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N. 80 - Agosto 2014 (CXI)

I sommergibili nella Grande Guerra
sviluppo e impiego

di Leonardo Merlini

 

La Grande Guerra costituì la prima, vera occasione in cui operarono nuovi mezzi e nuovi sistemi d’arma che, opportunamente trasformati, migliorati e sviluppati dal punto di vista tecnologico, vengono impiegati ancora oggi con successo.

 

Il contesto storico, politico e culturale, rappresentato da un rapido e inaspettato sviluppo di macchine moderne e nuove tecnologie, all’epoca incarnato con veemenza dal movimento futurista [i cui dettami furono elencati nel celebre Manifesto del  Futurismo, firmato da Filippo Tommaso Marinetti e pubblicato nel 1909 su Le Figaro, ndr], diede un ulteriore efficace impulso alla guerra e a tutto ciò che intorno ad essa ruotava.

 

Il Manifesto dal titolo “Guerra sola igiene del mondo”, edito nel 1915, è un esempio della forza brutale, un’esortazione a prendere le armi contro i nemici del rinnovamento, contro gli assetti costituiti, contro le pacificazioni di comodo.

 

La guerra era vista come unica alternativa per un radicale rinnovamento dell’umanità, finalizzato alla nascita di un uomo nuovo, anche a prezzo di un gran numero di vite umane, immolate in sacrificio di questo ideale.

 

In tale contesto irrequieto si assistette alla progettazione e alla costruzione di un turbinio di sofisticati mezzi e, fra questi, di nuovi sistemi d’arma, di dirigibili, idrovolanti e aerei, di sommergibili, di dragamine, di motoscafi anti sommergibile, di mine, ecc.

 

Nell’ambito di queste novità i sommergibili rappresentarono, a livello mondiale, una delle armi più efficaci e pertanto fra le più impiegate. Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Russia, Germania, Austria, Giappone e molti altri stati intuirono l’efficacia tattica e strategica della nuova arma subacquea e non esitarono prima, durante e soprattutto dopo la prima guerra mondiale ad investire sul suo sviluppo tecnologico.

 

Il carattere mondiale del conflitto, rappresentò inoltre un’occasione unica per condividere esperienze industriali e belliche che portarono alle prime joint venture e alle prime esperienze di vere operazioni interforze e interalleate, così come le chiameremmo oggi.

 

La guerra navale fu combattuta alacremente nel Mare del Nord come nel Mediterraneo con lo scopo di assicurarsi il dominio del mare ossia, come afferma Romeo Bernotti (1877 – 1974, ammiraglio e politico italiano, autore di numerosi scritti di dottrina navale, tuttora oggetto di studio), “potersi valere del mare e avere tolto al nemico la possibilità di valersi delle vie marittime per il conseguimento dei suoi obiettivi essenziali, e avergli tolto la possibilità di contrastare in modo decisivo la libertà di movimento”.

 

Un ruolo fondamentale sul dominio del mare lo ebbero i sommergibili.

 

Nel Mare del Nord la Germania fu la regina indiscussa della guerra subacquea, conducendo una lotta inesorabile al traffico mercantile e arrecando seri danni al nemico, sia in termini di tonnellaggio che in termini economici.

 

L’incertezza e la pericolosità delle rotte commerciali, infestate da U-Boot tedeschi, obbligò soprattutto Gran Bretagna e Francia a tenere sempre in massima allerta le proprie flotte.

 

Questa strategia di deterrenza contro il traffico nemico, risultò per molti aspetti efficace anche se, con l’affondamento del transatlantico Lusitania (nel quale perirono 1198 persone – 413 membri dell’equipaggio e 785 passeggeri di cui 128 americani), fu unanimemente messa sotto accusa e contribuì all’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco dell’Intesa.

Nel Mediterraneo le cose non cambiarono di molto. Anche qui il traffico mercantile fu minacciato dalla silenziosa presenza dell’arma subacquea e obbligò i paesi dell’Intesa a prendere le dovute contromisure.

 

È proprio durante il primo conflitto mondiale, e su iniziativa italiana, che nascono i primi convogli marittimi (che avranno diffusissima applicazione durante la seconda guerra mondiale) proprio per difendere il traffico mercantile dalla minaccia dei sommergibili.

