N. 37 - Gennaio 2011
(LXVIII)
"PERICOLI" LIBICI
TRA migranti e rifugiati
di Giovanni Piglialarmi & Roberto Rota
RIl
governo
libico
ha
commesso
gravi
abusi
dei
diritti
umani
a
danno
dei
migranti
che
chiedono
asilo,
tra
cui
percosse,
arresti
arbitrari,
rimpatri
forzati.
L’Unione
Europea,
intanto,
è
intervenuta
sulla
questione,
negoziando
con
la
Libia
per
il
congiunto
pattugliamento
delle
coste
allo
scopo
di
bloccare
l’immigrazione.
Ma i
membri
dell’UE,
in
particolar
modo
l’Italia,
non
hanno
invitato
la
suddetta
Libia
a
rispettare
i
diritti
delle
centinaia
di
migliaia
di
stranieri
che
ospita.
In
questa
disperata
situazione,
Bill
Frelick,
direttore
responsabile
del
programma
rifugiati
di
Human
Rights
Watch,
ha
affermato
che
“l’Unione
Europea
sta
lavorando
con
la
Libia
per
impedire
a
queste
persone
di
raggiungere
l’Europa
piuttosto
che
assisterle
fornendo
loro
la
protezione
di
cui
hanno
bisogno.”
Ma
quali
migrati
accoglie
la
Libia?
Nell’ultimo
decennio,
molte
persone
sono
giunte
in
Libia
tra
le
quali
molti
africani
sub
sahariani.
Se
in
un
primo
momento
la
Libia
li
accettava
e li
vedeva
con
favore
in
quanto
rappresentavano
manodopera
a
basso
costo,
ora
devono
sottostare
sempre
più
a
rigidi
controlli
sull’immigrazione,
a
detenzione
e
deportazione.
Il
governo
libico
sostiene
che
l’arresto
immediato
e la
detenzione
di
stranieri
privi
di
documenti
sia
necessario
per
motivi
di
ordine
pubblico
e
che
le
forze
di
sicurezza
effettuano
gli
arresti
seguendo
le
disposizioni
di
legge.
Alcuni
funzionari
hanno
riferito
che
gli
agenti
di
polizia
libici,
a
volte,
facevano
ricorso
ad
uso
eccessivo
della
forza
oppure
si
lasciavano
corrompere
con
ingenti
somme
di
danaro
per
chi
voleva
tentare
la
fuga.
In
Libia,
alcuni
stranieri
hanno
riferito
che
si
sono
verificati
casi
di
violenza
da
parte
della
polizia,
violazioni
di
diritto
a
giusto
processo,
compreso
il
caso
di
tortura
e i
processi
iniqui.
Sono
soprattutto
gli
africani
sub
sahariani
a
subire
ostilità
da
una
parte
della
popolazione
xenofoba
espressa
sottoforma
di
accuse
gratuite
di
criminalità,
attacchi
fisici
e
verbali,
vessazioni
ed
estorsioni.
Alti
ufficiali
libici
hanno
dichiarato
che
l’aumento
del
fenomeno
criminale
nel
paese
può
essere
in
parte
attribuito
agli
stranieri
a
cui
va
aggiunto
un’altra
preoccupazione
di
tipo
sanitario
come
l’HIV.
Come
ha
risposto
il
governo
a
queste
rivelazioni?
In
modo
alquanto
superficiale
affermando
che
si
trattava
di
casi
isolati
e
che
lo
Stato
già
aveva
provveduto
alle
dovute
sanzioni.
Sono
circa
600.000
gli
stranieri
che
lavorano
e
vivono
legalmente
in
Libia.
Ma
sono
tra
l’1
e i
2
milioni
gli
stranieri
senza
documenti
in
balia
dei
maltrattamenti
del
governo.
Il
problema
principale
è
costituito,
pertanto,
dal
rifiuto
da
parte
della
Libia
di
introdurre
leggi
o
procedure
specifiche
sul
diritto
d’asilo.
La
Libia
non
ha,
inoltre,
firmato
la
Convenzione
sui
rifugiati
del
1951
né
il
governo
sta
compiendo
alcun
tentativo
per
identificare
i
rifugiati.
La
Libia,
probabilmente,
non
offre
diritto
d’asilo
perché
nessuno
degli
stranieri
presenti
nel
paese
è un
rifugiato.
Il
governo
ha
allora
dichiarato
apertamente
che
vi
sono
precise
motivazioni
di
questa
decisione:
se
ammettessero
il
diritto
d’asilo,
gli
stranieri
arriverebbero
come
cavallette.
Poi,
perché
ammettere
tale
diritto
quando
si
cerca
in
qualunque
modo
di
contenere
il
numero
di
stranieri
presenti
nel
paese?
Il
governo
libico
ha
anche
affermato
di
non
deportare
i
migrati.
Ma
qui
sorge
un
problema.
Se
non
esiste
in
tale
paese
una
legislazione
riguardante
il
diritto
d’asilo,
come
può
una
persona
a
rischio
di
persecuzione
presentarne
richiesta?
E su
quali
basi
poi,
mancando
i
criteri
legislativi,
viene
analizzata
la
domanda?
Le
autorità,
da
non
molto
tempo,
hanno
affermato
che
stanno
lavorando
su
una
bozza
legislativa.
