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N. 137 - Maggio 2019 (CLXVIII)

Le inclinazioni filorusse dei sovranisti euroscettici
SULLA DESTRA ESTREMA in EUROPA

di Leila Tavi

 

Negli ultimi tempi i partiti di estrema destra hanno registrato all’interno dell’UE largo consenso. Il caso più clamoroso è stato quello della Lega in Italia alle recenti elezioni europee, che dai cinque seggi a Strasburgo del 2014 è passata a ventinove dopo le consultazioni del 28 maggio 2019. In Francia avanza Rassemblement National (RN), guidato da Marie Le Pen, che ha ottenuto ventidue seggi, staccando di poco La République en marche (LaMAR), il partito del presidente François Macron, che conquista ventuno seggi, ma che avrà dopo la Brexit lo stesso numero di seggi di RN, corrispondente a ventitré. Spicca in Gran Bretagna il risultato del Brexit Party di Nigel Farage, fondato solo poche settimane fa, che ha ottenuto il 31% dei voti, attestandosi come primo partito e ha rappresentato una conferma del fatto che il popolo britannico di voler uscire dall’UE. In Polonia il partito di destra radicale Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS) ha ottenuto il 43%, superando di cinque punti il cartello di partiti di opposizione chiamato Coalizione Europea, ma, mentre Salvini si distingue come uno dei leader europei più spiccatamente filorussi, Jarosław Kaczyński e il suo partito sono profondamente diffidenti nei confronti di Mosca. Quanto a Fidesz, Viktor Orbán non vuole voltare le spalle al potente Partito popolare europeo, che gli garantisce un’influenza di gran lunga maggiore rispetto al gruppo di Salvini. Nel complesso poi gli equilibri nel Parlamento europeo non sono cambiati in modo radicale: la compagine socialista è passata da 186 a 183 seggi, il centro-destra con i popolari resta la prima forza, pur scendendo da 217 a 179 seggi, mentre, sommando i seggi conquistati da tutte le formazioni di populisti (EFD) e di nazionalisti (ENF) si arriva a 112 eurodeputati.

 

Come si può vedere dal grafico che mostra l’affluenza alle urne, la percentuale di cittadini che sono andati a votare per queste consultazioni del 2019 è alta solo per il Belgio e per il Lussemburgo, seguiti da Malta. Per il resto dei Paesi membri dell’UE a malapena si supera il 50% in alcuni casi, mentre per l’Europa centro-orientale abbiamo percentuali molto basse come quelle della Croazia, della Repubblica Ceca, della Slovacchia e della Slovenia. Dopo i verdi, la destra estrema rappresenta in Europa la vera novità politica, ma, nonostante il numero dei seggi in aumento, le elezioni europee del 2019 non hanno segnato il trionfo annunciato da populisti e nazionalisti, che in controtendenza sono in calo in Danimarca e in Austria, dove l’FPÖ (Freiheitliche Partei Österreichs - Partito della libertà austriaco), travolto da un enorme scandalo di corruzione, non ha superato i tre seggi.

 

Lo “scandalo Ibiza”, o Ibiza-Affäre in tedesco, ha coinvolto il leader del partito Heinz-Christian Strache e Johann Gudenus, ex vice sindaco di Vienna, che la sera del 24 luglio del 2017 hanno trascorso una piacevole serata d’estate in una lussuosa villa nei pressi di Ibiza, tra champagne, tartare di tonno e sushi, discorrendo, tra gli altri, con un’avvenente donna russa e un’altra di origini serbe, identificata successivamente come Tatjana Gudenus, moglie del politico dell’FPÖ. Argomenti della discussione sono stati: licenze per vari casinò, come aggiudicarsi un contratto per l’ampliamento della rete autostradale in Austria, la vendita di un albergo di lusso storico, si è parlato addirittura dell’acquisizione della Kronen Zeitung, un tabloid molto letto in Austria, tutto a beneficio di un investitore russo, in cambio di finanziamenti all’FPÖ.

