N. 101 - Maggio 2016
(CXXXII)
ILDEGARDA DI BINGEN
UNA DONNA TRA FEDE E SPIRITUALITÀ
di Laura Sugamele
Nel
panorama
culturale
medievale
del
XII
secolo,
Ildegarda
di
Bingen
(santa
e
dottore
della
Chiesa)
si
presentava
come
autorevole
figura
femminile
in
un’epoca,
in
cui
generalmente
le
donne
non
soltanto
erano
prigioniere
di
una
reclusione
sociale
che
le
vedeva
unicamente
collocate
nella
funzione
di
mogli
e
madri,
ma
dove
non
potevano
per
nulla
esprimersi
in
libertà
e
azione.
Ildegarda
nacque
a
Bermersheim
nel
1098
nella
regione
dell’Assia
renana.
Ultima
di
10
figli,
iniziò
la
sua
vita
come
novizia
nel
convento
benedettino
di
Disibodenberg
all’età
di
otto
anni
e
qui,
lei
venne
affidata
alle
cure
e
agli
insegnamenti
della
contessa
Jutta
von
Sponheim.
Sin
dalla
fanciullezza
Ildegarda
ebbe
delle
visioni,
le
quali
avvenivano
anche
se
ella
rimaneva
sveglia.
I
monaci
Goffredo
di
Disibodenberg
e
Teodorico
di
Echternach
che
hanno
redatto
la
vita
di
Ildegarda
di
Bingen,
raccontavano
che
in
lei,
erano
evidenti
la
vocazione
religiosa
e
una
grande
spiritualità.
Solamente
Jutta
era
a
conoscenza
delle
visioni
di
Ildegarda,
la
quale
desiderava
nasconderle
ad
occhi
indiscreti,
giacché
nel
Medioevo,
le
visioni
analogamente
ai
sogni,
venivano
spesso
associate
a
manifestazioni
del
maligno.
La
vita
monastica,
in
effetti,
non
era
per
nulla
sgradita
alla
giovane
Ildegarda,
vita
nella
quale
sentiva
di
essere
al
sicuro
all’interno
di
un
orizzonte
chiuso
e
protettivo,
come
quello
del
monastero,
e
nel
quale,
grazie
alla
sua
tutrice
Jutta
von
Sponheim
imparò
le
nozioni
e le
competenze
necessarie
per
l’inserimento
religioso
di
una
novizia.
Durante
la
sua
permanenza
al
monastero,
Ildegarda
fu
impegnata
nello
studio
della
disciplina
del
trivio
e
del
quadrivio,
della
grammatica
e
della
retorica
latina,
dell’astronomia
e
della
scienza
dei
numeri
e
delle
figure.
La
personalità
della
monaca
si
caratterizzava,
perciò,
per
la
vastità
culturale
che
ella
possedeva
e
che
si
estendeva
ai
testi
delle
Sacre
Scritture,
agli
scritti
dei
naturalisti,
sino
alle
scienze
naturali.
Per
quanto
riguarda
invece
la
sua
facoltà
di
chiaroveggente,
sembra
che
Ildegarda
avesse
acquisito
la
capacità
di
mettere
per
iscritto
ciò
che
aveva
visto
e
sentito
nelle
sue
visioni.
Proprio
gli
scritti
visionari
attirarono
l’attenzione
di
papa
Eugenio
III,
il
quale
in
occasione
del
sinodo
di
Treviri,
presentò
e
autorizzò
la
pubblicazione
dello
Scivias
(conosci
le
vie)
opera
composta
dalla
monaca
tra
il
1141
e il
1150,
alla
presenza
di
teologi,
vescovi
e
cardinali.
In
questo
modo,
la
dote
visionaria
di
Ildegarda
venne
riconosciuta
e
resa
legittima
dalla
più
importante
autorità
ecclesiastica:
il
papa.
Fu
così
che
divenne
una
importante
mistica,
di
fronte
alla
quale
si
presentavano
imperatori,
re,
vescovi,
cardinali,
per
ottenerne
consigli
o
ascoltarne
le
predizioni.
Ildegarda,
inoltre,
si
schierò
in
favore
del
papa
Alessandro
III
contro
l’imperatore
Federico
Barbarossa,
il
quale
tentò
di
convincerla,
inutilmente,
a
sostenerlo
nella
sua
lotta
contro
il
papa,
in
occasione
dello
scisma
del
1159.
Per
quanto
riguarda
lo
Scivias,
questa
opera
fu
il
risultato
di
una
lunga
ed
attenta
riflessione,
ma
anche
di
esitazione
e
timore,
che
la
monaca
aveva
sperimentato
prima
di
scrivere
le
sue
visioni.
In
quel
momento,
fu
fondamentale
il
sostegno
spirituale
del
suo
confessore
Wolmar
e
l’amicizia
con
la
monaca
Riccarda
von
Stade,
con
la
quale
Ildegarda
aveva
un
rapporto
simile
a
quello
tra
madre
e
figlia.
La
decisione
di
scrivere
lo
Scivias,
subentrò
solo
nel
momento
in
cui
Ildegarda
si
ammalò,
condizione
che
la
portò
a
considerare
l’evento
come
una
punizione
divina
per
l’aver
tanto
esitato
nel
condividere
tali
visioni.
