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N. 95 - Novembre 2015 (CXXVI)

“La felicità senza invidia” secondo Senofonte
Una lettura dello “Ierone” - Parte I

di Paola Scollo

 

L’affermazione della tirannide in Grecia si pone nel VII secolo a.C. in un periodo di forti tensioni sociali e politiche. Contrassegnata da spiccato individualismo, questa forma di governo si configura quale risposta necessaria alle divisioni della classe aristocratica al potere. E, in tal senso, è una tappa fondamentale nel passaggio dalla società arcaica alla polis democratica del V secolo.

 

La nozione di tirannide è stata per lungo tempo al centro di dibattiti politici e filosofici. Riuscire a tracciare un quadro puntuale della più antica tirannide greca è operazione complessa e, talvolta, rischiosa. Un interessante contributo giunge dalle pagine dello Ierone di Senofonte.

 

Il trattato, composto tra il 380 e il 355 a.C., non è una riflessione politica teorica e astratta, ma pragmatica, perché rivolta a un reale destinatario. È possibile, infatti, pensare a un tiranno di Siracusa: Dionigi II, contemporaneo di Senofonte, o Dione, che già Platone immagina quale filosofo-reggitore dello Stato ideale. Lo Ierone non si inserisce all’interno della riflessione dominante che considera la tirannide una forma di governo degenerata, ma dischiude nuove prospettive, tra cui la possibilità di una valutazione in positivo.

 

Alle origini, il termine tyrannos ha significato incerto. Tale ambiguità trova una plausibile motivazione nella difficoltà di definire la natura della tirannide, ovvero nella confusione tra forme di potere monarchico in epoca arcaica. Secondo Tedeschi, «come ogni vocabolo neutro, tyrannos è predisposto ad essere caricato di significati tra loro opposti e inevitabilmente finisce col diventare ambivalente».

 

Dall’analisi delle testimonianze emerge che, alle origini, tyrannos è sinonimo di monarca, basilèus. Così, ad esempio, in Erodoto (I 86. 4): «uno che io avrei voluto, anche pagando grandi ricchezze, far incontrare a tutti coloro che hanno dominio (tyrannoi)».

 

Al contempo, tyrannos può designare il capo di una fazione politica. Infatti, per affermare il proprio dominio, il tiranno diviene interprete degli interessi di nuove classe sociali: cittadini oppressi da miseria e schiavitù, opliti, artigiani e commercianti. Proprio per queste ragioni, la nozione di tiranno ha valore positivo per il demos: il tyrannos pone fine alla stagione delle guerre civili e delle lotte politiche interne.

 

Più in generale, la tirannide appare quale condizione invidiabile per onori, fama e ricchezze. Sofocle nelle Trachinie definisce il flauto «tiranno del mio senno» (217), in riferimento alla capacità di incitare alle danze. Come risulta evidente, tyrannos ha qui significato neutro: implica una forma di potere.

 

Un primo illuminante esempio di uso deteriore giunge dagli Uccelli di Aristofane, laddove Pisetero, il fondatore della città, viene apostrofato come «il sovrano (tyrannos) nelle splendide case» (1708). Significative attestazioni ricorrono poi nella Repubblica di Platone (334 c - d): «La tirannide non è buona né per i dominatori né per i soggetti: solo anime piccole e servili amano strappare tali guadagni, anime che non sanno nulla di ciò che è buono e giusto».

 

Nel IX libro della Repubblica Platone immagina l’animo tyrannikos come una condizione di torpore della dimensione razionale dell’uomo, con conseguente predominio dell’elemento impulsivo e irragionevole.

 

Priva di controllo, l’anima del tiranno «non esita infatti a tentare di unirsi alla madre, o almeno così crede, o a qualsiasi uomo, dio o animale; a macchiarsi di ogni genere di assassini, a non astenersi da nessun cibo. Insomma, non proibisce a se stessa nessuna stoltezza e nessuna indecenza» (571 c 9 - d 4). Per concludere, «un uomo diventa veramente tiranno quando, per natura o per abitudine o per causa di entrambe, diventa ebbro, innamorato e pazzo» (573 c 7 - 9).

 

Platone intende qui mostrare la distanza dell’indole del tiranno da quella del sapiente: potere e ambizione sono motivo di allontanamento da saggezza e temperanza. D’altra parte, la saggezza è estranea per natura alla sfera politica. In ambiente aristocratico il termine tyrannos indica l’autocrate che spezza l’egualitarismo, isotes, della polis arcaica. Ed è soprattutto nell’Atene democratica del V secolo che riceve connotazione negativa, perché in antitesi con l’etica della polis.

 

A tal proposito, occorre ricordare che anche Pericle, talvolta, viene associato dai poeti comici al tiranno Pisistrato. Secondo Hobbes, Pericle e Pisistrato «non differiscono per il fatto che il secondo abbia più potere del primo, perché non si può dare un potere maggiore di quello supremo […]. Differiscono solo per l’esercizio del potere: è re chi governa rettamente, tiranno chi governa in altro modo. La questione dunque si riduce a questo, che se i cittadini pensano che un re esercita bene il suo potere lo chiamano re; altrimenti tiranno» (De cive VII 3).

 

Sul filo di questa direttrice, sembrerebbe che il pensiero greco abbia utilizzato i termini tiranno, tyrannos, e re, basilèus, in riferimento alla stessa forma di governo, ma l’uno in senso negativo e l’altro in positivo.

 

Questa sintetica rassegna degli usi del termine tyrannos risulta illuminante ai fini del nostro discorso, perché Senofonte ribalta la tradizionale rappresentazione polemica della tirannide di matrice platonica. E tale immagine in positivo non è affidata al filosofo e/o al poeta, ma al tiranno in persona.



 

 

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