 

È utile far notare, che Gudenus ha imparato a scuola la lingua russa e si recato con regolarità nella capitale russa per partecipare alle summer school dell’Università Statale di Mosca dal 1995 al 2003, quando studiava legge a Vienna, perfezionando il russo e acquisendo nel 2004 una certificazione di lingua. Nel 2005, durante gli studi all’Accademia Diplomatica di Vienna per conseguire il Master of Advanced International Studies, Gudenus ha vissuto in Russia per circa un anno, frequentando contemporaneamente anche l’Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri russo. All’inizio del 2010, Gudenus ha intrecciato relazioni con Nathalie Holzmüller, di origine russa e trasferitasi in Austria dal 1991 che ha lanciato nel 2007 il Russische Ball, una cena e un ballo sociali che che è organizzato una volta l’anno all’Hofburg con l’obiettivo di promuovere la cultura russa e gli interessi politici russi in Austria. Nel corso degli anni il Russische Ball è diventato un punto d’incontro per politici, uomini d’affari, diplomatici e intellettuali russi e filo-russi. Holzmüller anche ha lanciato un altro progetto, The Faces of Russia, con l’obiettivo di far incontrare persone e personalità in vista sulla base dell’interesse per la Russia, della sua storia e della sua cultura. Gudenus è diventato ospite regolare del Russische Ball e delle serate tenute tre volte all’anno nell’ambito del progetto The Faces of Russia. Inoltre, a detta della stessa Holzmüller, l’FPÖ è diventato uno degli sponsor principali delle sue serate.

 

Tre mesi dopo l’incontro di Ibiza, l’FPÖ ha ottenuto un buon risultato alle votazioni della Camera bassa austriaca (Nationalrat) ed è entrato nella coalizione di governo, con Strache come persona influente del neo eletto cancelliere Sebastian Kurz e del suo partito conservatore, il Partito Popolare Austriaco (Österreichische Volkspartei, ÖVP). Recentemente sono stati resi pubblici i video e le registrazioni audio delle conversazioni intercorse tra i due politici e la presunta donna russa, Aljona Makarova (Aлёна Mакарова), che sosteneva di avere anche la cittadinanza lettone e fingeva di essere la nipote di un ricco oligarca russo vicino a Putin, con capitali per oltre duecentocinquanta milioni di euro che non potevano essere depositati in banca, perché provenienti da traffici illegali. Alla metà di maggio, qualche giorno prima delle elezioni europee del 2019, per l’importanza politica e l’interesse pubblico del materiale filmato a Ibiza la sera del 24 luglio 2017, DER SPIEGEL e Süddeutsche Zeitung hanno deciso di pubblicare il contenuto delle conversazioni tra la Makarova e i due esponenti dell’FPÖ. Lo scandalo ha avuto delle conseguenze per la coalizione nero-blu, con il cancelliere Kurz che è stato sfiduciato dal Parlamento austriaco, a seguito del voto sulla mozione di sfiducia promosso dal partito socialdemocratico dopo lo scandalo che ha travolto l’ex vice Strache. La mozione è andata in porto grazie all’insolita convergenza fra gli stessi deputati dell’FPÖ e i socialdemocratici (Sozialdemokratische Partei Österreichs, SPÖ), che insieme dispongono della maggioranza assoluta. La manovra non ha stravolto però l’assetto politico del Paese, con il Partito popolare del conservatore Kurz che ha vinto le elezioni europee con il 35% dei voti, nonostante il terremoto politico seguito allo scandalo dell’Ibiza-gate. Non c’è stato neanche un crollo dell’FPÖ, che ha ottenuto alle urne il 17,2% dei voti. Per le elezioni anticipate è probabile che la leadership dell’FPÖ passi a Norbert Gerwald Hofer, che è stato ministro dei Trasporti, dell’Innovazione e della Tecnologia durante il governo Kurz e che aveva sfidato nel 2016, in una lunga campagna elettorale durata quasi un anno, il verde Alexander Van der Bellen, l’attuale presidente della Repubblica.

