del
2008;
sostegno
dimostrato
con
i
frequenti
incontri
a
Mosca
tra
tra
il
2012
e il
2013
tra
esponenti
del
governo
russo
e
leader
dei
partiti
della
destra
estrema,
come
Jobbik
(Jobbik
Magyarországért
Mozgalom
-
Movimento
per
un’Ungheria
Migliore),
o il
partito
neo-nazzista
bulgaro
Ataka
(Национален
Съюз
Атака,
Nacionalen
Săjuz
Ataka
-
Unione
Nazionale
Attacco).
Successivamente
alla
Perestrojka
(перестройка)
di
Michail
Gorbačëv
(Михаил
Сергеевич
Горбачёв)
e
alla
relativa
liberalizzazione
politica
dell’Unione
Sovietica,
con
la
conseguente
apertura
all’Occidente,
i
politici
russi
iniziarono
a
intrecciare
rapporti
con
le
loro
controparti
occidentali.
Nel
corso
del
primo
governo
russo
post-sovietico
del
presidente
Boris
Eltsin
(Бори́с
Никола́евич
Е́льцин),
i
contatti
con
le
organizzazioni
politiche
europee
si
intensificarono.
Durante
la
presidenza
Eltsin,
gli
ultranazionalisti
russi
che
erano
all’opposizione
svilupparono
relazioni
con
attivisti
e
organizzazioni
di
estrema
destra
occidentali,
influenzati
in
modo
particolare
da
tre
politici
russi
di
estrema
destra,
Aleksandr
Dugin
(Алекса́ндр
Ге́льевич
Ду́гин),
Vladimir
Žirinovskij
(Влади́мир
Во́льфович
Жирино́вский)
e
Sergey
Glaz’ev
(Серге́й
Юрьевич
Глазьев).
Nel
1990
Dugin
frequentava
Claudio
Mutti,
intellettuale
ed
editore
di
estrema
destra,
considerato
discepolo
di
Jean
Thiriart.
Mutti
ha
pubblicato
la
versione
italiana
del
libro
di
Dugin
Continente
Russia.
Molte
sono
state
nella
prima
parte
degli
anni
Novanta
le
frequentazioni
francesi
e
italiane
di
Dugin,
il
primo
rappresentante
dell’estrema
destra
russa
che
parlava
la
stessa
lingua
degli
attivisti
della
Nuova
destra
europea
-
sia
letteralmente
che
intellettualmente
- e
poteva
non
solo
aggiornarli
sull’evoluzione
politica
in
Russia,
ma
anche
diffondere
lì
le
loro
idee.
Anche
Žirinovskij
cercò
di
costruire
alleanze
con
l’estrema
destra
occidentale
negli
primi
anni
Novanta.
Durante
il
suo
soggiorno
parigino,
Eduard
Limonov
(Эдуа́рд
Лимо́нов,
il
vero
nome
è
Eduard
Veniaminovich
Savenko,
Эдуа́рд
Вениами́нович
Саве́нко)
ha
fatto
conoscere
Žirinovskij
a
Jean-Marie
Le
Pen
nell’autunno
del
1992.
Nel
corso
degli
anni
‘90,
Dugin,
Žirinovskije
Glazyev
hanno
occupato
posizioni
diverse
nel
sistema
politico
russo.
Dugin
era
un
politico
di
poca
importanza,
ma
allo
stesso
tempo
era
un
influente
ideologo
del
neo-euroasiatico
e
del
bolscevismo
nazionale,
impegnato
in
una
lotta
metapolitica,
piuttosto
che
politica,
contro
la
democrazia
liberale.
Žirinovskijvè
stato
il
leader
del
LDPR
(ЛДПР
—
Либерально-демократическая
партия
России,
Partito
Liberal-Democratico
di
Russia),
un
partito
che
è
emerso
come
la
forza
politica
più
forte
dopo
le
elezioni
parlamentari
del
1993
e
come
il
secondo
più
forte,
dopo
le
elezioni
parlamentari
del
1995.
