N. 97 - Gennaio 2016
(CXXVIII)
"LA
FELICITà
SENZA INVIDIA" SECONDO SENOFONTE
UNA
LETTURA DELLO
“IERONE”
- PARTE III
di
Paola
Scollo
Al
termine
della
lunga
esposizione,
Simonide
osserva:
«L’uomo
si
distingue
dagli
altri
esseri
viventi
perché
aspira
all’onore.
E
nessun
piacere
umano
sembra
avvicinarsi
alla
divinità
più
della
gioia
derivante
dagli
onori».
Tuttavia,
per
Ierone
non
si
tratta
di
onori,
ma
di
atti
di
servilismo:
«Il
tiranno
vive
notte
e
giorno
come
se
l’intera
umanità
l’avesse
condannato
a
morte
per
i
suoi
soprusi».
E di
fronte
a
questa
prospettiva
di
vita,
unica
via
di
fuga
è il
suicidio:
«Se
mai
a
qualcuno
può
essere
utile
impiccarsi,
sappilo
bene,
io
trovo
che
è
soprattutto
al
tiranno
che
conviene
farlo,
perché
è il
solo
a
cui
non
giova
né
tenere
né
deporre
le
proprie
miserie».
La
descrizione
della
condizione
del
tiranno
giunge
al
momento
di
massima
tensione.
A
questo
punto,
Simonide
prende
la
parola
e
inizia
a
offrire
a
Ierone
consigli
utili
per
divenire
un
governante
apprezzato.
L’esercizio
del
potere
non
impedisce
di
essere
benvoluti;
anzi,
pone
in
condizione
di
vantaggio
rispetto
al
privato.
Per
Simonide,
il
tiranno
non
deve
competere
con
i
concittadini,
ma
con
i
governanti
di
altre
città:
«se
riuscissi
a
rendere
la
città,
di
cui
sei
capo,
la
più
prospera
fra
tutte,
saresti
proclamato
vincitore
nella
più
bella
e
splendida
gara
esistente
al
mondo.
Per
prima
cosa
ti
guadagneresti
immediatamente
la
benevolenza
dei
sudditi,
che
tanto
desideri;
poi
non
ci
sarebbe
un
unico
banditore
a
proclamare
la
tua
vittoria,
ma
tutti
quanti
esalterebbero
la
tua
virtù.
Diventato
famoso,
non
solo
da
privati
cittadini,
ma
anche
da
molte
città
saresti
benvoluto;
e
saresti
ammirato
non
solo
in
privato
ma
anche
in
pubblico
in
tutto
il
mondo».
Nella
competizione
con
i
concittadini
il
tiranno
non
può
provare
piacere:
vincendo,
diverrebbe
oggetto
di
invidia,
non
di
ammirazione;
perdendo,
riceverebbe
la
peggiore
delle
umiliazioni.
Di
qui
l’esortazione:
«Ierone,
rendi
ricchi
i
tuoi
amici,
arricchirai
te
stesso;
rendi
più
potente
la
tua
città,
procurerai
alleati
a te
stesso;
considera
la
tua
famiglia
la
tua
patria,
tuoi
compagni
i
cittadini,
tuoi
figli
gli
amici,
i
tuoi
figli
come
se
fossero
la
tua
stessa
vita,
e
sforzati
di
vincerli
tutti
quanti
facendo
loro
del
bene.
Infatti
se
nel
far
del
bene
supererai
gli
amici,
neppure
i
nemici
potranno
resisterti.
Se
fai
tutto
quello
che
ti
ho
suggerito,
sappilo
bene,
possiederai
il
bene
più
bello
e
prezioso
esistente
al
mondo:
la
felicità
senza
invidia».
Per
Simonide,
l’evergetismo
è
alla
base
del
successo
dei
governanti:
investire
denaro
in
opere
pubbliche
conferisce
prestigio
all’intera
polis;
di
contro,
spendere
denaro
pubblico
esclusivamente
per
beni
personali
porta
il
tiranno
a
essere
oggetto
di
invidia.
Peraltro,
un
simile
suggerimento
economico
è
già
fornito
a
Ierone
da
Pindaro
nella
prima
Pitica
(88
-
92):
«Anche
se
un’inezia
sfavilla
sembra
grande,
se
viene
da
te.
