N. 55 - Luglio 2012
(LXXXVI)
LE IMPRESE DI FILIPPO II
L’INIZIO DELL’EGEMONIA MACEDONE - PARTE II
di Massimo Manzo
L’intervento
nella
terza
guerra
sacra
al
fianco
dell’Anfizionia
delfica,
guidata
da
Tebe,
contro
i
“sacrileghi
Focesi”
nel
354,
permise
al
sovrano
macedone
di
legittimarsi
anche
dal
punto
di
vista
ideologico
nei
confronti
degli
altri
greci,
presentandosi
come
“vendicatore
del
santuario
e di
Apollo”.
All’indomani
della
prima
importante
vittoria
contro
i
Focesi
sui
campi
di
Croco,
nel
352,
il
ruolo
di
Filippo
era
già
quello
del
protagonista,
come
ci
ricorda
Giustino:
E’
incredibile
quanta
gloria
Filippo
ne
acquistò
presso
tutti
i
popoli.
Si
diceva
che
egli
avesse
vendicato
il
sacrilegio
e
avesse
riscattato
il
culto
religioso
[…]
Era
perciò
ritenuto
degno
di
essere
stimato
vicinissimo
agli
dèi
colui
per
mezzo
del
quale
la
maestà
divina
era
stata
vendicata.
(Giustino
VIII
2,
5-7).
La
guerra
contro
i
Focesi
si
concluse
definitivamente
solo
nel
346,
permettendo
al
sovrano
l’ingresso
a
pieno
titolo
nell’Anfizionia,
in
posizione
preminente
in
forza
della
sua
crescente
potenza
politica
e
militare
rispetto
agli
altri
membri.
Un
aspetto
fondamentale
nella
politica
di
Filippo
fu
proprio
quello
“ideologico”.
La
sua
attenzione
a
giustificare
agli
occhi
degli
altri
greci
ogni
intervento
politico
e
militare
fu
infatti
una
costante
del
suo
regno,
e
una
delle
chiavi
del
suo
successo.
Senza
un’adeguata
“copertura
ideologica”
infatti,
volta
a
farlo
apparire
come
un
campione
della
grecità,
le
sue
continue
ingerenze
sarebbero
state
senz’altro
avversate
dai
più.
Un
ulteriore
esempio
dell’abilità
di
Filippo
nel
gestire
le
relazioni
diplomatiche
e i
rapporti
con
gli
altri
greci,
è
senza
dubbio
rappresentato
dall’ennesima
grave
tensione
con
Atene,
che
ebbe
stavolta
come
oggetto
la
città
di
Olinto.
Il
peso
crescente
di
Filippo
nel
nord
dell’Egeo
aveva
infatti
portato
la
Federazione
dei
Calcidesi
a
rinnegare
di
fatto
il
trattato
stipulato
nel
357,
riavvicinandosi
all’orbita
ateniese
in
funzione
antimacedone.
L’inevitabile
scoppio
della
guerra,
che
si
concluse
con
la
distruzione
di
Olinto
e di
altre
32
città
della
Calcidica
da
parte
della
poderosa
macchina
bellica
macedone,
permise
a
Filippo
di
impadronirsi
definitivamente
di
una
zona
ricchissima
di
miniere
e
strategicamente
fondamentale,
allargando
ormai
di
fatto
il
suo
potere
su
gran
parte
della
Grecia,
come
ricorda
Polibio:
C’era
la
federazione
delle
città
Greche
di
Tracia,
quelle
fondate
dagli
Ateniesi
e
dai
Calcidesi,
tra
le
quali
la
città
di
Olinto
aveva
grande
splendore
e
potere.
Filippo,
rendendola
schiava
e
facendone
un
esempio
per
tutti,
non
solo
si
impadronì
delle
città
della
Tracia,
ma
con
la
paura
ridusse
in
suo
potere
anche
i
Tessali.
(Polibio,
IX
28
2-3)
Eppure,
anche
tale
guerra,
che
aveva
fin
dal
suo
sorgere
chiari
intenti
egemonici,
fu
ancora
una
volta
mascherata
da
ragioni
ideologiche
di
giustizia.
Durante
le
celebrazioni
in
onore
di
Zeus
Olimpio
a
Dion,
pochi
mesi
dopo
la
distruzione
di
Olinto,
Filippo
riuscì
a
convincere
le
delegazioni
greche
(opportunamente
invitate
alle
celebrazioni)
che
il
suo
intervento
era
pienamente
giustificato
quale
“
punizione
dei
sacrileghi”.
