L'importanza geopolitica del
Mediterraneo
Analisi DELLE politiche UE
di Emanuele Molisso
Situato
tra Europa, Nord Africa e Asia
Occidentale, il Mar
Mediterraneo è un vero "ponte" tra i
territori di tutto il mondo. Risulta
perciò, geopoliticamente parlando,
oltremodo fondamentale per gli equilibri
odierni, tanto da essere stato
ribattezzato dagli analisti
geopolitici “medioceano”.
Dal punto di vista geopolitico,
l’Unione Europea è il principale
attore della regione con ovvi
risvolti anche per le superpotenze
del mondo ovvero Stati Uniti
d’America, Cina e Russia. Negli
ultimi anni, l’UE non riesce a
creare una politica di cooperazione
in questo quadrante regionale. I
motivi sono svariati come ad esempio
la debolezza di alcuni stati membri,
tra cui l’Italia che non riesce a
imprimere la propria impronta sulla
regione (che dovrebbe essere
facilitata dalla sua posizione
geografica) oppure dall’instabilità
che percorre gli stati del Nord
Africa o alcuni stati del Medio
Oriente. Una difficoltà che l’Unione
Europea ha dovuto affrontare fin
dalla sua creazione.
L’allora CEE decise di realizzare
una politica mediterranea per vari
motivi: la secolarità delle
relazioni storiche e commerciali tra
le due sponde del Mediterraneo,
affinità di civiltà e stretto
intreccio dei rapporti umani,
l’interesse a trasformare la regione
in un quadrante pacificato con
nessuna rivalità tra le varie
superpotenze, la creazione di
un’area di sviluppo tra i vari paesi
mediterranei per
l’approvvigionamento di materie
prime non presenti sul suolo
europeo. Ma la possibilità di creare
una politica mediterranea vide fin
da subito, come abbiamo detto
poc’anzi, delle difficoltà e
problemi interni alla stessa
comunità europea.
Ad esempio, la stessa Italia, che
viveva un’instabilità interna grave
e non riusciva, allora come oggi, a
ergersi come guida trainante di
questo quadrante. Ma i problemi
c’erano anche per i francesi, i
quali erano visti come
“colonizzatori” visto il loro
passato imperialista nel Nord Africa
e quindi risultava difficile
riuscire a far sottoscrivere accordi
multilaterali per la Francia nella
regione. Quindi, negli anni
Cinquanta del Novecento, l’approccio
al Mediterraneo era per forza di
cose, pragmatico e frammentario e
per questo si decise di istituire
due linee guida lungo cui muoversi:
la regolamentazione dei rapporti con
ex-territori francesi d’oltremare e
lo sforzo di allargare verso
sud-est, l’integrazione europea in
funzione del consolidamento del
sistema atlantico.
I primi passi furono mossi nel 1956,
dopo la crisi di Suez, e da questo
momento possiamo delineare ben
quattro fasi delle varie politiche
mediterranea delineate dall’Unione
Europea. La prima fase è quella che
va dal 1957 al 1972. I primi
quindici anni della politica europea
per il Mediterraneo sono stati
caratterizzati da un approccio di
chiara impostazione francese
(gollista) di tipo regionalista, che
perseguiva la costruzione di
un’Europa delle nazioni, a difesa
dei propri specifici interessi
politici, economici, culturali e che
mantenesse una relativa autonomia,
soprattutto economica, dalle due
superpotenze del tempo ovvero Stati
Uniti d’America e Unione Sovietica.
Questa corrente votava
favorevolmente alla costruzione di
rapporti privilegiati con le
ex-colonie francesi. Alla corrente
regionalista, si contrappose
un’altra corrente prodotta dal
pensiero europeo del tempo, definita
mondialista. Essa sosteneva che la
costruzione europea non potesse
realizzarsi senza un’alleanza
strategica con gli Stati Uniti
d’America e con l’esposizione delle
economie europee al libero scambio
su scala mondiale.
Il dibattito tra le due correnti
portò alla creazione di tre tipi di
accordi, a partire dal 1961: accordo
di associazione, accordo commerciale
preferenziale, accordo commerciale
non preferenziale. Con questo tipo
di accordi, la CEE intendeva
stringere una serie di accordi
bilaterali con quasi tutti i paesi
mediterranei, basati essenzialmente
sull’acquisto di materie prime e la
vendita di prodotti industriali,
andandosi a configurare come il
partner economico principale per
tutte le economie del Mediterraneo.