Sei
ministro
di
molti
e
molti
sono
i
testimoni
fedeli
nel
bene
e
nel
male.
Serba
il
rigoglio
della
tua
indole,
e se
ami
udire
sempre
dolce
fama
di
te,
largheggia
nelle
spese
senza
angustiarti;
libera
come
il
nocchiero
al
vento
la
vela.
Non
lasciare
t’ingannino,
amico,
gli
ambigui
guadagni;
solo
il
vanto
della
fama
che
sopravvive
ai
mortali
rivela
per
merito
di
narratori
e
poeti
la
vita
di
quelli
che
furono».
Il
richiamo
è
poi
alla
Politica
di
Aristotele:
«Lo
scopo
comunque
è
chiaro:
bisogna
che
egli
appaia
ai
sudditi
non
un
capo
tirannico,
ma
un
amministratore
e un
reggitore
regale,
non
un
usurpatore
ma
un
tutore,
che
segua
la
moderazione
nel
modo
di
vivere
e
non
gli
eccessi,
che
frequenti
inoltre
le
persone
ragguardevoli
e si
concili
il
favore
della
massa.
Da
ciò
deriva
necessariamente
non
solo
che
il
suo
governo
sia
più
bello
e
più
invidiato
perché
si
esercita
su
persone
migliori
e
d’animo
non
abietto
e
che
egli
viva
al
riparo
da
odii
e da
paure,
ma
anche
che
il
suo
governo
duri
più
a
lungo
e
che
lui,
poi,
sia
nel
suo
carattere
o
ben
disposto
verso
la
virtù
o
buono
per
metà
e
non
perverso
ma
solo
perverso
per
metà».
Arricchendo
i
propri
amici
il
tiranno
arricchisce
se
stesso
e
può
conquistare
il
bene
più
prezioso
al
mondo:
la
felicità
senza
invidia.
La
serie
di
esortazioni
di
Simonide
si
conclude
con
l’invito
a
una
maggiore
prodigalità,
motivo
di
fama
anche
grazie
al
valore
eternante
della
poesia.
Il
benessere
comune
è il
fine
ultimo
del
governo
ideale.
Ma
si
tratta
di
una
prospettiva
valida?
La
chiusa
dello
Ierone
mostra
un
evidente
paradosso:
l’identificazione
degli
interessi
del
tiranno
con
quelli
della
comunità.
È
una
forma
di
governo
che
può
realmente
essere
definita
tirannide?
Simonide
ha
una
visione
esterna,
distorta,
della
condizione
del
tiranno;
Ierone,
invece,
è
proiettato
verso
una
dimensione
più
interiore.
L’uomo
di
potere
è
qui
ritratto
in
condizione
di
evidente
difficoltà
e
precarietà.
Ed è
proprio
questo
l’aspetto
più
innovativo
del
dialogo.
Pur
mostrando
diffidenza,
il
potente
Ierone
sembra
disposto
ad
ascoltare
e ad
accogliere
i
consigli
del
saggio
Simonide.
La
vita
privata
è
preferibile
alla
vita
politica;
tuttavia,
esiste
la
possibilità
per
il
tiranno
di
ricevere
onori
e
privilegi
qualora
si
lasci
illuminare
dai
suggerimenti
del
saggio-
filosofo.
Il
richiamo
è,
ancora
una
volta,
alla
Repubblica
di
Platone
(473
c 11
- d
6):
«Se
i
filosofi
non
governano
le
città
o se
quelli
che
ora
chiamiamo
re o
governanti
non
coltiveranno
davvero
e
seriamente
la
filosofia,
se
il
potere
politico
e la
filosofia
non
coincideranno
nelle
stesse
persone
e se
la
moltitudine
di
quelli
che
ora
si
applicano
esclusivamente
all’una
o
all’altra
non
sarà
col
massimo
rigore
impedita
dal
farlo,
è
impossibile
che
cessino
i
mali
delle
città
e
anche
quelli
del
genere
umano».
Alla
luce
di
queste
riflessioni,
è
impossibile
non
scorgere
nello
Ierone
il
paradigma
di
un
regime
autoritario
e
dispotico
fondato
sul
potere
della
filosofia.