Colpiti
positivamente
dalle
promesse
del
sovrano
e
dalla
sua
munificenza,
i
delegati
caddero
in
pieno
nella
trappola
ideologica
di
Filippo,
contribuendo
a
diffondere
nella
rispettive
città
l’immagine
non
di
un
barbaro
bramoso
di
potere,
ma
di
un
greco
fedele
ai
giuramenti
e
animato
da
nobili
sentimenti.
Tanto
efficace
fu
tale
opera
propagandistica
che
nel
346
fu
stipulato
un
importante
accordo
di
pace
tra
il
sovrano
e
Atene,
che
portò
ad
un
periodo
di
relativa
stabilità
politica,
con
la
momentanea
prevalenza,
nella
città
dell’Attica,
del
partito
filomacedone
di
Filocrate
su
quello
antimacedone
guidato
da
Demostene.
Fu
proprio
in
prossimità
della
conclusione
definitiva
del
trattato
che
il
retore
ateniese
Isocrate
concepì
il
famoso
“discorso
a
Filippo”,
il
quale
ebbe
subito
grande
diffusione.
Ricordando
la
discendenza
degli
argeadi
da
Eracle,
Isocrate
invitava
il
sovrano
a
riconciliare
tra
loro
i
greci,
esortandolo
a
guidare
la
riscossa
ellenica
contro
l’impero
persiano:
E’
dunque
compito
di
un
uomo
dotato
di
alto
sentire,
amante
degli
Elleni
e la
cui
mente
vede
più
in
la
degli
altri,
servirsi
di
questa
gente
contro
i
barbari
[…]
Dico
che
tu
devi
beneficare
gli
Elleni,
regnare
su
macedoni
e
dominare
su
quanti
più
barbari
puoi.
Se
agirai
così,
tutti
ti
saranno
grati,
gli
Elleni
per
i
benefici
che
riceveranno,
i
Macedoni
se
li
governerai
da
re e
non
da
tiranno,
gli
altri
popoli
se,
liberati
per
merito
tuo
da
un
dispotismo
barbarico,
godranno
della
protezione
ellenica.”
(Isocrate,
Discorso
a
Filippo,
122
e
154).
Cheronea
e la
lega
di
Corinto
Il
clima
di
distensione
tra
Filippo
e
Atene
non
durò
però
a
lungo.
Negli
anni
successivi,
infatti,
la
politica
del
sovrano
Macedone
si
fece
sempre
più
invasiva.
I
suoi
aiuti
agli
Argivi
e ai
Messeni
nel
Peloponneso
in
funzione
antispartana,
nonché
l’appoggio
dato
ai
Tessali
contro
gli
Alevadi,
vecchi
alleati
ora
combattuti
da
Filippo
in
nome
della
“libertà
dei
Tessali
contro
i
tiranni”,
crearono
un
crescente
clima
di
ostilità
ad
Atene,
alimentato
dal
presentimento
di
un
prossimo
accerchiamento
dell’Attica.
A
farsi
portavoce
delle
istanze
antimacedoni
fu
ancora
una
volta
Demostene,
eterno
nemico
di
Filippo,
che
facendo
leva
sui
sentimenti
di
riscossa
che
ormai
serpeggiavano
non
solo
ad
Atene,
ma
in
gran
parte
della
Grecia,
riuscì
nel
capolavoro
politico
di
formare
una
vasta
coalizione,
che
comprendeva
anche
Megara
e
Corinto,
pronta
a
fermare
il
“barbaro”
nemico
della
libertà
e
dei
governi
democratici.
Tanto
forte
era
ormai
la
paura
del
“tiranno”,
che
persino
Tebe,
storica
rivale
di
Atene,
respinse
le
richieste
dell’ambasceria
macedone
guidata
da
Pitone
di
Bisanzio
e si
schierò
senza
indugio
al
fianco
degli
Ateniesi.
L’epilogo
di
tale
scontro,
che
segnerà
le
sorti
del
mondo
greco,
si
ebbe
nella
battaglia
di
Cheronea,
nel
338
a.C.
Qui,
in
una
sanguinosa
battaglia
incerta
fino
all’ultimo,
le
forze
di
Filippo
prevalsero
su
quelle
dei
greci,
sancendo
definitivamente
il
trionfo
dell’egemonia
politica
macedone
rispetto
alle
istanze
indipendentiste
delle poleis.
L’uso
politico
che
il
re
fece
del
successo
militare
fu
ancora
una
volta
brillante.
Dopo
aver
punito
duramente
Tebe,
e
aver
posto
al
potere
nelle
città
ribelli
governi
filomacedoni
o
guarnigioni
militari,
l’atteggiamento
che
Filippo
tenne
nei
confronti
degli
Ateniesi
fu
sorprendentemente
mite.