 

L’esempio austriaco ci mostra come l’influenza russa sia forte nella politica interna dei singoli Paesi dell’UE, anche se in questo caso si è trattato di una trappola con cui attirare i maggiori esponenti dell’FPÖ in uno scandalo elettorale. Ci sono Paesi dell’UE in cui, invece, partiti di estrema destra finanziati dal Cremlino non hanno conquistato nessun seggio, avendo ottenuto consensi al di sotto della soglia di sbarramento fissata al 5%, tra cui: il Volja bulgaro (Воля - Volontà), lo slovacco Sme Rodina (Siamo una famiglia) e il PVV olandese (Partij voor de Vrijheid - Partito per la Libertà), mentre gli estoni di Ekre hanno ottenuto un solo seggio, ma in questo caso, per ragioni storiche, non possiamo parlare di un partito filorusso. Pertanto la conquista dei partiti di estrema destra del Parlamento europeo non è avvenuta, come è possibile osservare dal grafico seguente, che mette a confronto le elezioni del 2014 e quelle del 2019.

 

Durante la campagna elettorale che ha preceduto le ultime consultazioni europee non abbiamo assistito neanche ai tanto temuti attacchi alla democrazia occidentale da parte del governo russo attraverso disinformazione e hacker. Il presunto bombardamento con fake news da parte di hacker assoldati dal Cremlino per pilotare le preferenze degli elettori europei verso partiti filorussi, tra cui possiamo annoverare anche il Movimento 5 Stelle al di fuori della compagine di estrema destra, non ha sortito effetti eclatanti, se non un’ulteriore chiusura da parte del popolo russo nei confronti delle istituzioni occidentali, presentati dai media locali come “nemici della Russia”. Eclatante è stato il caso di Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, che ha rilasciato un’intervista al settimanale tedesco Welt am Sonntag, pubblicata il 26 maggio 2019, la domenica delle elezioni europee, in cui Stoltenberg mette in guardia da Mosca, che “interferisce deliberatamente nelle nostre democrazie”, informando i lettori che un gruppo di esperti della NATO ha incontrato alcuni esperti informatici dell’UE alcune settimane prima delle elezioni europee per scambiarsi “informazioni in tempo reale su malware e attacchi informatici”. Anche se possiamo rilevare che la varietà di risorse con cui il Cremlino fa informazione in casa e all’estero, in particolar modo con i canali Russia Today e Sputnik, combinate al supporto mediatico ottenuto attraverso i social network che ricevono dagli elementi radicali della destra occidentale, rappresentano una pericolosa alternativa ai tradizionali media mainstream occidentali a livello internazionale. Durante la stessa campagna elettorale europea i principali media occidentali da El País all’Indipendent, da The New York Times a CNN, da The Guardian a Der Spiegel, da Euronews a Deutsche Welle, da Le Figaro a Naftemporiki, hanno denunciato le fake news pubblicate da siti e social media legati alla destra radicale nei diversi Paesi dell’UE, decisivo è stato alla lotta alla propaganda e alla disinformazione l’apporto di Avaaz, l’organizzazione non profit lanciata negli Stati Uniti nel gennaio 2007 e divenuta in poco tempo una rete mondiale, che promuove l’attivismo globale su temi quali il cambiamento climatico, i diritti umani, i diritti degli animali, la corruzione, la povertà e i conflitti. Dal suo quartier generale a Bruxelles, Avaaz ha fatto investigare la rete da trenta “elfi”, in contrasto con i “troll”, che hanno identificato e segnalato agli amministratori di Facebook una vasta rete di disinformazione all’interno dell’UE. Avaaz ha inviato a Facebook oltre settecento pagine di analisi dettagliate, mostrando come queste reti della destra estrema funzionano, si coordinano, e utilizzano profili falsi per fare propaganda e disinformazione. Grazie alle segnalazioni di Avaaz sono state chiuse pagine che in totale hanno raggiunto oltre tre miliardi di visualizzazioni in un solo anno. Sicuramente la destra estrema europea ha preso a modello la fabbrica di Troll di San Pietroburgo, la Internet Research Agency.

 

Secondo Alijna Poliakova, che è David M. Rubenstein Fellow al Foreign Policy program’s Center on the United States and Europe and Security and Strategy team della Brookings Institution e professore a contratto di European studies alla Paul H. Nitze School of Advanced International Studies (SAIS) della Johns Hopkins University, sotto “il vigile occhio” del presidente russo Vladimir Putin, il governo russo ha sviluppato dal suo primo mandato del 2000 a oggi una serie di strumenti in ambito politico, economico, militare e dell’informazione a sostegno della politica estera russa. Questo “toolkit” è stato recepito con favore in un primo momento dalla destra estrema in Europa centro-orientale, che soprattutto negli anni più recenti ha sostenuto le azioni militari russe, come il conflitto tra Georgia e Ossezia del Sud nell’agosto del 2008; sostegno dimostrato con i frequenti incontri a Mosca tra tra il 2012 e il 2013 tra esponenti del governo russo e leader dei partiti della destra estrema, come Jobbik (Jobbik Magyarországért Mozgalom - Movimento per un’Ungheria Migliore), o il partito neo-nazzista bulgaro Ataka (Национален Съюз Атака, Nacionalen Săjuz Ataka - Unione Nazionale Attacco).