 

Lo scacchiere geo-strategico del Mediterraneo era sicuramente influenzato da quello Adriatico che, con le coste Dalmate, frastagliate e difese da una miriade di isole ed isolotti, rappresentava un punto di forza per gli Imperi Centrali, essendo un approdo ottimale soprattutto per i sommergibili.

 

Indisturbati i battelli potevano raggiungere i porti amici senza essere intercettati, rifornirsi e riposarsi dopo estenuanti missioni e ripartire per delle nuove. Tale situazione fu in larga misura arginata con lo sbarramento del Canale d’Otranto (1917-1918).

 

La Regia Marina ebbe un ruolo fondamentale in Mediterraneo e soprattutto in Adriatico.

 

In considerazione della disparità della conformazione geografica delle due coste dell’Adriatico, nettamente a favore dell’Alleanza, fu concordato, con il Comitato Militare Interalleato, di costringere gli Austriaci, con la sorveglianza marittima, a rimanere nelle loro basi. L’Italia si assoggettò a questo gravoso servizio che non le concedeva il lustro di un risultato brillante, ma che lentamente tolse al nemico ogni superiorità strategica.

 

La vigilanza fu condotta dal naviglio leggero (crociere e approntamento), dai MAS (agguati), dai sommergibili (agguati) e dagli aerei (ricognizioni).

 

I battelli italiani fin dall’inizio delle ostilità furono integrati da quelli francesi ed inglesi e furono sempre animati da un alto spirito di sacrificio e del dovere in questo duro servizio; le perdite non furono lievi e il limitatissimo traffico avversario ridusse notevolmente le occasioni favorevoli all’azione.

 

Nel documento “Alcune considerazioni sulla guerra navale in Adriatico nel periodo 1915-1918”, redatto dall’ufficio dell’allora capo di stato maggiore e conservato presso l’archivio dell’Ufficio Storico della Marina, è sintetizzata l’onerosa opera di vigilanza effettuata dai nostri battelli.

 

«Le zone di agguato variarono nel corso della guerra a seconda delle vicende degli avvenimenti. Di massima nel Basso Adriatico e nel 1916 furono mantenute sotto vigilanza le zone di Capo Planka (penisoletta rocciosa che si spinge nell'Adriatico, nella costa dalmata centrale, tra Sebenico a nord e Traù a sud, in Croazia, ndr), di Cattaro (città della repubblica del Montenegro, situata sulla costa adriatica articolata da serie di profondi bacini perfettamente riparati dal mare aperto, che costituiscono il più grande porto naturale del mar Adriatico e ricordano vagamente, per la loro forma frastagliata, i fiordi norvegesi, ndr) e di Durazzo, nel 1917 fu intensificato il servizio sotto costa comprendendo il Golfo del Drin (in Albania, ndr) e furono istituite due nuove zone, una al centro dell’Adriatico sul parallelo di Brindisi, ed un’altra difensiva nel Golfo di Manfredonia; nel 1918 le zone costiere furono spostate verso il mare largo accrescendo il numero dei posti di agguato; era questo il periodo in cui il servizio sotto costa era affidato ai MAS. Nell’Alto Adriatico erano costituite due squadriglie una ad Ancona e una a Venezia, alla prima veniva affidato il compito della sorveglianza della costa adriatica da Pesaro a san Benedetto del Tronto, con alcuni agguati sulla rotta di Pola al centro dell’Adriatico, alla seconda gli agguati nella zona Foce del Piave - Caorle - Grado - Salvore (è il punto più occidentale dell'Istria, e quindi di tutta la Croazia, nonché il limite meridionale del Golfo di Trieste, ndr) - Promontore (penisola costituita da una sottile lingua di terra situata all'estremità meridionale dell'Istria a sud di Pola, ndr) - Parenzo (città croata situata sulla costa occidentale della penisola istriana, ndr) - Lussino (isola della Croazia nell'alto Adriatico situata nella parte meridionale dell'arcipelago del Quarnero, ndr) - Sansego (piccola isola del nord dell'Adriatico sulle coste della Croazia, ndr) - Punta Maestra (foce del Po, ndr). Nel 1917 la zona di questa squadriglia rimase inalterata pur stabilendosi una maggiore esattezza; e cioè si ebbero agguati frequenti sotto Pola, allo sbocco del Quarnero (braccio di mare dell'Adriatico settentrionale, che separa l'Istria dalle isole di Cherso e Lussino, ndr), nelle vicinanze di Punta Maestra; i sommergibili di Ancona si spinsero agli sbocchi dei canali delle isole dalmate. Con il 1918 entrò in servizio una stazione di sommergibili a Porto Corsini e le posizioni degli agguati formarono una catena su di una rotta da Punta Salvore a Punta Maestra; saltuariamente erano ordinati agguati in prossimità di Pola, Parenzo, Secca Pericolosa, Scoglio della Galiola (pressappoco all’imboccatura del Quarnaro, ndr), paraggi della Farasina (braccio di mare che separa l'isola di Cres dalla costa orientale dell'Istria in Croazia, ndr) e Punta Nera (Rasa, Istria, ndr). Altre posizioni erano difensive come in prossimità della costa di Rimini e Porto Corsini».

