N. 28 - Settembre 2007
i
partiti politICI
Uno
sguardo dal ponte, La Democrazia,
Inflazione di partiti, Vecchio socialismo, L’apporto
di Weber
di
Arturo Capasso
1) Uno sguardo dal
ponte
Negli ultimi anni il mondo politico ha portato un
grosso contributo all'arricchimento della lingua
italiana. Sono state coniate parole ed espressioni
per illustrare fatti quasi sempre legati al
malgoverno ed alla degenerazione dei partiti.
Ma cos'è un partito politico? Quando nasce? Come si
sviluppa? E perché ad un certo momento ci si avvia
inesorabilmente verso la partitocrazia ed alla fine
delle ideologie?
Quali sono le prospettive?
Ho iniziato le mie ricerche riprendendo i classici
del pensiero politico, rileggendo stesse voci da
angolatura diversa.
Fra le altre cose, ho scoperto che ì concetti di
partito trasversale o "super partes " e il voto di
scambio erano già acquisiti, sebbene con termini
diversi.
I giornali come partiti
Antonio Gramsci nei Quaderni del car¬cere, vol. 5
pp. 20, 21, osserva che ' 'nel mondo moderno, in
molti paesi, i par¬titi organici e fondamentali, per
neces¬sità di lotta o per altra causa si sono
frazionati in frazioni, ognuno delle quali assume il
nome di ' 'partito ' ' e anche di partito
indipendente. Spesso perciò lo Stato Maggiore
intel¬lettuale del partito organico non appartiene a
nessu¬na di tali frazioni ma opera come se fosse una
forza direttrice a sé stante, superiore ai partiti e
talvolta è anche creduta tale dal pubblico. Questa
funzione si può studiare con maggiore precisione se
si parte dal punto di vista che un giornale (o un
gruppo di giornali), una rivista (o un gruppo di
riviste), sono anche essi "partiti" o "frazioni di
partito" o "funzione di determinato partito". Si
pensi alla funzione del "Times" in Inghilterra, a
quella che ebbe il "Cor¬riere della Sera" in Italia,
e anche alla funzione del¬la così detta "stampa
d'informazione", sedicente "apolitica " e persino
alla stampa sportiva e a quella tecnica".
Siamo di fronte a forze diverse, a tanti gruppi di
pressione. Le aggregazioni di cui parla Gramsci
so¬no sotto gli occhi di tutti. C'è un elemento in
più: la televisione.
Pensiamo con la nostra testa?
Ma noi pensiamo ancora con la nostra testa? Fino a
che punto siamo condizionali e manco lo sappiamo?
Una classe che ci aveva dominato inizia a vacilla¬re
per forze endogene ed esogene.
Ma essa, secondo Gramsci (Ib. pag. 50) ,"muta uomini
e programmi e riassorbe il controllo che le andava
sfuggendo con una celerità maggiore di quanto
avvenga nelle classi subalterne; fa magari dei
sacrifici, si espone a un av¬venire oscuro con
promesse demagogiche, ma man¬tiene il potere, lo
rafforza per il momento e se ne serve per
schiacciare l'avversarlo".
Ma non è detto che tale strategia risulti vincente.
Quando il partito perde di vista il motivo della sua
stessa esistenza, non. può continuare all'infinito a
gio¬care coi suoi proseliti e a "far finta di
niente". Pri¬ma o poi arriva il redde rationem.
Giustamente Granisci rileva che "non sempre essi
sanno adattarsi ai nuovi compiti e alle nuove
epoche". (Ib; pag. 51)
La storia e i suoi cicli
Arrivano altri, con idee apparentemente nuove,
conquistano il potere, fanno sistematicamente ciò
che avevano fatto quelli prima dì loro.
Tale andamento ciclico mi riporta a Ibn Khaldoun.
