N. 73 - Gennaio 2014
(CIV)
l'arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese di Chretien de Troyes
l’immaginario medievale tra realtà storica e finzione letteraria - parte i
di Francesco Carbonaro
Cavalieri
in
sfavillanti
armature,
tornei
nei
quali
mettere
alla
prova
il
proprio
coraggio
e
damigelle
in
pericolo,
questa
è
l’immagine,
per
molti
aspetti
stereotipata
e
semplificatrice
della
ben
più
reale
complessità
del
Medioevo
che
ci
viene
tramandata
da
un
preciso
immaginario
che
ha
contribuito,
nei
secoli
stessi
del
periodo,
a
forgiare
un
quadro
poco
realistico
ma
non
per
questo
meno
reale.
Come
dice
Jacques
Le
Goff,
studiare
l’immaginario
di
una
società
significa
giungere
al
fondo
della
sua
conoscenza
e
della
sua
evoluzione
storica;
ciò
implica
oltrepassare
il
dato
prettamente
realistico
e
giungere
alla
natura
profonda
dell’uomo.
Lo
studio
dell’immaginario
diviene
studio
dell’uomo
e
dunque
antropologia,
in
esso
si
celano
le
profonde
motivazioni
dell’agire
umano.
L’immaginario,
al
contrario
dell’ideologico
che
tende
a
imporre
e
spesso
a
snaturare
il
dato
reale,
costituisce
il
motore
nascosto
della
realtà,
ne
caratterizza
le
azioni
e i
pensieri
in
relazione
allo
spirito
del
tempo
(Zeitgeist).
Il
preciso
immaginario
di
Gerusalemme,
ad
esempio,
e il
valore
che
esso
acquisì
furono
all’origine
delle
crociate;
ciò
dimostra
come
da
qualcosa
di
astratto
e
apparentemente
non
percepibile
si
possano
originare,
ma
non
creare,
delle
reazioni
umane
tangibili
alla
cui
base
agisce
la
concezione
del
mondo
da
parte
dell’uomo.
Per
attingere
all’immaginario
di
una
società
lontana
nel
tempo,
come
può
essere
quella
medievale,
si
deve
fare
un’operazione
di
recupero
dei
testimoni
che
ne
conservano
l’identità.
Principali
custodi
di
questo
tesoro
sono
le
fonti
letterarie,
scrigni
dell’immaginario
dell’epoca,
dai
quali
si
potranno
trarre
quelle
immagini
che,
come
tessere
di
un
mosaico,
nel
loro
insieme
costituiranno
l’opera
intera
ovvero
l’immaginario
totale.
Che
le
opere
letterarie
siano
portatrici
di
un
significato
antropologico
è
una
cosa
già
dimostrata
dal
formalista
russo
Propp
il
quale
ha
individuato
una
morfologia
di
base
per
la
struttura
della
narrazione
fiabesca.
Considerando
l’alto
numero
di
testimoni
che
possono
essere
presi
in
esame
vi è
un
microcosmo
all’interno
del
quale
si
riflette
chiaramente
il
macrocosmo
dell’epoca;
mi
riferisco
alle
opere
di
Chretien
de
Troyes
il
quale
è
considerato
(anche
per
la
rara
completezza
nella
quale
sono
giunte
a
noi
le
sue
opere)
il
più
grande
poeta
dell’Occidente
prima
di
Dante.
I
romanzi
di
Chretien,
scritti
nel
XII
secolo,
svelano
una
società
apparentemente
artificiosa
e
calcolata,
come
dimostrano
gli
espedienti
letterari
o
artistici
e
poco
realistici;
leggendo
le
pagine
del
“Erec
et
Enide”
o
del
“Cligés”
si
potranno
constatare
una
serie
di
elementi
che
sono
relegabili
all’inverosimiglianza.
L’intreccio
è,
infatti,
condito
da
vari
espedienti
narrativi
(come
l’agnizione
o il
deus
ex
machina)
che
rendono
la
materia
narrata
poco
aderente
ai
canoni
del
“reale”.
Se
per
la
critica
figlia
del
Rinascimento
lo
scarso
realismo
è
considerato
un
difetto
dell’opera,
per
il
mondo
medievale
il
realismo
artistico
non
era
la
meta
da
raggiungere.
Come
dimostrano
le
opere
quasi
coeve
di
Wiligelmo,
da
parte
dell’artista
medievale
non
si
percepiva
l’esigenza
di
creare
un’opera
aderente
ai
dati
del
reale,
particolare
attenzione
veniva
preservata
per
il
messaggio
e
non
per
il
medium
che
lo
veicolava.
Volendo
parafrasare
McLuhan
il
medium
era
il
messaggio
e la
forma
era
relegata
a
una
funzione
secondaria
che
sarà
rivalutata
solo
con
l’età
rinascimentale.