Glaz’ev
è
stato,
per
un
breve
periodo
di
tempo,
ministro
delle
Relazioni
Economiche
Esterne
della
Russia,
poi
deputato
e,
successivamente,
capo
del
Dipartimento
di
Analisi
del
Consiglio
della
Federazione
della
Russia.
Si
dimise
come
atto
di
protesta
contro
la
decisione
del
presidente
Eltsin
di
sciogliere
il
Soviet
Supremo
il
21
settembre
1993,
a
seguito
di
cui
ci
fu
il
mancato
tentativo
di
colpo
di
stato
da
parte
del
vicepresidente
Aleksandr
Ruckoj
(Александр
Владимирович
Руцкой)
e
del
presidente
del
Parlamento
Ruslan
Chasbulatov
(Русла́н
Имранович
Хасбула́тов,
in
ceceno
Хасбола́ти
Имра́ни
кIант
Руслан)
nell’ottobre
1993
a
Mosca.
Durante
i
primi
anni
del
Duemila
è
stato
Žirinovskij
il
più
attivo
nel
creare
legami
a
livello
internazionale,
soprattutto
per
quanto
riguarda
il
supporto
a
Jean-Marie
Le
Pen
in
Francia
e al
regime
di
Saddam
Hussein
in
Iraq.
Fu
in
un
certo
senso
sua
l’idea
di
strumentalizzare
l’estrema
destra
occidentale
a
vantaggio
della
politica
estera
russa,
tanto
che
Žirinovskij
avrebbe
potuto
sperare
di
diventare
un
mediatore
pagato
tra
il
Cremlino
e i
politici
europei
di
estrema
destra,
eppure,
all’epoca,
non
vi
erano
segni
che
le
autorità
russe
fossero
interessate
alla
sua
iniziativa,
inoltre
la
caduta
di
Hussein
per
mano
delle
forze
statunitensi
nel
2003
ha
portato
alla
definitiva
emarginazione
di
Žirinovskij
a
livello
internazionale.
Un’altra
figura
di
spicco
della
destra
nazionalista
russa
è
stato
Sergej
Baburin
(Серге́й
Николаевич
Бабурин),
che
ha
sfruttato
i
legami
con
Le
Pen
per
cercare
consensi
elettorali
in
Patria
durante
le
elezioni
parlamentari
del
2003.
Baburin
è
attualmente
il
leader
di
ROS
(Росси́йский
общенаро́дный
сою́з,
l’Unione
Nazionale
Russa),
con
cui
si è
presentato
come
candidato
alle
presidenziali
2018,
ma
all’inizio
del
Duemila
era
l’esponente
di
spicco
di
Народный
Союз
(Narodnyj
Sojuz),
originariamente
conosciuto
come
Партия
Национального
Возрождения
“Народная
Воля”
(Partij
Nacional’nogo
Vozroždenija
“Nаrоdnaja
Vоlja”).
Nel
settembre
2003
la
Narodnaja
Volja
di
Baburin,
insieme
ad
altri
due
partiti
“patriottici”
russi,
ha
formato
il
blocco
elettorale
“Rodina”
(Партия
“РОДИНА”,
il
partito
“Patria”)
guidato
da
Dmitrij
Rogozin
e
Sergeij
Glaz’ev.
Il
blocco
‘Rodina’,
che
era
politicamente
nazionalista
ed
economicamente
socialista,
è
stato
interpretato
dagli
analisti
politici
come
un
progetto
del
Cremlino
al
fine
di
distogliere
l’elettorato
da
votare
per
il
KPRF
(Коммунистическая
партия
Российской
Федерации,
Partito
Comunista
della
Federazione
Russa),
che
all’epoca
rappresentava
ancora
il
più
grande
gruppo
parlamentare
della
Duma.
