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N. 25 - Gennaio 2010
(LVI)
Immigrazione oggi
clandestinità e futuro
di Cristiano Zepponi
Mentre
il
dibattito
pubblico
continua
a
concentrarsi
sul
tema
dell’immigrazione,
e
più
recentemente
sul
reato
di
clandestinità
(introdotto
dalla
legge
94
del
15/07/2009),
la
“Fondazione
Migrantes”
della
Cei
ha
diffuso
la
quarta
edizione
del
"Rapporto
Italiani
nel
Mondo
2009":
un’analisi
particolareggiata
e
puntuale
sulla
storia,
lo
stato
e le
tendenze
future
dell’emigrazione
italiana.
Dallo
studio,
presentato
a
Roma
il
19
novembre,
emerge
un
dato
sorprendente:
il
sorpasso
dei
connazionali
all’estero
sugli
stranieri
in
Italia.
I
primi,
allo
scorso
aprile,
ammontavano
infatti
a
3.915.767
(+181.339
unità
rispetto
all’anno
precedente),
mentre
i
secondi
risultavano
invece
3.891.295;
un
aumento,
quello
della
comunità
italiana
residente
all’estero,
spiegabile
sia
con
l’aggiornamento
delle
stime
precedenti
che
con
la
crescita
interna
e le
nuove
partenze.
La
ripartizione
continentale
conferma
il
predominio
d’Europa
(55,8%)
e
America
centromeridionale
(30,2%),
seguite
da
America
settentrionale
(8,7%),
Oceania
(3,2%),
Africa
(1,3%)
e
quindi
Asia
(0,8%).
La
Germania
domina
invece
la
graduatoria
nazionale,
con
616.407
italiani,
seguita
da
Argentina
(593.520)
e
Svizzera
(520.713).
Resiste,
inoltre,
una
caratteristica
di
lungo
corso:
la
prevalenza
d’emigrati
d’origine
meridionale,
pari
al
54,8%
(1
milione
e
400
mila
dal
Sud,
800
mila
dalle
Isole).
Al
tempo
stesso,
accanto
a
elementi
decisamente
tradizionali,
lo
studio
dimostra
la
nascita
d’una
forma
di
transnazionalismo
contemporaneo,
caratterizzato
dall’uso
di
tecnologie
moderne
(mezzi
di
trasporto
veloci,
di
comunicazione
a
distanza)
e
dall’inserimento
degli
emigrati
nel
mercato
del
lavoro
globale.
A
questo
proposito,
non
si
può
non
citare
la
ripresa
di
un’emigrazione
‘qualificata’:
non
solo
d’italiani
con
titoli
di
studio
d’alto
livello,
ma
anche
di
“pendolari”
in
possesso
di
qualifiche
di
media
o
bassa
caratura
che
espatriano
in
seguito
alle
necessità
delle
aziende
o
enti
d’appartenenza
-
per
i
quali,
ormai,
la
mobilità
è
divenuta
un
prerequisito
indispensabile.
Interessante
constatare,
inoltre,
la
comparsa
d’un
nuovo
ceto
di
giovani
‘italiani
all’estero’,
istruiti,
bilingui,
mobili
e
integrati
nei
contesti
legali
o
commerciali
dei
Paesi
ospitanti,
e la
contemporanea
diffusione
di
un’idea
d’italianità
per
così
dire
‘secolarizzata’,
sostanziata
dai
risultati/successi
ottenuti
all’estero,
assai
diversa
da
quella
‘memoria
dell’altrove’
che
per
tanti
anni
ha
contraddistinto
il
fenomeno
migratorio.
Per
quanto
riguarda
i
giovani
alcuni
dati
meritano
un’ulteriore
riflessione.
La
fascia
d’età
fino
a 35
anni
comprende,
infatti,
più
della
metà
(il
54%)
degli
italiani
all’estero;
quella
tra
i 18
e i
35
(la
‘collettività
giovane’)
corrisponde
grosso
modo
ad
un
quarto
(24%)
del
totale.
La
‘collettività’
risiede
principalmente
in
Europa/Nord
Africa
(53,9%)
e
America
Latina
(33,1%),
mentre
i
Paesi
anglofoni
ne
accolgono
soltanto
una
frazione
(10,1%);
a
livello
nazionale,
di
nuovo,
ritroviamo
la
Germania
(18,4%)
a
guidare
la
classifica,
seguita
da
Argentina
(16,6%)
e
Svizzera
(12,2%).
A
questi
dobbiamo
però
aggiungere
gli
studenti
universitari,
la
cui
mobilità
è
dettata
da
elementi
peculiari
(lingua
parlata
nell’Università,
costo
degli
studi,
legislazione
favorevole
all’immigrazione
temporanea,
reputazione
accademica)
e
spronata
dalla
ristrutturazione
di
specifici
programmi
europei
a
breve
termine
(Erasmus);
quelli
italiani,
a
loro
volta,
alle
nazioni
che
in
passato
hanno
registrato
i
principali
flussi
dalla
penisola
(Germania,
Belgio)
sembrano
oggi
preferire
i
principali
poli
d’attrazione
culturale
a
livello
globale
(Stati
Uniti
e
Regno
Unito
su
tutti)
oppure
Paesi
che
intrecciano
con
l’Italia
forti
legami
culturali
e
linguistici
(Spagna,
Austria).
Per
i
giovani,
la
prospettiva
di
vita
in
Italia
rimane
precaria:
meritocrazia
lacunosa,
debolezza
degli
ammortizzatori
sociali,
inefficienza
burocratica,
malcostume-malversazioni
nell’assegnazione
dei
fondi
di
ricerca,
penuria
di
finanziamenti
adeguati
continuano
a
scoraggiare
le
nuove
generazioni,
e ad
impedire
i
rimpatri
dall’estero.
Tra
gli
emigrati,
invece,
quattro
su
cinque
sono
riusciti
a
migliorare
il
tenore
di
vita
in
tempi
brevi
e si
dicono
“abbastanza
soddisfatti
del
proprio
lavoro”:
l’emigrazione,
temporanea
o
permanente,
resta
per
molti
l’ultima
speranza
di
prospettive
lavorative
soddisfacenti.
Eppure,
un’ombra
cupa
sembra
oscurarne
il
futuro:
le
previsioni
degli
addetti
ai
lavori,
infatti,
concordano
nel
ritenere
gli
emigrati
una
delle
categorie
più
esposte
alla
crisi
finanziaria
in
atto,
in
termini
di
perdita
del
lavoro
e
delle
reti
d’assistenza
costruite
negli
anni.
Solo
il
tempo,
e
altri
dati,
ci
diranno.
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