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N. 62 - Febbraio 2013 (XCIII)

Ildegarda di Bingen
sulla Proclamazione a Dottore della Chiesa della badessa del XII secolo

di Chiara Francesca Chianella

 

Ildegarda di Bingen nacque all’alba del XII secolo, ma la biografia redatta da Goffredo e Teodorico di Echternach non ci informa precisamente sulla data di nascita della Santa ma entrambi sono concordi nel ritenere che il 1098 fosse il Suo anno di nascita.

 

Bermershein presso Alezey nei pressi della diocesi di Magonza fu il Suo paese natale. Una nota autobiografica tratta dalla Vita può renderci più chiari alcuni aspetti della sua infanzia dove si palesano la Sua prima attività visionaria e la Sua vocazione: « La Sapienza insegna alla luce dell’amore, e mi ordina di dire in che modo sia stata gratificata di questo dono della visione. “Ascolta queste parole, creatura umana, e ridille no secondo te, ma secondo me, e, da me istruita, parla di te così”. Allora anch’io mi meravigliai di me, poiché quando vedevo queste cose nel profondo dell’anima mia, mantenevo anche la vista esteriore, cosa che non sentivo di alcun altro essere umano. E per quanto potei nascosi la visione che vedevo nella mia anima. Ero molto ignorante sulle cose del mondo, a causa della frequente malattia di cui soffro dal tempo del latte materno fino a ora: essa macerava la mia carne e per essa le mie forze venivano meno».

 

Il testo qui riportato è illuminante circa le inquietudini che hanno accompagnato Ildegarda nel corso della Sua esistenza terrena. Già in tenera età le visioni ultraterrene la misero a dura prova tanto che il Suo “animo ne tremò”.

 

È un’immagine femminile che si rivolge a Ildegarda. È Sapienza, splendida effigie femminile, lucente riflesso di Dio a parlare attraverso Ildegarda la quale, possedendo un animo timoroso, si carica di vigore sentendosi portavoce di Sapienza.

 

La Sua particolare facoltà le permetteva di vedere “nell’anima” conservando, nel mentre della visione, integre tutte le facoltà sensoriali, rimanendo, dunque, cosciente.

 

Tali visioni avevano la particolarità di infondere alla giovane Ildegarda un senso di forte debolezza fisica che la costringeva per prolungati periodi a letto. È un tipico topos letterario medievale descrivere una figura femminile incolta e dalla salute cagionevole ma accostando questi aspetti alla portata profetica del suo messaggio, la figura di Ildegarda viene particolarmente messa in risalto, caricandosi di un forte fascino.

 

La malattia, dicevamo, non solo faceva risaltare il messaggio ultraterreno ma soprattutto lo convalidava. Ildegarda ha bisogno di scrivere le sue visioni, non facendolo cade nella malattia con cui è abituata a convivere di cui ha compreso il senso: non è altro che un “castigo divino”, Ildegarda deve esprimere le sue rivelazioni. La cultura di Ildegarda è di matrice patristica ma anche scientifica che la rendono edotta sugli argomenti più innovativi a lei contemporanei.

 

Nel 1151 vede la luce lo Scivias, terminato di scrivere, a cui segue il plauso di Eugenio III il quale invita Ildegarda alla prudenza ma egli afferma in una lettera di aver incaricato il vescovo di Magonza, Enrico, di farle da guida “come una sorella”.

 

La scrittura del Liber Divinorum Operum tenne impiegata Ildegarda per circa un decennio, più precisamente dal 1163 al 1174. In esso sono raccolte tutto il sapere e l’esperienza di una badessa oramai vecchia, famosa per il suo carisma, chiamata la “sibilla del Reno” per le particolari doti profetiche, che ha impiegato tutte le sue energie un elaborato complesso ma allo stesso tempo unitario.

 

Ildegarda abbandona la vita terrena il 17 settembre del 1179 dopo aver predetto alle sue monache la sua imminente scomparsa. La sua morte è straordinariamente accompagnata da strani e inspiegabili segni simili alle sue visioni che aveva predetto in vita: sopra la cella in cui la santa vergine al crepuscolo di quella domenica sera rese con gioia l’anima a Dio due arcobaleni luminosissimi apparvero nel firmamento e si allargarono fino coprire tutta la terra, uno da nord a sud, l’altro da est a ovest.

 

Dal punto più in alto, dove i due archi si univano, erompeva una luce chiara, grande come la luna, che irraggiava scacciando dalla cella le tenebre della notte. Dentro questa luce apparve una croce splendente, dapprima piccola, ma che s’ingrandiva e veniva circondata da innumerevoli cerchi di colore diversi, su cui risaltavano tante piccole croci splendenti, una per ogni circolo e tutte più piccole della prima. Diffondendosi per tutto il firmamento, affluivano in maggior numero verso oriente e scendevano verso terra sulla casa in cui la santa vergine era morta, illuminando tutta la montagna.

 

La straordinaria vita di Ildegarda di Bingen non ha lasciato indifferenti le menti che contemporanee le quali si sono sempre sentite attratte dal profondo messaggio di cui Ildegarda stessa era il tramite.

 

Si possono chiaramente avvertire forti sentori di contemporaneità nelle opere di Ildegarda, la quale già nel XII secolo si faceva portavoce dell’eccezionalità dell’uomo come «opera divina assoluta, perché attraverso lui si riconosce Dio e perché per lui Dio ha creato tutte le creature».