Ma è
l’ascesa
di
un
nuovo
Zar
Batjuška
(Батюшка),
Vladimir
Putin
(Влади́мир
Влади́мирович
Пу́тин),
ad
avvicinare
in
massa
la
destra
estrema
europea
al
Cremlino,
perché
secondo
Zbigniew
Brzezinski
la
figura
di
Putin
è
paragonabile
a
quella
di
Benito
Mussolini:
The
Fascist
regime
evoked
national
greatness,
discipline,
and
exalted
myths
of
an
allegedly
glorious
past.
Similarly,
Putin
is
trying
to
blend
the
traditions
of
the
Cheka
(Lenin’s
Gestapo,
where
his
own
grandfather
started
his
career),
with
Stalin’s
wartime
leadership,
with
Russian
Orthodoxy’s
claims
to
the
status
of
the
Third
Rome,
with
Slavophile
dreams
of a
single
large
Slavic
state
ruled
from
the
Kremlin.
(Zbigniew
Brzezinski,
“Moscow’s
Mussolini”,
The
Wall
Street
Journal,
20
Sep.
2004)
Facendo
eco
alle
considerazioni
di
Brzezinski,
Nicholas
Kristof
considera
Putin
alla
stregua
di
una
versione
russa
di
Pinochet
o
del
generalissimo
Franco,
che
avrebbe
traghettato
la
Russia
non
verso
la
democratizzazione,
ma
verso
un
regime
fascista.
Dello
stesso
avviso
sono
l’ex
direttore
della
CIA,
James
Woolsey,
e
Alexander
Motyl,
criticata
da
Andreas
Umland,
che
contesta
allo
storico
statunitense
di
aver
categorizzato
il
fascismo
usando
i
parametri
di
un
movimento
artistico,
con
conseguente
perdita
del
valore
euristico,
classificatorio
e
comunicativo
del
termine.
Marcel
van
Herpen
ha
adottato
invece
un
approccio
più
oggettivo
nel
definire
il
regime
di
Putin,
sostenendo
che
il
“Putinismo”
non
può
essere
inquadrato
in
categorie
già
esistenti,
essendo
una
formazione
politica
totalmente
nuova
che
ha
messo
in
discussione
i
modelli
politici
esistenti.
Tuttavia,
in
riferimento
ai
fenomeni
in
gran
parte
storici
già
esistenti,
van
Harper
ha
definito
il
sistema
Putin
senz’altro
come
un
regime
di
destra
radicale
e
“una
miscela
ibrida
di
fascismo
mussoliniano,
bonapartismo
e
berlusconismo”.
Per
Roger
Griffin,
secondo
il
quale
il
fascismo
è
una
forma
di
ultranazionalismo
rivoluzionario,
il
regime
di
Putin
non
può
essere
classificato
come
forma
di
ideologia
fascista,
considerato
che
“Putin
is a
pragmatist,
a
master
of
Realpolitik
without
a
utopian
vision
of a
new
type
of
modern
state.
He
shows
no
interest
in
using
the
power
he
has
accumulated
to
erect
a
modernist
totalitarian
state
devoted
to
carrying
out
an
anthropological
and
temporal
revolution”.
Con
l’annessione
della
Russia
alla
Crimea
e le
conseguenti
sanzioni
comminate
alla
Russia
da
parte
delle
istituzioni
e
dei
governi
occidentali,
il
supporto
alla
Russia
si è
esteso,
pertanto,
dai
Paesi
dell’ex
blocco
sovietico
ai
partiti
di
estrema
destra
dell’Europa
occidentale.
I
partiti
della
destra
estrema
in
Europa
occidentale
hanno
interpretato
le
sanzioni
alla
Russia
come
un’ingerenza
americana
negli
affari
europei,
cavalcato
l’onda
dell’opposizione
popolare
a un
establishment
che
in
Occidente
è al
servizio
della
finanza
internazionale
e
che
non
fa
l’interesse
dei
popoli.
L’esempio
russo
è
stato
portato
dalla
destra
estrema,
che
ha
giudicato
nella
questione
ucraina
l’UE
è
debole,
ipocrita
e
parziale
nei
confronti
di
Kiev,
come
uno
dei
Paesi
vessati
dalle
istituzioni
occidentali,
perché
non
compiacente
nei
confronti
della
finanza
internazionale.
