N. 37 - Gennaio 2011
(LXVIII)
IMMIGRAZIONE: UN TEMA CHE DIVIDE
confusione italiana
di Giulia Gabriele
Quella
dell’immigrazione
è
sicuramente
una
questione
che
divide
e
confonde.
Persino
i
militanti
di
Destra
e
quelli
di
Sinistra,
secondo
il
“Rapporto
Italia
2010”
dell’Eurispes,
sembrano
(quasi)
essere
d’accordo
su
molte
tematiche
che
vi
ruotano
attorno.
Se,
per
esempio,
il
51,2%
degli
italiani
di
sinistra
crede
che
gli
immigrati
incentivino
la
criminalità,
a
far
loro
da
coro
è il
75%
degli
italiani
di
destra.
E,
ancora,
se
il
17,3%
dei
primi
pensa
che
gli
immigrati
rubino
il
lavoro
agli
italiani,
dei
secondi
è il
33,3%
(per
un
totale
del
24,8%
dei
soggetti
intervistati).
Certo,
ci
sono
delle
differenze,
però
non
così
distanti
come
ci
si
potrebbe
aspettare.
Ma,
al
di
là
di
Destra
e
Sinistra,
cosa
ne
pensa
l’Italia?
A
parlare
sono
i
numeri.
Se
spulciamo
tra
i
dati
del
Rapporto
dell’Eurispes
ci
accorgeremo
che...
-
il
64,7%
degli
intervistati
pensa
che
gli
immigrati
incentivino
la
criminalità;
-
il
46,1%
crede
che
sia
comprensibile
essere
diffidenti
nei
loro
confronti;
-
il
24,8%
crede
che
sottraggano
lavoro
agli
italiani;
-
il
58,8%
non
vuole
che
altri
extracomunitari
vengano
in
Italia;
-
il
33,6%
è
favorevole
all’inasprimento
dei
controlli
alle
frontiere;
-
il
36,8%
non
è
per
la
cittadinanza
breve
(il
29,7%
è
per
i 5
anni,
mentre
il
14,7%
parla
di 7
anni)
e il
49,1%
ritiene
che
gli
stranieri
residenti
in
Italia
ma
senza
cittadinanza
non
abbiano
diritto
al
voto.
Poi,
però,
ci
sono
anche
i
dati
“positivi”:
l’86,4%
degli
intervistati
non
crede
che
gli
immigrati
sottraggano
il
lavoro
agli
italiani,
bensì
che,
in
realtà,
facciano
lavori
che
gli
italiani
non
vogliono
più
fare;
il
60%
li
ritiene
fonte
di
crescita
per
il
Paese;
il
36,5%
dichiara
di
credere
di
più
nell’integrazione
e il
60,3%
crede
che
i
bambini
nati
in
Italia
da
immigrati
siano
da
considerarsi
cittadini
italiani.
I
dati
che
ci
vengono
proposti
in
veste
“negativa”,
in
realtà
sono
abbastanza
equilibrati,
non
pendono
cioè
esageratamente
a
sfavore
degli
stranieri.
E,
dall’altra
parte,
i
dati
presentati
positivamente
non
possono
essere
considerati
schiaccianti
cosicché,
nel
complesso,
possiamo
dire
che
gli
italiani
(pare)
abbiano
un
atteggiamento
ambivalente
nei
confronti
dell’immigrazione:
non
sono
né
totalmente
ostili
né
totalmente
favorevoli.
Ma,
soprattutto,
credo
che
siano
confusi.
È
probabile
che
chi
si è
detto
diffidente
verso
gli
immigrati,
abbia
anche
sostenuto
che
rappresentino
una
crescita
per
il
Paese,
etc...
E
non
esiste
giusto
o
sbagliato
in
questo:
il
punto
è,
invece,
che
in
realtà
sappiamo
in
maniera
confusa
e
poco
attendibile
barcamenarci
tra
quelli
che
sono
(o
dovrebbero
essere)
i
diritti
e i
doveri
degli
“altri”
e
sappiamo
anche
a
singhiozzi
chi
siano
questi
“altri”.
La
percentuale
che,
in
tal
senso,
mi
ha
lasciata
sensibilmente
perplessa
è
quella
sui
bambini:
secondo
il
60,3%
degli
intervistati
sarebbe
giusto
considerarli
cittadini
italiani
se
nati
nel
nostro
Paese
seppur
da
genitori
privi
di
cittadinanza.
Quindi,
mi
chiedo,
è
solo
l’essere
nati
in
Italia
che
ci
rende
italiani?
Il
senso
di
appartenenza
a un
luogo
non
dovrebbe
avere,
invece,
radici
più
profonde?
Secondo
il
49,1%
gli
stranieri
privi
di
cittadinanza
non
possono
votare
e
solo
per
il
29,7%
per
ottenerla
bastano
5
anni,
gli
altri
si
dividono
tra
i 10
e i
7
anni.
Un
bambino
non
è
solo
figlio
del
luogo
in
cui
nasce,
ma
anche,
e
soprattutto,
di
chi
lo
cresce
educandolo
secondo
le
sue
tradizioni.
E
come
possiamo
pretendere,
perciò,
che
un
bambino
figlio
di
genitori
stranieri
(escludendo
dal
ragionamento
le
coppie
miste
o
altri
casi
particolari),
sia
formalmente
italiano
quando
suo
padre
e
sua
madre,
le
persone
che,
quindi,
lo
guideranno
nella
conoscenza
di
se
stesso
(e
del
suo
Paese
natale
oltre
che
di
origine),
non
lo
sono
per
primi
altrettanto
formalmente?
La
cittadinanza,
è
giusto
ricordarlo,
è sì
un
diritto
(mi
guardo
bene
dal
definirla
un
privilegio)
che
porta
altri
diritti,
ma
anche
dei
doveri.
Non
so
bene
che
fotografia
venga
fuori
dai
dati
dell’Eurispes:
forse
è
giusto
dire
che
il
nostro
sia
un
popolo
ambivalente
sul
tema
dell’immigrazione.
Ma,
sempre
forse,
siamo
semplicemente
un
popolo
confuso,
incapace
di
vedere
in
se
stesso
le
proprie
(lampanti)
contraddizioni.