 

Successivamente alla Perestrojka (перестройка) di Michail Gorbačëv (Михаил Сергеевич Горбачёв) e alla relativa liberalizzazione politica dell’Unione Sovietica, con la conseguente apertura all’Occidente, i politici russi iniziarono a intrecciare rapporti con le loro controparti occidentali. Nel corso del primo governo russo post-sovietico del presidente Boris Eltsin (Бори́с Никола́евич Е́льцин), i contatti con le organizzazioni politiche europee si intensificarono. Durante la presidenza Eltsin, gli ultranazionalisti russi che erano all’opposizione svilupparono relazioni con attivisti e organizzazioni di estrema destra occidentali, influenzati in modo particolare da tre politici russi di estrema destra, Aleksandr Dugin (Алекса́ндр Ге́льевич Ду́гин), Vladimir Žirinovskij (Влади́мир Во́льфович Жирино́вский) e Sergey Glaz’ev (Серге́й Юрьевич Глазьев). Nel 1990 Dugin frequentava Claudio Mutti, intellettuale ed editore di estrema destra, considerato discepolo di Jean Thiriart. Mutti ha pubblicato la versione italiana del libro di Dugin Continente Russia. Molte sono state nella prima parte degli anni Novanta le frequentazioni francesi e italiane di Dugin, il primo rappresentante dell’estrema destra russa che parlava la stessa lingua degli attivisti della Nuova destra europea - sia letteralmente che intellettualmente - e poteva non solo aggiornarli sull’evoluzione politica in Russia, ma anche diffondere lì le loro idee. Anche Žirinovskij cercò di costruire alleanze con l’estrema destra occidentale negli primi anni Novanta. Durante il suo soggiorno parigino, Eduard Limonov (Эдуа́рд Лимо́нов, il vero nome è Eduard Veniaminovich Savenko, Эдуа́рд Вениами́нович Саве́нко) ha fatto conoscere Žirinovskij a Jean-Marie Le Pen nell’autunno del 1992. Nel corso degli anni ‘90, Dugin, Žirinovskije Glazyev hanno occupato posizioni diverse nel sistema politico russo. Dugin era un politico di poca importanza, ma allo stesso tempo era un influente ideologo del neo-euroasiatico e del bolscevismo nazionale, impegnato in una lotta metapolitica, piuttosto che politica, contro la democrazia liberale. Žirinovskijvè stato il leader del LDPR (ЛДПР — Либерально-демократическая партия России, Partito Liberal-Democratico di Russia), un partito che è emerso come la forza politica più forte dopo le elezioni parlamentari del 1993 e come il secondo più forte, dopo le elezioni parlamentari del 1995. Glaz’ev è stato, per un breve periodo di tempo, ministro delle Relazioni Economiche Esterne della Russia, poi deputato e, successivamente, capo del Dipartimento di Analisi del Consiglio della Federazione della Russia. Si dimise come atto di protesta contro la decisione del presidente Eltsin di sciogliere il Soviet Supremo il 21 settembre 1993, a seguito di cui ci fu il mancato tentativo di colpo di stato da parte del vicepresidente Aleksandr Ruckoj (Александр Владимирович Руцкой) e del presidente del Parlamento Ruslan Chasbulatov (Русла́н Имранович Хасбула́тов, in ceceno Хасбола́ти Имра́ни кIант Руслан) nell’ottobre 1993 a Mosca.