 

Le sue parole non sono rimaste inascoltate nel tempo tanto da far affermare al Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione della Cause dei Santi rivolgendosi al Papa in occasione della sua proclamazione a Dottore della Chiesa avvenuta giorno 7 ottobre 2012, che le opere di Ildegarda hanno «ammirato la profondità della presenza del Figlio di Dio nella storia del mondo e con cuore appassionato e intelligenza acuta ha esplorato nuovi orizzonti dell’eterna bellezza da lui rivelata».

 

Le visioni che Ildegarda percepiva hanno permesso la stesura dell’ Liber Divinorum Operum il quale è parte di una trilogia teologica sviluppata nel corso di circa trent’anni: lo Scivias (1141-51), il Liber Vitae Meritorum (1158-63), il Liber Divinorum Operum (1163-73).

 

L’interesse di tutti e tre i testi è incentrato su alcuni temi dominanti, che tornano nell’uno e nell’altro con maggiore o minore ampiezza, con varianti più o meno accentuate: nel primo il motivo della creazione, del peccato, della redenzione, della salvezza eterna, evidenziano un impegno a largo raggio nell’ambito teologico-didascalico; nel secondo – una delle più vaste psicomachie del Medio Evo – la trattazione è imperniata sul tema base della lotta fra il Bene e il Male, tra Dio e Satana, tra il Vizio e la Virtù, nonché sull’aspetto escatologico del conflitto.

 

L’articolato sistema di rapporti che lega il microcosmo al macrocosmo - cioè l’uomo all’universo - è il fulcro della terza opera, dove Ildegarda appare più che mai protesa nell’approfondire e rinnovare il suo bagaglio di conoscenze di carattere cosmologico-scientifiche.

 

Il Liber Dovinorum Operum consta di tre parti e comprende dieci visioni di lunghezza variabile. La prima parte, che è formata delle prime quattro visioni, procede con la creazione del mondo da parte di Dio, aiutato dalla Charitas (Amore), e il privilegiato luogo dell’umanità al suo interno. La seconda parte dell’opera riprende dalla quinta visione e sviluppa l’idea dell’umanità come il centro morale del mondo di fronte al giudizio finale. La terza parte, invece, che comprende al suo interno le ultime cinque visioni, è ancora una volta riguardante la storia della salvezza, specialmente l’Incarnazione e la fine dei tempi.

 

Le tavole del codice di Lucca - le cui analisi condotte sulle illustrazioni avvalorano una datazione del codice che si estende in un periodo compreso tra gli anni venti e trenta del secolo XIII - focalizzano l’attenzione su momenti della visione di particolare intensità regalando agli occhi immagini di straordinaria plasticità rese ancor più efficaci nella riproduzione grafica attraverso contrasti policromatici vivi su lamine dorate. La realizzazione di illustrazioni così sontuose sono da collegarsi all’apertura del processo di canonizzazione di Ildegarda avvenuto nel 1227 a opera di Gregorio XI. Tale processo fu ripreso nel 1243, nel momento in cui Innocenzo IV dispose un’ulteriore inchiesta sulla vita della santa.

 

Nel 2012 e precisamente giorno 7 ottobre, viene coronata la vita spirituale e intellettuale di Ildegarda con l’eccelso titolo di Dottore della Chiesa. Lei, una donna, la cui santità non conosce barriere culturali, politiche e sociali, lei che con il suo linguaggio d’amore ha toccato i cuori degli uomini con la sua universale audacia. Il cardinale Lehmann, Vescovo di Magonza la ricorda in occasione di siffatto evento come una donna che ha amato Cristo nella Sua Chiesa senza alcuna ingenuità e senza timore.

 

Le parole di Ildegarda di Bingen hanno travalicato i secoli abbracciando il cuore di ogni uomo. Parole di vita e di sapienza, che risuoneranno con tutta loro bellezza in ogni tempo e in ogni coscienza.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

DALLI REGOLI G. – MASETTI S., Hildegardis Revelationis: manoscritto 1942, a cura di Piero Carlo Santini, Cassa di Risparmio di Lucca, 1973, (Cicli Lucchesi, I);

DEROLEZ A., The genesis of Hildegard of Bingen’s Liber divinorum operum: the codicological evidence, in: Festschrift G. I. Lieftinck, Bd. 2, 1972;

DEROLEZ A. - DRONKE P. (a cura di), Hildegardis Bingensis Liber Divinorum Operum (Corpus Christianorum, Continuatio Mediaevalis, vol. 92), Brepols: Turnhout, 1996;

DRONKE P., Donne e cultura nel Medioevo. Scrittrici medievali dal II al XIV secolo, prefazione di Mariateresa Fumagalli e Boeni Brocchieri, il Saggiatore, Milano, 1986;

FLANAGAN S., Ildegarda di Bingen. Vita di una profetessa, Le Lettere, Firenze, 1991;

ILDEGARDA DI BINGEN, Il libro delle opere divine, a cura di Marta Cristiani e Michela Pereira con un saggio introduttivo di Marta Cristiani, traduzione di Michela Pereira, Milano, A. Mondadori, 2003;

PERNOUD R., Storia e visioni di Sant’Ildegarda. L’enigmatica vita di un’umile monaca del Medioevo che divenne confidente di papi e imperatori, Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1996

STURLESE L., Donne tra il vecchio e il nuovo: Hildegard di Bingen, «prophetessa Teutonica», in Storia della filosofia tedesca nel Medioevo. Dagli inizi alla fine del XII secolo, Olschki, Firenze 1991.



 

 

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