Un
caso
su
tutti
sia
esemplificativo;
la
Pietà
di
Michelangelo,
considerata
il
capolavoro
del
Rinascimento,
in
realtà
è
profondamente
debitrice
del
retaggio
medievale
come
dimostra
l’inverosimile
giovane
età
della
Madonna
che
alla
morte
del
Cristo
avrebbe
dovuto
avere
più
anni.
Il
criterio
di
realismo,
che
avrebbe
imposto
una
figura
in
età
più
avanzata,
ha
lasciato
il
posto
al
valore
spirituale
che
“l’infrazione
alla
realtà”
ha
esaltato.
Considerando
questo
assunto
le
opere
di
Chretien
de
Troyes
acquisiscono
un
valore
decisivo
per
la
comprensione
dell’immaginario
in
esse
racchiuso.
Le
opere
del
poeta
francese
sono
legate
a un
preciso
ambiente,
quello
di
corte,
che
connota
i
valori
espressi
nelle
pagine
scritte;
non
è un
caso
che
parliamo
di
romanzi
cortesi,
opere
scritte
in
lingua
romanza
legate
alla
realtà
cortigiana.
Scritti
nel XII
secolo
da
Chretien
i
romanzi
cortesi
sono
cinque:
“Erec
et
Enide”,
“Cligès”,
“Lancillotto
o il
cavaliere
della
carretta”,
“Ivano,
il
cavaliere
del
leone”
e
“Percival
o il
racconto
del
Graal”
che
è
rimasto
incompiuto.
Anche
un
lettore
poco
attento
constaterà
che
il
personaggio
protagonista
costante
è il
cavaliere,
colui
che
concretamente
pratica
la
cavalleria
termine
che
racchiude
un
repertorio
di
valori,
quali
la
prodezza,
il
coraggio
e
l’amore
di
cui
egli
deve
essere
exemplum.
Ancora
per
il
XII
secolo
la
cavalleria
non
è
legata
al
lignaggio,
ma
presto
con
il
passaggio
dalla
nobiltà
di
fatto
a
quella
di
diritto,
i
“ricchi”
si
impadroniranno
dei
valori
cavallereschi
snaturandone
la
natura.
Durante
il
periodo
di
Maria
di
Champagne
e di
Filippo
d’Alsazia,
committenti
e
protettori
di
Chretien,
il
cavaliere
è un
membro
della
corte
come
lo
sono
Erec
o
Ivano.
Questi
due
speculari
eroi
orbitano
attorno
alla
corte
del
celeberrimo
Artù
il
quale,
signore
della
Britannia,
trattiene
al
suo
seguito
un
ingente
numero
di
cavalieri
poco
possidenti
ma
possessori
delle
più
grandi
virtù.
La
scarsa
o
nulla
ricchezza
dei
protagonisti
è
chiaramente
metafora
di
un’apparente
povertà
colmata
dalle
eccelse
doti
morali
e
fisiche;
in
realtà
tranne
Erec
che
sembra
possedere
grandi
ricchezze,
e
Cligès
che
è
figlio
di
re,
Lancillotto,
Ivano,
Galvano
e
Percival
sono
nullatenenti,
nel
senso
che
non
hanno
alcun
possedimento
territoriale
ma
vivono
alla
giornata
alla
ricerca
della
prossima
prova
che
esalti
il
proprio
valore.
Quello
che,
infatti,
si
perderà
con
il
tempo
sarà
proprio
questo
aspetto
di
apparente
povertà
e
assenza
di
legami
se
non
con
la
corte
di
re
Artù
che
diviene
banco
di
prova
per
qualsiasi
cavaliere
voglia
mettere
in
mostra
le
proprie
virtù.
Non
è un
caso
che
Cligès
si
metta
in
viaggio
alla
ricerca
della
corte
arturiana
per
affrontare
la
propria
prova
di
iniziazione,
dimostrare
il
suo
valore
reso
tangibile
dalle
peripezie
incontrate
lungo
il
cammino.
Discorso
diverso
per
gli
altri
eroi;
nel
“Lancillotto”,
il
protagonista
è
sconosciuto
alla
corte
e
solo
dopo
la
prima
metà
dell’opera
svelerà
il
proprio
nome,
presentandosi
come
cavaliere
errabondo
in
cerca
della
regina
Ginevra
della
quale
si
innamorerà
a
scorno
di
qualsiasi
valore
di
fedeltà
regale;
non
si
dimentichi
che,
per
molti
aspetti,
il
“Lancillotto”
è il
roman
più
distante
dal
punto
di
vista
tematico
e
strutturale,
in
quanto
su
di
esso
agirono
le
pretese
della
committente
Maria
di
Champagne.