 

Durante i primi anni del Duemila è stato Žirinovskij il più attivo nel creare legami a livello internazionale, soprattutto per quanto riguarda il supporto a Jean-Marie Le Pen in Francia e al regime di Saddam Hussein in Iraq. Fu in un certo senso sua l’idea di strumentalizzare l’estrema destra occidentale a vantaggio della politica estera russa, tanto che Žirinovskij avrebbe potuto sperare di diventare un mediatore pagato tra il Cremlino e i politici europei di estrema destra, eppure, all’epoca, non vi erano segni che le autorità russe fossero interessate alla sua iniziativa, inoltre la caduta di Hussein per mano delle forze statunitensi nel 2003 ha portato alla definitiva emarginazione di Žirinovskij a livello internazionale. Un’altra figura di spicco della destra nazionalista russa è stato Sergej Baburin (Серге́й Николаевич Бабурин), che ha sfruttato i legami con Le Pen per cercare consensi elettorali in Patria durante le elezioni parlamentari del 2003. Baburin è attualmente il leader di ROS (Росси́йский общенаро́дный сою́з, l’Unione Nazionale Russa), con cui si è presentato come candidato alle presidenziali 2018, ma all’inizio del Duemila era l’esponente di spicco di Народный Союз (Narodnyj Sojuz), originariamente conosciuto come Партия Национального Возрождения Народная Воля (Partij Nacional’nogo Vozroždenija “Nаrоdnaja Vоlja”). Nel settembre 2003 la Narodnaja Volja di Baburin, insieme ad altri due partiti “patriottici” russi, ha formato il blocco elettorale “Rodina” (Партия “РОДИНА”, il partito “Patria”) guidato da Dmitrij Rogozin e Sergeij Glaz’ev. Il blocco ‘Rodina’, che era politicamente nazionalista ed economicamente socialista, è stato interpretato dagli analisti politici come un progetto del Cremlino al fine di distogliere l’elettorato da votare per il KPRF (Коммунистическая партия Российской Федерации, Partito Comunista della Federazione Russa), che all’epoca rappresentava ancora il più grande gruppo parlamentare della Duma.

 

Ma è l’ascesa di un nuovo Zar Batjuška (Батюшка), Vladimir Putin (Влади́мир Влади́мирович Пу́тин), ad avvicinare in massa la destra estrema europea al Cremlino, perché secondo Zbigniew Brzezinski la figura di Putin è paragonabile a quella di Benito Mussolini:

 

The Fascist regime evoked national greatness, discipline, and exalted myths

of an allegedly glorious past. Similarly, Putin is trying to blend the traditions

of the Cheka (Lenin’s Gestapo, where his own grandfather started his career),

with Stalin’s wartime leadership, with Russian Orthodoxy’s claims to the status

of the Third Rome, with Slavophile dreams of a single large Slavic state ruled

from the Kremlin.

(Zbigniew Brzezinski, “Moscow’s Mussolini”,

The Wall Street Journal, 20 Sep. 2004)

 

Facendo eco alle considerazioni di Brzezinski, Nicholas Kristof considera Putin alla stregua di una versione russa di Pinochet o del generalissimo Franco, che avrebbe traghettato la Russia non verso la democratizzazione, ma verso un regime fascista. Dello stesso avviso sono l’ex direttore della CIA, James Woolsey, e Alexander Motyl, criticata da Andreas Umland, che contesta allo storico statunitense di aver categorizzato il fascismo usando i parametri di un movimento artistico, con conseguente perdita del valore euristico, classificatorio e comunicativo del termine. Marcel van Herpen ha adottato invece un approccio più oggettivo nel definire il regime di Putin, sostenendo che il “Putinismo” non può essere inquadrato in categorie già esistenti, essendo una formazione politica totalmente nuova che ha messo in discussione i modelli politici esistenti. Tuttavia, in riferimento ai fenomeni in gran parte storici già esistenti, van Harper ha definito il sistema Putin senz’altro come un regime di destra radicale e “una miscela ibrida di fascismo mussoliniano, bonapartismo e berlusconismo”. Per Roger Griffin, secondo il quale il fascismo è una forma di ultranazionalismo rivoluzionario, il regime di Putin non può essere classificato come forma di ideologia fascista, considerato che “Putin is a pragmatist, a master of Realpolitik without a utopian vision of a new type of modern state. He shows no interest in using the power he has accumulated to erect a modernist totalitarian state devoted to carrying out an anthropological and temporal revolution”.