Nel
2017,
per
esempio,
la
Lega
ha
firmato
un
accordo
di
cooperazione
con
il
partito
di
Putin,
Russia
Unita
(Единая
Россия,
Edinaja
Rossija),
allo
scopo
di
sviluppare
i
rapporti
commerciali
e
una
più
stretta
collaborazione
in
seno
al
Consiglio
d’Europa
e
all’Organizzazione
per
la
sicurezza
e la
cooperazione
in
Europa
(OSCE).
Il
presagito
riallineamento
italiano
nei
confronti
della
Russia,
a un
anno
esatto
dall’insediamento
del
nuovo
governo
di
coalizione
giallo
verde,
non
è
però
mai
avvenuto,
soprattutto
in
termini
di
decisioni
politiche
concrete.
Infatti,
sulla
questione
principale
dei
rapporti
tra
l’Italia
e la
Russia,
le
sanzioni,
l’Italia
ha
approvato
due
volte
la
linea
comune
dell’UE,
accettando
a
giugno
e
dicembre
2018
il
rinnovo
delle
sanzioni
su
Mosca.
D’altro
canto,
l’Italia
vanta
una
lunga
tradizione
di
amicizia
con
la
Russia,
anche
durante
il
governo
Renzi
di
centro-sinistra,
con
le
sanzioni
comunitarie
contro
la
Russia
in
atto,
sono
stati
sottoscritti
accordi
per
un
valore
di
oltre
un
miliardo
di
euro
per
progetti
comuni
in
settori
quali
lo
spazio,
l’energia,
il
trasporto
marittimo
e
l’aeronautica.
Durante
il
successivo
governo
Gentiloni
si è
avuta
una
ripresa
delle
visite
ufficiali,
tra
cui
quella
del
presidente
della
Repubblica
Sergio
Mattarella
a
Mosca
nell’aprile
2017,
a
seguito
di
una
precedente
visita
dell’allora
Ministro
degli
Interni
Marco
Minniti.
Nello
stesso
anno
si
sono
svolte
anche
le
visite
del
Presidente
del
Consiglio
Gentiloni
e di
Carlo
Calenda,
Ministro
dello
Sviluppo
Economico.
Il
Ministro
degli
Esteri
Angelino
Alfano,
da
parte
sua,
si è
recato
due
volte
a
Mosca
nel
2017.
Il
governo
Conte,
come
i
precedenti,
ha
continuato
a
insistere
sulla
necessità
di
un
dialogo
con
la
Russia
e a
lavorare
per
una
normalizzazione
dei
rapporti.
Nell’ottobre
2018,
durante
la
sua
visita
a
Mosca,
il
vice
primo
ministro
italiano
e
leader
del
Partito
della
Lega,
Matteo
Salvini,
ha
dichiarato
di
voler
porre
fine
al
regime
sanzionatorio
contro
la
Russia.
Alla
visita
di
Salvini
ha
fatto
seguito
quella
del
primo
ministro
Conte,
che
ha
ribadito
la
posizione
già
espressa
da
Salvini
riguardo
alle
sanzioni.
In
occasione
della
visita
ufficiale
del
premier
Conte
sono
stati
sottoscritti
tredici
accordi
economici
bilaterali
per
un
valore
di
circa
un
miliardo
e
mezzo
di
euro.
Allo
stesso
tempo,
l’attuale
ministro
degli
Affari
Esteri
e
della
Cooperazione
Internazionale,
Enzo
Moavero
Milanesi,
ha
incontrato
il
suo
omologo
russo,
Sergej
Lavrov
(Серге́й
Ви́кторович
Лавро́в),
prima
a
Mosca
l’8
ottobre
2018
e
successivamente
a
Roma
il
23
novembre
2018,
per
invitarlo
a
partecipare
alla
Conferenza
“Rome
Med
Dialogues”,
organizzata
a
Palermo.