Invece
di
umiliarli
infatti,
consegnò
senza
riscatto
i
prigionieri
alla
città
e
restituì
le
salme
dei
caduti
con
tutti
gli
onori,
riconoscendo
il
loro
valore
di
combattenti.
In
questo
modo
riuscì,
con
la
sua
benevolenza,
a
far
prevalere
senza
costrizioni
le
forze
filomacedoni
della
città,
assicurandosi
il
suo
appoggio
nella
imminente
spedizione
antipersiana
che,
sollecitata
quasi
dieci
anni
prima
da
Isocrate,
Filippo
era
ormai
pronto
a
iniziare.
Una
mossa
dal
forte
impatto
ideologico,
che
rendeva
l’
egemonia
sulla
Grecia
finalmente
accettata
persino
dagli
Ateniesi,
da
sempre
suoi
più
tenaci
avversari.
La
successiva
costituzione
della
Lega
di
Corinto,
nel
337,
fu
naturale
conseguenza
di
tale
situazione,
e
legò
finalmente
le poleis greche
(tranne
Sparta,
che
continuava
a
portare
avanti
la
tradizionale
politica
isolazionista)
alla
monarchia
macedone,
non
solo
dal
punto
di
vista
militare,
ma
anche
da
quello
ideologico
e
politico,
preparando
il
campo
per
“la
grande
vendetta”
degli
Elleni
contro
il
Gran
re.
La
parabola
di
Filippo
si
concluse
tragicamente
nel
336
a.C.,
ad
Ege,
durante
le
celebrazioni
delle
nozze
tra
sua
figlia
Cleopatra
e il
cognato
Alessandro
il
Molosso,
fratello
di
Olimpiade
e re
d’Epiro.
In
quell’occasione,
in
un
contesto
in
cui
il
sovrano,
invitando
gran
parte
dei
legati
greci,
sottolineava
ancora
una
volta
il
proprio
ruolo
diheghemon e
di
faro
della
civiltà
ellenica,
Pausania,
ufficiale
della
sua
guardia
del
corpo,
lo
assassinava
pugnalandolo
al
petto.
L’omicidio,
che
si
scoprì
essere
legato
a
ragioni
prettamente
personali,
mandava
in
pezzi
l’ambizioso
progetto
di
invasione
dell’Asia
proprio
nel
momento
in
cui
questo
era
sul
punto
di
essere
realizzato.
Così
morì
Filippo,
che
era
divenuto
il
più
grande
re
d’Europa
del
suo
tempo
e
per
la
grandezza
del
suo
potere
si
era
posto
al
trono
al
fianco
dei
dodici
dèi,
dopo
aver
governato
per
24
anni.
Questo
re
ha
la
fama
di
avere
creato,
nonostante
i
suoi
modestissimi
mezzi,
la
più
grande
monarchia
presso
i
Greci
e di
avere
accresciuto
la
sua
fama
non
tanto
con
il
valore
delle
armi,
quanto
con
l’affidabilità
e la
diplomazia
nelle
trattative.
la
più
(Diodoro
XVI
95,
1-4)
L’irresistibile
ascesa
di
Filippo
fu
quindi
merito
del
suo
genio
politico
e
diplomatico,
e
non
solo
frutto
delle
vittorie
militari.
L’immenso
apporto
che
il
suo
governo
portò
alla
successiva
impresa
del
figlio
Alessandro
in
Asia
è
incontestabile.
Dando
un
nuovo
vigore
politico
alle
poleis
greche
e
legandone
le
fortune
al
destino
della
monarchia
macedone,
il
re
“barbaro”
rese
infatti
possibile
la
successiva
diffusione,
ad
opera
delle
conquiste
del
figlio,
della
cultura
greca
in
oriente
e in
luoghi
in
cui
mai
sarebbe
riuscita
a
penetrare.
Riferimenti
Bibliografici:
A.
Momigliano, Filippo
il
Macedone,
Milano
1987.
R.
Paribeni, La
Macedonia
sino
ad
Alessandro
Magno, Milano
1947.
D.
Musti, Storia
greca.
Linee
di
sviluppo
dall'età
micenea
all'età
romana, Roma-Bari,
2006.
S.
Accame, L'imperialismo
ateniese
all'inizio
del
secolo
IV
A.C.
e la
crisi
della
polis,
Napoli
1966.
G.
Squillace, Filippo
il
Macedone,
Bari
2009.
A.
Momigliano, Re
e
popolo
in
Macedonia,
Roma
1975.