 

Con l’annessione della Russia alla Crimea e le conseguenti sanzioni comminate alla Russia da parte delle istituzioni e dei governi occidentali, il supporto alla Russia si è esteso, pertanto, dai Paesi dell’ex blocco sovietico ai partiti di estrema destra dell’Europa occidentale. I partiti della destra estrema in Europa occidentale hanno interpretato le sanzioni alla Russia come un’ingerenza americana negli affari europei, cavalcato l’onda dell’opposizione popolare a un establishment che in Occidente è al servizio della finanza internazionale e che non fa l’interesse dei popoli. L’esempio russo è stato portato dalla destra estrema, che ha giudicato nella questione ucraina l’UE è debole, ipocrita e parziale nei confronti di Kiev, come uno dei Paesi vessati dalle istituzioni occidentali, perché non compiacente nei confronti della finanza internazionale.

 

Nel 2017, per esempio, la Lega ha firmato un accordo di cooperazione con il partito di Putin, Russia Unita (Единая Россия, Edinaja Rossija), allo scopo di sviluppare i rapporti commerciali e una più stretta collaborazione in seno al Consiglio d’Europa e all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Il presagito riallineamento italiano nei confronti della Russia, a un anno esatto dall’insediamento del nuovo governo di coalizione giallo verde, non è però mai avvenuto, soprattutto in termini di decisioni politiche concrete. Infatti, sulla questione principale dei rapporti tra l’Italia e la Russia, le sanzioni, l’Italia ha approvato due volte la linea comune dell’UE, accettando a giugno e dicembre 2018 il rinnovo delle sanzioni su Mosca. D’altro canto, l’Italia vanta una lunga tradizione di amicizia con la Russia, anche durante il governo Renzi di centro-sinistra, con le sanzioni comunitarie contro la Russia in atto, sono stati sottoscritti accordi per un valore di oltre un miliardo di euro per progetti comuni in settori quali lo spazio, l’energia, il trasporto marittimo e l’aeronautica. Durante il successivo governo Gentiloni si è avuta una ripresa delle visite ufficiali, tra cui quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Mosca nell’aprile 2017, a seguito di una precedente visita dell’allora Ministro degli Interni Marco Minniti. Nello stesso anno si sono svolte anche le visite del Presidente del Consiglio Gentiloni e di Carlo Calenda, Ministro dello Sviluppo Economico. Il Ministro degli Esteri Angelino Alfano, da parte sua, si è recato due volte a Mosca nel 2017. Il governo Conte, come i precedenti, ha continuato a insistere sulla necessità di un dialogo con la Russia e a lavorare per una normalizzazione dei rapporti. Nell’ottobre 2018, durante la sua visita a Mosca, il vice primo ministro italiano e leader del Partito della Lega, Matteo Salvini, ha dichiarato di voler porre fine al regime sanzionatorio contro la Russia. Alla visita di Salvini ha fatto seguito quella del primo ministro Conte, che ha ribadito la posizione già espressa da Salvini riguardo alle sanzioni. In occasione della visita ufficiale del premier Conte sono stati sottoscritti tredici accordi economici bilaterali per un valore di circa un miliardo e mezzo di euro. Allo stesso tempo, l’attuale ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Enzo Moavero Milanesi, ha incontrato il suo omologo russo, Sergej Lavrov (Серге́й Ви́кторович Лавро́в), prima a Mosca l’8 ottobre 2018 e successivamente a Roma il 23 novembre 2018, per invitarlo a partecipare alla Conferenza “Rome Med Dialogues”, organizzata a Palermo. Durante l’incontro di Roma il ministro Moavero Milanesi ha dichiarato che Italia e Russia nella regione MENA hanno “una visione comune per la promozione della sicurezza e della stabilizzazione”.