Durante
l’incontro
di
Roma
il
ministro
Moavero
Milanesi
ha
dichiarato
che
Italia
e
Russia
nella
regione
MENA
hanno
“una
visione
comune
per
la
promozione
della
sicurezza
e
della
stabilizzazione”.
Nonostante
la
retorica
dell’attuale
governo
italiano,
molto
simile
a
quella
del
precedente
governo
di
centro-sinista,
la
legittimità
del
referendum
di
Crimea
e
l’annessione
della
Russia
alla
penisola
non
sono
ancora
state
formalmente
riconosciute
dall’Italia,
che
insiste
con
la
piena
attuazione
dell’accordo
cosiddetto
“Minsk
II”
del
2015.
Nell’estate
del
2018,
il
presidente
del
Consiglio
Conte
ha
dato
credito
alla
proposta
di
Donald
Trump
di
riammettere
la
Russia
tra
i
membri
del
G7,
ma
finora
nessuna
misura
concreta
è
stata
adottata
dall’attuale
governo
italiano
per
agevolare
tale
riammissione,
come
sottolineato
da
Nona
Mikhelidze,
Head
of
the
Eastern
Europe
and
Eurasia
Programme
dell’Istituto
Affari
Italiani
(IAI).
Lo
stesso
Salvini
ha
ammesso,
nell’ottobre
2018,
che
il
governo
italiano
ha
altre
priorità
al
momento
che
battersi
per
la
fine
delle
sanzioni
alla
Russia;
il
vice
premier
italiano
ha,
infatti,
messo
al
centro
della
sua
agenda
politica
le
politiche
migratorie
e i
negoziati
con
l’UE
sulla
politica
fiscale
italiana.
Difficile
pensare
a
una
presa
di
posizione
come
quella
austriaca
sulle
sanzioni
alla
Russia
da
parte
dell’attuale
governo
italiano,
anche
in
considerazione
del
tradizionale
impegno
dell’Italia
nei
confronti
dell’alleanza
transatlantica.
La
Realpolitk
è
lontana
quindi
dai
principi
ideologici,
che
invece
avvicinano
fortemente
la
destra
estrema
europea
alla
Russia
conservatrice
di
Putin,
ammirata
dalla
destra
estrema
europea
per
il
tentativo
di
voler
riaffermare
con
forza
i
propri
interessi
geopolitici,
cosa
che
l’UE
impedisce
de
facto
agli
Stati
membri.
Come
sostiene
Alijna
Poliakova:
“La
destra
europea
vede
il
leader
russo
come
uno
strenuo
difensore
della
sovranità
nazionale
e
dei
valori
conservatori,
che
ha
sfidato
l’influenza
degli
Stati
Uniti
e
l’idea
di
Europa
in
un
modo
che
rispecchia
le
loro
convinzioni”.
Con
la
Great
Recession,
iniziata
nel
2007-2008
a
causa
della
crisi
finanziaria
che
ha
colpito
l’economia
di
molti
Paesi
sviluppati,
la
Banca
Centrale
Europea
di
Francoforte
ha
varato
alcune
misure
impopolari
di
austerità,
che
hanno
inciso
sul
potere
d’acquisto
dei
cittadini
europei.
Da
questa
insoddisfazione
sociale
è
partita
la
campagna
euroscettica
dei
principali
partiti
di
estrema
destra
europei,
che
hanno
assunto
toni
duri
anche
verso
la
politica
migratoria
dell’UE,
considerata
dai
leader
della
destra
estrema
debole
e
nociva
per
i
Paesi
dell’UE,
perché
strumentalizzata
dai
vari
Salvini,
Le
Pen,
Orbán
per
far
percepire
gli
sbarchi
dei
migranti
all’opinione
pubblica
come
il
mezzo
attraverso
cui
criminali
e
fondamentalisti
islamici
varcano
i
confini
europei
per
insinuarsi
nella
società
civile
europea.