Ildegarda,
prima
di
scrivere
lo
Scivias,
si
consultò
persino
con Bernardo
di
Chiaravalle,
per
avere
la
conferma
che
le
visioni
sperimentate
fossero
opera
di
Dio
e
non
del
maligno.
A
questa
incertezza,
Ildegarda
mostrava
anche
preoccupazione
per
la
diffusione
del
movimento
eretico
cataro,
che
delle
sue
visioni
poteva
diffondere
false
interpretazioni.
Altre
opere
scritte
da
Ildegarda
di
Bingen
furono
il
Liber
Vìtae
Meritorum
incentrato
sull’eterna
lotta
tra
Bene
e
Male
e il
Liber
Divinorum
Operum
che
ruota
attorno
al
complesso
sistema
di
rapporti
che
vi è
tra
il
microcosmo
e il
macrocosmo.
L’autorevolezza
religiosa
creatasi
attorno
alla
figura
di
Ildegarda,
attirò
molte
giovani
provenienti
da
famiglie
aristocratiche
che
desideravano
entrare
nel
monastero
di
Disibodenberg.
Tuttavia,
la
necessità
di
maggiore
spazio
dovuta
al
formarsi
di
una
più
numerosa
comunità
di
monache,
portò
Ildegarda
a
decidere
per
il
trasferimento
al
monastero
di
Rupertsberg.
Successivamente,
nel
monastero,
sul
cui
monte
sorge
proprio
la
città
di
Bingen,
fecero
parte
una
cinquantina
di
monache,
donne
laiche
e
anche
qualche
sacerdote.
Nel
1165
Ildegarda
fondò
un
altro
monastero
a
Eibingen.
In
questo
caso,
la
fondazione
della
nuova
comunità
monastica
fu
resa
possibile,
grazie
all’aiuto
finanziario
di
varie
famiglie
aristocratiche
e
dell’arcivescovo
di
Magonza.
Ildegarda
che
si
presentava
come
una
donna
atipica
e
innovativa
e,
dunque,
in
netta
contrapposizione
all’orizzonte
culturale
androcentrico
della
sua
epoca,
ebbe
notevole
influenza
non
soltanto
dal
punto
di
vista
religioso
ma
anche
politico.
D’altronde,
con
Ildegarda
la
“voce”
femminile
si
manifestò
come
“dono
della
profezia”,
ovvero
come
nuovo
canale
non
istituzionale
e
non
necessariamente
legato
al
sacerdozio.
Inoltre,
in
Ildegarda,
alla
sfera
spirituale
si
aggiungeva
la
dimensione
del
potere.
Nella
sua
vita
come
mistica
riuscì,
infatti,
ad
affermarsi
nella
storia
politica
del
tempo.
Quando
divenne
badessa
del
monastero
di
Rupertsberg,
le
attività
di
Ildegarda
non
si
limitarono
solamente
al
governo
e
alla
direzione
della
sua
comunità
monastica,
bensì
avviò
un’attività
pastorale
intensa
riuscendo
ad
influenzare
papi,
vescovi,
re,
compiendo
anche
lunghi
viaggi
in
occasione
dei
quali,
la
mistica
era
solita
predicare
nelle
piazze,
per
farsi
ascoltare
dal
popolo
e
dal
clero
e
per
richiamare
con
forza
alla
riforma
della
Chiesa,
osteggiando
in
particolare
i
movimenti
eretici.
Ella
iniziò,
dunque,
ad
assumere
sia
un
ruolo
di
potere,
sia
uno
straordinario
carisma
profetico
che
le
valse
gli
appellativi
di
“profetessa
teutonica”,
“tromba
di
Dio”,
“luce
fiammeggiante
nella
casa
di
Dio”.
In
conclusione,
in
Ildegarda
di
Bingen,
visione
e
scrittura
assunsero
un
significato
univoco;
la
scrittura
si
delineava
infatti
come
mezzo
che
consentiva
il
trasferimento
della
conoscenza
interiore
alla
parola
umana.
In
questo
senso,
la
scrittura
diventava
il
tramite
tra
la
dimensione
dello
spirito
e
quella
speculare
della
ragione,
strumento
con
il
quale
Ildegarda
esprimeva
una
verità
interiore
trasferita
all’esterno,
fissandosi
nello
scritto.
Le
visioni
si
tramutavano
allora
in
parola,
quale
risultato
di
inequivocabile
ispirazione
divina,
che
nella
spiritualità
hildegardiana,
si
profilava
come
accettazione
totale
della
fede
ed
incredibile
vocazione.
Riferimenti
bibliografici:
Wighard
Strehlow,
La
medicina
di
santa
Ildegarda.
Guida
sintetica
e
pratica,
Mediterranee
edizioni,
Roma
2002.
Anne
H.
King-Lenzmeier,
Ildegarda
di
Bingen:
la
vita
e
l’opera,
Piero
Gribaudi
editore,
Milano
2004.
Lucia
Tancredi,
Ildegarda,
la
potenza
e la
grazia,
Città
Nuova
editrice,
Roma
2009.