Alla fine,le trattative avviate si
ridussero a essere quasi
esclusivamente caratterizzata da
un’impostazione commerciale e
tariffaria.
L’aggravarsi della situazione
arabo-israeliana-palestinese ebbe
ripercussioni sulla regione
all’entrata negli anni Settanta. La
conseguenza negativa maggiore fu la
difficoltà nell’approvvigionamento
petrolifero. In questa situazione,
si entrò nella seconda fase che va
dal 1972 al 1985. L’obiettivo
principale divenne la creazione di
una politica mediterranea globale
che doveva avere l’obiettivo di
ristabilire l’equilibrio
socioeconomico dell’area
mediterranea, attraverso
l’instaurazione di un nuovo sistema
di relazioni tra i paesi
mediterranei in via di sviluppo e le
economie europee industrializzate.
Per arrivare a ciò, lo strumento
prescelto fu l’accordo di
cooperazione con un modello
imperniato su due filoni: il primo
era quello commerciale che
riguardava i prodotti agricoli e
industriali dei paesi mediterranei,
ai quali fu concesso un accesso
preferenziale al mercato
comunitario. Il secondo era quello
tecnico-finanziario con cui la
comunità europea si prefissava di
essere attiva protagonista nella
creazione di progetti di sviluppo di
comune interesse. Un progetto quello
di una prima politica mediterranea
globale che fallì miseramente perché
alla fine, si andarono a favorire
solamente le produzioni europee e
non quelle dei paesi mediterranei.
Un fallimento che fece
progressivamente abbandonare l’area
del Mediterraneo, la quale
nell’ultimo ventennio del XX secolo,
fu messa in secondo piano dalla
caduta del Muro di Berlino nel 1989,
dallo scoppio della guerra del Golfo
nel 1991 e nello stesso anno,
dall’instabilità dell’Algeria e
dallo scoppio del conflitto
interetnico nei Balcani.
Questo clima d’instabilità
caratterizzò la terza fase che dal
1986 al 1989, vide la politica
comunitaria mediterranea limitarsi
soltanto al mantenimento dei
tradizionali flussi di esportazione,
finendo in secondo piano per i
motivi elencati poco fa. Questo
portò a una quarta fase che dal
1990, dura fino ai giorni nostri.
Una fase che si è aperta con una
persistente generale instabilità
vista la mancanza di prospettive di
sviluppo sociale ed economico per i
paesi poveri del Mediterraneo,
dovuta in larga misura
all’instabilità politica regionale
che ha sempre favorito, l’esplosione
di conflitti latenti nell’area. Ma
non tutto è rimasto fermo. Infatti,
dal 1990, si è iniziato a dare vita
a quattro revisioni.
Nel 1990 si è iniziato con la
politica di vicinato. Una politica
mirata a porre in primo piano la
vicinanza geografica dei paesi
mediterranei terzi alla comunità
europea, per qualificare il loro
sviluppo sociale ed economico, come
interesse di sicurezza della CEE.
Una politica che è rimasta a metà
strada tra una cooperazione
regionale e il tradizionale
bilateralismo dei protocolli e che
non è riuscita a promuovere una
cooperazione politica che mirasse
alla creazione di strutture comuni.
Nel 1992 si proseguì con la politica
di partnership con i paesi del
Maghreb, che aveva l’obiettivo di
integrare i protocolli bilaterali
con gli stati della regione del
Maghreb per riuscire a creare una
zona di libero scambio che portasse
alla creazione di una partnership
euro-maghrebina. L’anno successivo,
nel 1993, furono poste le basi per
una politica di “integrazione”
regionale in Medio Oriente con cui
la CEE si qualificava come
importante mediatore per un processo
di pace comunitario e per questo,
tutti i meccanismi bilaterali e
aiuti finanziari, furono messi in
secondo piano rispetto al progetto
di creazione di una rete di
cooperazione e una zona di libero
scambio regionale. Nel 1994, invece,
fu fissato l’obiettivo di una “zona
euro mediterranea” di pace e
stabilità con cui si inizia a
parlare di un modello di
partenariato per la regione
mediterranea e inoltre si iniziò a
parlare della creazione di un
contesto politico comune.
Il 1995 è un anno fondamentale per
il processo di creazione di una
politica mediterranea globale. Il
27e 28 novembre del 1995, a
Barcellona, si tenne la conferenza
euro-mediterranea con cui la
commissione europea decise di
regolamentare i rapporti tra le due
sponde del Mediterraneo con il piano
denominato “Il consolidamento della
politica mediterranea dell’Unione
Europea: proposte per la creazione
di un Partenariato Euromediterraneo”.