La
questione
migratoria
è
stata,
quindi,
decisiva
per
il
successo
della
destra
estrema
in
Europa,
che
si
ritiene
la
paladina
dei
valori
tradizionali
cristiani,
a
cui
l’aumento
demografico
della
popolazione
di
religione
islamica
residente
in
Europa
attenterebbe.
Putin
in
Russia
è
considerato
il
difensore
dei
valori
cristiano-ortodossi,
con
stretti
legami
con
la
Patriarcato
di
Mosca.
La
difesa
dei
valori
cristiani
è
inserita
in
una
più
ampia
politica
culturale
di
stampo
conservatore,
ammirata
ed
emulata
in
Putin
dall’estrema
destra
europea.
Esempio
di
cui
è la
nota
legge
sulla
propaganda
anti-gay
approvata
dalla
Duma
nel
giugno
del
2013,
in
una
Russia,
dove
il
declino
demografico
ha
raggiunto
picchi
di
criticità
nel
ultimi
anni
e a
cui
il
governo
russo
tenta
di
mettere
rimedio
attraverso
il
rilancio
dei
“valori
familiari”,
che
insieme
allo
“spirito
patriottico”
e
alla
“sicurezza”,
sono
alla
base
dell’ideologia
putiniana
del
“neoconservatorismo
post-comunista”.
Per
Putin
e
per
i
russi
che
lo
sostengono,
il
liberalismo
culturale
europeo,
che
garantisce
pari
diritti
alle
coppie
omosessuali,
non
solo
è
degenerato,
ma
anche
una
minaccia
per
la
sopravvivenza
della
Russia
come
nazione.
Ma
quanto
potrà
durare
ancora
un’alleanza
tra
parti
che
vedono
nel
nazionalismo
il
fulcro
di
ogni
politica
e
che
hanno
visioni
opposte
rispetto
alla
storia
e al
ruolo
del
nazionasocialismo?
La
propaganda
della
destra
estrema
in
Europa
sta
amplificando
una
vittoria
alle
elezioni
parlamentari
che
de
facto
non
esiste:
come
abbiamo
già
detto,
l’affluenza
alle
urne
è
stata
bassa,
il
Parlamento
europeo
è un
organo
di
governo
debole
e,
anche
nella
vittoria
l’estrema
destra
è
frazionata
in
alleanze
concorrenti.
Ma
certa
è
l’eco
mediatica
e il
consenso
di
popolo
che
le
elezioni
europee
hanno
suscitato
nella
politica
interna
dei
Paesi
membri
dell’UE,
dove
cresce
in
modo
esponenziale
la
disillusione
nei
confronti
delle
istituzioni
europee,
percepite
troppo
distanti
dagli
interessi
del
popolo.
In
Russia,
invece,
Putin
trova
nel
soft
power
applicato
alla
politica
estera
il
contrappeso
all’indice
di
gradimento
più
basso
in
assoluto
che
il
popolo
russo
gli
ha
concesso
in
questi
giorni,
circa
il
30%,
in
continua
discesa,
a
causa
della
difficile
situazione
economica
interna,
con
l’instabilità
del
rublo,
pensioni
e
salari
ai
minimi
storici,
aumento
dei
prezzi
dei
beni
di
prima
necessità,
le
ripercussioni
in
Patria
del
supporto
militare
ed
economico
al
governo
di
Bashar
al-Assad
in
Siria
e ai
separatisti
nel
Donbass.
Anche
il
sofisticato
toolkit
a
disposizione
dei
media
statali
e di
quelli
controllati
dal
Cremlino
non
è
più
efficace
negli
ultimi
tempi,
nonostante
le
perfette
tecniche
di
definizione
dell’agenda,
dell’inquadratura
e
della
fornitura
di
disinformazione,
che
sono
i
punti
fermi
della
propaganda
mediatica
di
Mosca.