Dall’altra
parte
Percival
costituisce
l’eccezione
che
conferma
la
regola;
egli
non
conosce
nulla
di
cavalleria,
la
madre
lo
ha
tenuto
nascosto
e
ignaro
di
qualsiasi
cosa
che
potesse
avvicinarlo
al
destino
del
padre,
cavaliere
defunto.
La
vista
delle
armi
scintillanti
sarà
una
visione
mistica
per
l’ingenuo
Percival
il
quale
scambia
un
cavaliere
per
un
angelo;
la
sua
ignoranza
non
investe
solo
il
mito
della
cavalleria
ma
anche
i
valori
a
essa
collegati
come
l’amore
e la
religione,
trittico
fondamentale,
credo
per
qualsiasi
uomo
che
si
avvicini
alla
cavalleria.
La
scoperta
di
questi
valori
sarà
per
Percival
una
conquista
che
inizia
proprio
dalla
corte
di
Artù
dove
ottiene
l’armatura
e le
armi,
elementi
distintivi
per
chi
si
avvia
lungo
la
strada
della
cavalleria.
Le
progressive
scoperte
di
Percival
accompagnano
il
lettore
coevo
e
moderno
nel
mondo
cavalleresco
di
cui
gli
elementi
fondanti
sono
stati
già
presentati,
in
absentia,
con
Percival.
Cavalleria
e
cortesia,
amore
e
religione,
dunque,
sono
gli
elementi
sconosciuti
a
Percival
ma
indispensabili
per
raggiungere
lo
status
di
cavaliere.
In
analogia
con
il
ciclo
carolingio,
i
cavalieri
arturiani
mettono
continuamene
alla
prova
la
propria
cavalleria
attraverso
delle
sfide
che
non
portano
a
una
crescita
ma
confermano
le
virtù
di
cui
sono
portatori.
Il
cammino
parte
proprio
dal
riconoscimento
presso
la
corte
arturiana
dove
vengono
investiti
di
una
missione;
Percival
comincia
le
proprie
peregrinazioni
dopo
l’incontro
con
Artù,
Cligès
come
il
padre
Alessandro
percorre
miglia
e
miglia
per
raggiungere
la
corte
arturiana
e
trovare
il
riconoscimento
e
l’investitura
dal
re
in
persona.
In
ottica
storica
la
nascita
della
figura
del
cavaliere
può
essere
ricondotta
alla
Francia
di
Pipino
il
breve,
ultimo
maggiordomo
di
palazzo
che,
fatto
fuori
Childerico
III,
poté
impadronirsi
della
corona
grazie
alla
clientela
armata
alla
quale,
in
cambio
del
sostegno
prestatogli,
donò
terreni
e
feudi
(benefici)
che
ricompensassero
i
loro
servigi.
Attorno
alla
dedizione
e
fedeltà
di
questi
cavalieri
si
originò
la
mitologia
che
traeva
dalla
realtà,
materia
per
la
letteratura.
La
nascita
della
letteratura
cavalleresca
coincide
con
l’origine
di
un
repertorio
sentimentale
e
morale
a
essa
legato.
Riferimenti
bibliografici:
Barbero
Alessandro,
Chiara
Frugoni
a
cura
di,
“Dizionario
del
Medioevo”,
Bari
2008.
Carasso-Bulow
Luciene,
“The
merveilleux
in
Chretien
de
Troyes’s
romances”,
Ginevra
1976.
Cardini
Franco, “Alle
origini
della
cavalleria
medievale”,
Scandicci
1997.
Chretien
de
Troyes,
“Erec
et
Enide”,
in “I
romanzi
cortesi”,
Milano
2011.
Chretien
de
Troyes,
“Cligès”
in “I
romanzi
cortesi”,
Milano
2011.
Chretien
de
Troyes,
“Lancillotto”
in “I
romanzi
cortesi”,
Milano
2011.
Chretien
de
Troyes,
“Ivano”
in “I
romanzi
cortesi”,
Milano
2011.
Chretien
de
Troyes,
“Percival”
in “I
romanzi
cortesi”,
Milano
2011.
Fassò
Andrea,
“Il
sogno
del
cavaliere:
Chrétien
de
Troyes
e la
regalità”,
Roma
2003.
Flori
Jean,
“Cavalieri
e
cavalleria
nel
Medioevo”,
Torino
1999.
Le
Goff
Jacques,
“L’immaginario
medievale”,
Bari
2011.
Le
Goff
Jacques
a
cura
di,
“L’uomo
medievale”,
Bari
1999.
Maranini
Lorenza,
“Personaggi
e
immagini
nell’opera
di
Chretien
de
Troyes”,
Pavia
1966.
Novacco
Domenico,
“Dei,
eroi
e
cavalieri
dell’età
medievale”,
Roma
2012.