 

94.667 ore di moto, 517.000 miglia percorse in 4216 missioni questi sono i numeri che sintetizzano l’operato dei nostri sommergibili.

 

Missioni votate al sacrificio, su mezzi angusti e ancora poco sicuri che non inficiarono l’efficacia e l’eroismo dei nostri marinai.

 

Fra tutti ricordiamo il sacrificio del battello Giacinto Pullino che, nelle prime ore del 31 luglio 1916 si incagliò sullo scoglio della Galiola durante una missione contro Fiume.

 

Fra i membri dell’equipaggio catturati dagli austriaci (equipaggio che, prima di abbandonare il battello, lo predispose per l’autoaffondamento e ne distrusse i cifrari di bordo e le apparecchiature), menzioniamo l’irredentista tenente di vascello Nazario Sauro che, successivamente, venne condannato alla pena di morte per alto tradimento, tramite impiccagione che fu eseguita nelle carceri militari di Pola il 10 agosto 1916.

 

A Nazario Sauro Vittorio Emanuele III nel gennaio 1919 concesse la medaglia d'oro al valor militare alla memoria, con la seguente motivazione: «Dichiarata la guerra all'Austria, venne subito ad arruolarsi volontario sotto la nostra bandiera per dare il contributo del suo entusiasmo, della sua audacia ed abilità alla conquista della terra sulla quale era nato e che anelava a ricongiungersi all'Italia. Incurante del rischio al quale si esponeva, prese parte a numerose, ardite e difficili missioni navali di guerra, alla cui riuscita contribuì efficacemente con la conoscenza pratica dei luoghi e dimostrando sempre coraggio, animo intrepido e disprezzo del pericolo. Fatto prigioniero, conscio della sorte che ormai l'attendeva, serbò, fino all'ultimo, contegno meravigliosamente sereno, e col grido forte e ripetuto più volte dinnanzi al carnefice di “Viva l'Italia!” esalò l'anima nobilissima, dando impareggiabile esempio del più puro amor di Patria.» Alto Adriatico, 23 maggio 1915 - 10 agosto 1916.

 

Il 1918 invece segnò i maggiori successi della flotta subacquea italiana. L’F 7 affondò il 12 febbraio nei paraggi di Lussino il piroscafo austriaco Pelagosa e l’11 agosto nelle acque di Pago (isola della Croazia, situata in Dalmazia settentrionale di fronte al litorale croato, ndr) il mercantile Euterpe; l’F 12 invece il 4 luglio silurò il sommergibile austriaco U 20 alle foci del Tagliamento facendolo inabissare in pochi minuti.

 

L’efficacia del mezzo subacqueo convinse tutte le potenze a sviluppare e migliorare l’abitabilità e le capacità operative dei sommergibili che saranno massivamente impiegati nella seconda guerra mondiale. La Marina italiana, nel 1940 con 115 battelli, seconda flotta subacquea al mondo per numero e tonnellaggio, segnerà pagine epiche anche nel secondo conflitto mondiale emulando l’eroismo delle precedenti generazioni.



 

 

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