Le
recenti
proteste
a
Ekaterinburg
e il
loro
epilogo
sembrano
aver
messo
alla
prova
l’efficacia
di
queste
tattiche,
così
onorate
dal
tempo
e
sollevare
interrogativi
sulla
capacità
del
Cremlino
di
continuare
a
controllare
la
narrazione
che
circonda
gli
eventi
di
cronaca,
come
sottolinea
Olga
Irisova
in
un
suo
feature
article
dal
titolo
Yekaterinburg
Protest
Shows
Cracks
in
Kremlin’s
Media
Manipulation
per
The
Russia
File.
A
blog
of
the
Kennan
Institut.
A
metà
maggio,
gruppi
di
residenti
sono
scesi
in
strada
per
protestare
contro
il
progetto
di
costruire
una
chiesa
in
uno
dei
parchi
cittadini
di
Ekaterinburg,
che
avrebbe
privato
i
cittadini
della
fruizione
di
uno
dei
pochi
spazi
verdi
a
loro
disposizione.
Migliaia
di
persone
si
sono
unite
in
poco
tempo
alle
proteste,
mentre
altre
centinaia
di
migliaia
seguirono
gli
sviluppi
sui
social
media
o
sui
media
locali
indipendenti.
Il
Cremlino
non
è
riuscito
questa
volta
a
filtrare
e a
impedire
la
diffusione
capillare
delle
notizie
su
Ekaterinburg
da
parte
di
media
indipendenti
e
dei
social
network,
non
solo,
il
Cremlino
si è
reso
conto
che
alcune
tecniche
di
disinformazione
utilizzate
fino
a
oggi
con
successo,
nel
caso
delle
proteste
di
Ekaterinburg
si
sono
rivelate
addirittura
controproducenti
e
che
l’influenza
della
TV,
totalmente
sotto
il
controllo
di
Mosca,
sta
via
via
perdendo
terreno
in
Russia,
dove
internet
si
sta
sostituendo,
come
in
Occidente,
ai
canali
televisivi
per
la
diffusione
di
notizie.
Pertanto,
anche
se
l’alleanza
con
l’estrema
destra
europea
si
dovesse
rivelare
transitoria,
avrebbe
dato
comunque
un
supporto
al
Cremlino
in
un
momento
difficile,
mentre
se
dovesse
rivelarsi
efficace
sul
lungo
periodo,
potrebbe
rappresentare
per
Putin
un
valido
strumento
per
influenzare
la
politica
estera
europea,
indebolita
dalla
mancanza
di
consenso
al
suo
interno,
dai
flussi
migratori
e
dall’economia
che
non
riesce
a
ripartire.
Gli
stessi
partiti
conservatori,
adesso
in
crisi,
potrebbero
essere
tentati
a
utilizzare
la
stessa
retorica
dei
partiti
di
estrema
destra,
incentrata
sul
rispetto
dei
valori
tradizionali
e
sui
problemi
di
politica
interna.
Ciò
indebolirebbe
ulteriormente
la
posizione
dell’UE
a
livello
internazionale
e la
renderebbe
vulnerabile
a
un’ingerenza
di
tipo
politico
da
parte
del
Cremlino.
Un’Europa
con
partiti
di
estrema
destra
al
potere
o
forti
di
consensi
significherebbe
per
la
Russia
avere
nuovi
alleati
in
senso
antioccidentale
e
antiamericano.
Per
i
Paesi
europei
governati
dalla
destra
estrema
ci
sarebbero
sicuramente,
al
di
là
dei
finanziamenti
elargiti
ai
singoli
partiti
alleati
del
Cremlino,
agevolazioni
sul
prezzo
di
petrolio
e
gas,
considerato
che
un
terzo
delle
importazioni
in
EU
di
gas
naturale
proviene
dalla
Russia.
In
una
vecchia
ottica
di
Guerra
Fredda
tra
Stati
Uniti
e
Russia,
l’Europa
rappresenterebbe
un’importante
zona
d’influenza,
ma
in
un
mondo
multipolare,
dove
è in
atto
un
processo
di
“dedollarizzazione”,
sicuramente
sarebbe
riduttivo
pensare
all’Europa
contesa
solamente
tra
Russia
e
Stati
Uniti.
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