Il PEM indicava come obiettivi
fondamentali la pace, la stabilità e
la prosperità che dovevano essere
raggiunte con un rafforzamento della
democrazia e con politiche mirate a
uno sviluppo socioeconomico
sostenibile. Il Partenariato era
diviso in tre parti: Partenariato
politico e di sicurezza finalizzato
alla creazione di uno spazio comune
di pace e stabilità, Partenariato
economico e finanziario volto a
promuovere una zona di prosperità
condivisa, Partenariato in vari
settori, in vista di una migliore
comprensione tra culture. Il
Partenariato per la prima volta,
faceva abbandonare la visione
eurocentrica e metteva al centro le
aspirazioni e i bisogni dei partner
mediterranei. Un deciso passo in
avanti nella creazione di una
politica mediterranea.
Ma nel 2001, ci fu un netto passo
indietro, dopo gli attentati
terroristici dell’11 settembre di
New York e quelli successivi a
Madrid e Londra, i quali riportarono
in auge la minaccia del terrorismo
di matrice fondamentalista islamica.
Questo fattore, unito
all’instabilità regionale del Medio
Oriente, ha provocato il non
raggiungimento dell’obiettivo
principale del PEM ovvero la
creazione di un’area di stabilità e
prosperità in un contesto di
democratizzazione e integrazione
economica. Nel 2003, la commissione
europea ha redatto il Wider Europe
ovvero un documento che delineava la
futura strategia europea nei
confronti dei paesi limitrofi,
ritenuti una componente
imprescindibile per garantire ai
paesi europei sicurezza, stabilità e
sviluppo sostenibile. Quindi fu
varato il PEV ovvero la Politica
Europea di Vicinato con l’obiettivo
di stabilire sicurezza e pace nello
spazio circostante l’Unione Europea.
Il PEV si basò sullo stringere
accordi bilaterali concordati tra la
commissione europea e i paesi
coinvolti, articolati su una serie
di condizioni che, una volta
raggiunte, hanno permesso di
procedere alla stipula degli accordi
europei di prossimità.
Ma una nuova stagione di crisi la si
visse nel 2011, nel momento in cui
ci furono le primavere arabe. La
commissione europea promosse un
“Partenariato per la democrazia e la
prosperità condivisa con il
Mediterraneo meridionale”. Gli
obiettivi erano il sostegno
strategico alla primavera araba e il
ruolo dell’UE come partner naturale,
per agevolare e gestire le
transizioni democratiche nei paesi
del Mediterraneo. Il Mediterraneo,
quindi, doveva essere reso una zona
democratica stabile e prospera, con
l’impegno di salvaguardare i
processi di transizione democratica
con l’obiettivo di instaurare una
struttura economica volta a una
crescita sostenibile e inclusiva,
nel quadro di una integrazione
regionale.
Oggi, il Mediterraneo si presenta
come uno spazio integrato che però,
allo stesso tempo, è frammentato
secondo un nuovo modello di
relazioni che ha visto l’abbandono
del paradigma stato centrico, in
favore di una che prediligeva un
reticolo di rapporti economici,
politici, militari, civili,
culturali e sociali tra attori
pubblici e privati, con la
conseguente creazione di uno spazio
amministrativo che riesca a cercare
un legame tra i singoli diritti
nazionali e il diritto
internazionale classico.
Riferimenti bibliografici:
L. Accarino, La UE e i paesi del
Mediterraneo in “Rivista di
Studi Politici e Internazionali”,
vol. 63, n 4. (252),
ottobre-dicembre 1996, pp. 483-497.
M.P. Belloni, La politica
mediterranea della CEE (trattative,
accordi, dissensi) in “Il
Politico”, vol. 44, n. 3, settembre
1979, pp. 547-571.
A. Isorni, Da Barcellona a
Marsiglia. Le politiche dell’Unione
Europea nel Mediterraneo in
“Rivista di Studi Politici
Internazionali”, n.s., vol. 79, n.
2, (aprilegiugno 2012), pp. 223-241.
G. Notarstefano, R. Scuderi, La
vicenda del Partenariato euro
Mediterraneo: prospettive e percorsi
d’integrazione in “Rivista
Internazionale di Scienze Sociali”,
anno 112, n. 4, (ottobre-dicembre
2004) pp. 399-432.