 

Nonostante la retorica dell’attuale governo italiano, molto simile a quella del precedente governo di centro-sinista, la legittimità del referendum di Crimea e l’annessione della Russia alla penisola non sono ancora state formalmente riconosciute dall’Italia, che insiste con la piena attuazione dell’accordo cosiddetto “Minsk II” del 2015. Nell’estate del 2018, il presidente del Consiglio Conte ha dato credito alla proposta di Donald Trump di riammettere la Russia tra i membri del G7, ma finora nessuna misura concreta è stata adottata dall’attuale governo italiano per agevolare tale riammissione, come sottolineato da Nona Mikhelidze, Head of the Eastern Europe and Eurasia Programme dell’Istituto Affari Italiani (IAI). Lo stesso Salvini ha ammesso, nell’ottobre 2018, che il governo italiano ha altre priorità al momento che battersi per la fine delle sanzioni alla Russia; il vice premier italiano ha, infatti, messo al centro della sua agenda politica le politiche migratorie e i negoziati con l’UE sulla politica fiscale italiana. Difficile pensare a una presa di posizione come quella austriaca sulle sanzioni alla Russia da parte dell’attuale governo italiano, anche in considerazione del tradizionale impegno dell’Italia nei confronti dell’alleanza transatlantica.

 

La Realpolitk è lontana quindi dai principi ideologici, che invece avvicinano fortemente la destra estrema europea alla Russia conservatrice di Putin, ammirata dalla destra estrema europea per il tentativo di voler riaffermare con forza i propri interessi geopolitici, cosa che l’UE impedisce de facto agli Stati membri. Come sostiene Alijna Poliakova: “La destra europea vede il leader russo come uno strenuo difensore della sovranità nazionale e dei valori conservatori, che ha sfidato l’influenza degli Stati Uniti e l’idea di Europa in un modo che rispecchia le loro convinzioni”. Con la Great Recession, iniziata nel 2007-2008 a causa della crisi finanziaria che ha colpito l’economia di molti Paesi sviluppati, la Banca Centrale Europea di Francoforte ha varato alcune misure impopolari di austerità, che hanno inciso sul potere d’acquisto dei cittadini europei. Da questa insoddisfazione sociale è partita la campagna euroscettica dei principali partiti di estrema destra europei, che hanno assunto toni duri anche verso la politica migratoria dell’UE, considerata dai leader della destra estrema debole e nociva per i Paesi dell’UE, perché strumentalizzata dai vari Salvini, Le Pen, Orbán per far percepire gli sbarchi dei migranti all’opinione pubblica come il mezzo attraverso cui criminali e fondamentalisti islamici varcano i confini europei per insinuarsi nella società civile europea. La questione migratoria è stata, quindi, decisiva per il successo della destra estrema in Europa, che si ritiene la paladina dei valori tradizionali cristiani, a cui l’aumento demografico della popolazione di religione islamica residente in Europa attenterebbe.

 

Putin in Russia è considerato il difensore dei valori cristiano-ortodossi, con stretti legami con la Patriarcato di Mosca. La difesa dei valori cristiani è inserita in una più ampia politica culturale di stampo conservatore, ammirata ed emulata in Putin dall’estrema destra europea. Esempio di cui è la nota legge sulla propaganda anti-gay approvata dalla Duma nel giugno del 2013, in una Russia, dove il declino demografico ha raggiunto picchi di criticità nel ultimi anni e a cui il governo russo tenta di mettere rimedio attraverso il rilancio dei “valori familiari”, che insieme allo “spirito patriottico” e alla “sicurezza”, sono alla base dell’ideologia putiniana del “neoconservatorismo post-comunista”. Per Putin e per i russi che lo sostengono, il liberalismo culturale europeo, che garantisce pari diritti alle coppie omosessuali, non solo è degenerato, ma anche una minaccia per la sopravvivenza della Russia come nazione.

 

Ma quanto potrà durare ancora un’alleanza tra parti che vedono nel nazionalismo il fulcro di ogni politica e che hanno visioni opposte rispetto alla storia e al ruolo del nazionasocialismo?

 

La propaganda della destra estrema in Europa sta amplificando una vittoria alle elezioni parlamentari che de facto non esiste: come abbiamo già detto, l’affluenza alle urne è stata bassa, il Parlamento europeo è un organo di governo debole e, anche nella vittoria l’estrema destra è frazionata in alleanze concorrenti. Ma certa è l’eco mediatica e il consenso di popolo che le elezioni europee hanno suscitato nella politica interna dei Paesi membri dell’UE, dove cresce in modo esponenziale la disillusione nei confronti delle istituzioni europee, percepite troppo distanti dagli interessi del popolo.