In
Libia,
l’Ufficio
dell’Alto
Commissariato
delle
Nazioni
Unite
per
i
Rifugiati
(
UNHCR
) è
operativo
senza
aver
preso
alcun
accordo
con
il
governo.
Sebbene
sia
riuscito
recentemente
a
visitare
i
centri
di
detenzione
per
migrati
e ad
intervenire
per
impedire
le
espulsioni
dalla
Libia
verso
i
paesi
di
origine,
ha
ritenuto
tale
paese
non
sicuro
per
i
migrati
che
vi
vengono
rimpatriati
forzatamente.
L’Italia,
il
paese
maggiormente
interessato
dalle
migrazioni
dalla
Libia,
ha
violato
ampiamente
il
diritto
internazionale
durante
il
terzo
governo
Berlusconi.
Tra
il
2004
e il
2005
il
governo
ha
espulso
verso
la
Libia
più
di
2.800
migrati
,
compresi
rifugiati
mentre
il
governo
libico
li
ha
rispediti
nel
paese
d’origine.
E’
stata
praticata,
dunque,
l’espulsione
collettiva
senza
tener
conto
dei
singoli
casi
di
rifugiati.
Molte
volte
è
capitato
che
migranti,
le
cui
nazionalità
non
sono
ancora
state
rese
note,
sono
stati
soccorsi
al
largo
della
costa
italiana
e
rimpatriati
in
Libia
senza
alcuna
procedura
di
determinazione
dello
status
di
rifugiati.
Nel
2006
il
governo
Prodi
ha
dichiarato
di
non
aver
praticato
espulsioni
di
soggetti
verso
paesi
che
non
hanno
firmato
la
Convenzione
sui
rifugiati
del
1951,
Libia
compresa.
Nel
2009,
da
quando
l’Italia
ha
stabilito
una
nuova
politica
di
intercettazione
e
respingimento
sommario,
i
migranti
vengono
respinti
senza
neanche
una
valutazione
superficiale
per
determinare
se
abbiano
bisogno
di
protezione
o
siano
particolarmente
vulnerabili,
come
nel
caso
di
malati
o
feriti,
donne
incinte,
bambini
non
accompagnati,
o
vittime
di
traffico
umano.
Ci
sono
state
varie
testimonianze
riguardanti
i
maltrattamenti
che
i
migrati,
tornati
in
Libia,
sono
stati
costretti
a
subire.
Si è
parlato
addirittura
di
danni
fisici
permanenti.
E’
risaputo
che
Kufra
è un
luogo
di
deportazione
e
che
le
guardie
sono
in
combutta
con
i
trafficanti,
i
quali
spingono
i
migranti
a
pagare
centinaia
di
dollari
per
farsi
riportare
a
Tripoli.
Il
Ministro
degli
Interni
italiano,
Roberto
Maroni,
ha
dichiarato
più
volte
che
“la
Libia
si
attiva
in
modo
da
impedire
ai
migrati
illegali
di
partire”.
A
questa
dichiarazione
ne
segue
un’altra
sconvolgente
che
riguarda
la
procedura
di
riconoscimento
dei
clandestini:
“
Finora
dovevamo
prenderli,
identificarli,
rimandarli
indietro
nei
loro
paesi
di
origine.
Per
la
prima
volta
nella
storia,
siamo
riusciti
a
rimandare
immigrati
irregolari
direttamente
indietro
in
Libia”.
Secondo
il
Ministro
si
tratta
di
un
“risultato
storico”
della
campagna
contro
l’immigrazione
clandestina.
In
questo
caso
si
parlava
di
227
persone
respinte
senza
alcuna
possibilità
di
richiesta
di
asilo
esposte
al
rischio
di
abusi.
Ma
allora
si
potrebbe
pensare
che
con
questi
impedimenti
in
qualche
modo
l’Italia
violi
il
diritto
di
ogni
individuo
di
lasciare
qualsiasi
paese?
(Art.
12
del
Patto
Internazionale
sui
Diritti
Civili
e
Politici).
Ha
qualche
validità
in
questo
caso
l’articolo
14
della
Dichiarazione
Universale
dei
Diritti
Umani
che
afferma
il
diritto
di
ogni
individuo
a
cercare
asilo?
A
quanto
pare
non
solo
l’Italia
sta
violando
questi
articoli
ma
c’è
di
più.
L’art.
33
della
Convenzione
sui
Rifugiati,
afferma,
infatti,
che
c’è
un
obbligo
di
non
respingere
persone
in
posti
dove
la
loro
vita
e la
loro
libertà
potrebbero
essere
minacciate.
A
questo
punto
può
essere
richiamato
anche
l’art.
3
della
Convenzione
Europea
dei
Diritti
dell’Uomo
relativo
al
trattamento
umano
e
degradante.
Tali
pratiche
adottate
dal
Governo
Italiano,
dunque,
non
coincidono
con
le
posizioni
prese
dall’Italia
quando
ha
firmato
la
Convenzione
sui
Rifugiati.
Questo
modo
di
procedere
non
offre,
allora,
alcun
accesso
alla
valutazione
dello
status
di
rifugiati
né
alcuna
protezione,
ma
soprattutto
offende
profondamente
la
dignità
umana.