 

In Russia, invece, Putin trova nel soft power applicato alla politica estera il contrappeso all’indice di gradimento più basso in assoluto che il popolo russo gli ha concesso in questi giorni, circa il 30%, in continua discesa, a causa della difficile situazione economica interna, con l’instabilità del rublo, pensioni e salari ai minimi storici, aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, le ripercussioni in Patria del supporto militare ed economico al governo di Bashar al-Assad in Siria e ai separatisti nel Donbass. Anche il sofisticato toolkit a disposizione dei media statali e di quelli controllati dal Cremlino non è più efficace negli ultimi tempi, nonostante le perfette tecniche di definizione dell’agenda, dell’inquadratura e della fornitura di disinformazione, che sono i punti fermi della propaganda mediatica di Mosca. Le recenti proteste a Ekaterinburg e il loro epilogo sembrano aver messo alla prova l’efficacia di queste tattiche, così onorate dal tempo e sollevare interrogativi sulla capacità del Cremlino di continuare a controllare la narrazione che circonda gli eventi di cronaca, come sottolinea Olga Irisova in un suo feature article dal titolo Yekaterinburg Protest Shows Cracks in Kremlin’s Media Manipulation per The Russia File. A blog of the Kennan Institut. A metà maggio, gruppi di residenti sono scesi in strada per protestare contro il progetto di costruire una chiesa in uno dei parchi cittadini di Ekaterinburg, che avrebbe privato i cittadini della fruizione di uno dei pochi spazi verdi a loro disposizione. Migliaia di persone si sono unite in poco tempo alle proteste, mentre altre centinaia di migliaia seguirono gli sviluppi sui social media o sui media locali indipendenti. Il Cremlino non è riuscito questa volta a filtrare e a impedire la diffusione capillare delle notizie su Ekaterinburg da parte di media indipendenti e dei social network, non solo, il Cremlino si è reso conto che alcune tecniche di disinformazione utilizzate fino a oggi con successo, nel caso delle proteste di Ekaterinburg si sono rivelate addirittura controproducenti e che l’influenza della TV, totalmente sotto il controllo di Mosca, sta via via perdendo terreno in Russia, dove internet si sta sostituendo, come in Occidente, ai canali televisivi per la diffusione di notizie.

 

Pertanto, anche se l’alleanza con l’estrema destra europea si dovesse rivelare transitoria, avrebbe dato comunque un supporto al Cremlino in un momento difficile, mentre se dovesse rivelarsi efficace sul lungo periodo, potrebbe rappresentare per Putin un valido strumento per influenzare la politica estera europea, indebolita dalla mancanza di consenso al suo interno, dai flussi migratori e dall’economia che non riesce a ripartire. Gli stessi partiti conservatori, adesso in crisi, potrebbero essere tentati a utilizzare la stessa retorica dei partiti di estrema destra, incentrata sul rispetto dei valori tradizionali e sui problemi di politica interna. Ciò indebolirebbe ulteriormente la posizione dell’UE a livello internazionale e la renderebbe vulnerabile a un’ingerenza di tipo politico da parte del Cremlino. Un’Europa con partiti di estrema destra al potere o forti di consensi significherebbe per la Russia avere nuovi alleati in senso antioccidentale e antiamericano. Per i Paesi europei governati dalla destra estrema ci sarebbero sicuramente, al di là dei finanziamenti elargiti ai singoli partiti alleati del Cremlino, agevolazioni sul prezzo di petrolio e gas, considerato che un terzo delle importazioni in EU di gas naturale proviene dalla Russia. In una vecchia ottica di Guerra Fredda tra Stati Uniti e Russia, l’Europa rappresenterebbe un’importante zona d’influenza, ma in un mondo multipolare, dove è in atto un processo di “dedollarizzazione”, sicuramente sarebbe riduttivo pensare all’Europa contesa solamente tra Russia e Stati Uniti.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Klapsis, Antonis. An Unholy Alliance: The European Far Right and Putin’s Russia. Wilfried Martens Centre for European Studies, 2015.

Mikhelidze, Nona. Italy and Russia: New Alignment or More of the Same?. IAI Commentaries, Issue 19|28.

Polyakova, Alina. “Putinism and the European Far Right.” Institute of Modern Russia 19 (2016): 2016.

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Shekhovtsov, Anton. Russia and the Western far right: Tango Noir. Routledge, 2017.



 

 

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[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

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