Vediamo. Nacque a Tunisi il 27 maggio 1332 e morì al
Cairo il 19 marzo 1406. Fu pensatore, storico,
so¬ciologo, svolse una lunga attività pratica e
teoretica. La sua opera principale Muqàddima
(Introduzione) fa scoprire un grande precursore
delle teorie sociologiche. Per la nostra ricerca ci
fer¬miamo alla parte che riguarda il passaggio dallo
stato nomade a quello sedentario. La storia è fatta
dai no¬madi, dalla loro forza trascinante. Le lotte
fra le tribù portano inesorabilmente ad una
supremazia e lo sbocco in un vero impero è
inevitabile.
È un impero sedentario, che crescerà. Ma ha già in
nuce un mondo destinato a soggiacere. Per quale
motivo? Perché ci sono forze sane che premono e
per¬ché quelle al potere hanno perso ogni contatto
con la realtà. Ha scritto acutamente Ibn Khaldoun:
"fi¬niscono col credere che il potere non è la
ricompen¬sa dei sacrifici e delle qualità richieste
per la conquista, ma è ad essi dovuto per la
semplice virtù di nascita o per la propria razza" (Gaston
Bouthoul, Traité de sociologie, Parigi 1959, p. 24).
E ancora: "la fiamma dell'inizio, che permetteva ai
pionieri di affrontare la morte con gioia, si
spegne. Si perde la fede e non si muore più per la
causa" (Mohamed Talbi , Ibn Haldun et l'Histoire,
Tunisi 1973, pag. 48).
Chi sarebbe ancora disposto a morire? E per qua¬le
causa?
Sempre più spesso sono intercettati gruppi che
possono coagularsi per i loro diritti ed interessi
intorno ad un rappresentante politico;è successo in
passato con i contestatori del ’68, sta succedendo
adesso coi coming out e i global. Una prova – tutto
sommato – della validità dei cicli. Questi
rappresentanti sono motivati,appaiono convinti di
quello che dicono,assicurano di battersi per il
gruppo che li voterà. E se lo ricorderanno? Per
quanto tempo?
2) La democrazia
Mi sembra piuttosto semplicistico il motivo che
porta alla formazione del partito dato da Hans
Kelsen nella sua Teoria generale del Diritto e dello
Sta¬to. Egli infatti scrive (pag. 299) "In una
democrazia parlamentare, l'individuo isolato ha ben
poca in¬fluenza nulla creazione degli organi
legislativi ed ese¬cutivi. Per ottenere un
'influenza, egli deve associarsi con altri che
condividano le sue opinioni politiche. Nascono così
i partiti politici".
E tutti gli altri gruppi di pressione? Basterebbe
ri¬cordare i sindacati, le lobbies, "il partito che
non c'è", le aggregazioni che ruotano intorno alla
reli¬gione, massoneria, alta finanza. Più avanti
aggiun¬ge: "In una democrazia parlamentare, il
partito politico è uno strumento essenziale per la
formazio¬ne della volontà pubblica".
Una nuova volontà si sta formando al di fuori dei
partiti, anzi è proprio contro i partiti. Un
desiderio di fare tabula rasa di ogni partito, quale
che sia il suo colore, e individuare nuove
aggregazioni per nuo¬vi partili non compromessi:
vergini!
Mi sembra più giusto quando annota (op. cit. pag.
300): "Per una democrazia è essenziale soltanto che
non sia esclusa la formazione di nuovi partiti, e
che a nessun partito sia accordata una posizione dì
privilegio o di monopolio".
L’autocrazia
Non in tutti i Paesi c'è democrazia e pluralità di
partiti. In molti c'è o c'è stato un sol partito e
il vero capo del Paese s'identifica col segretario
del partito. Scrive Kelsen (op. cit. pag. 306): "Nei
tempi recen¬ti (l'opera di Kelsen fu pubblicata nel
'44) è sorta una nuova forma di autocrazia con la
dittatura di parti¬to del bolscevismo e del
fascismo. In Russia, la nuo¬va forma è un prodotto
della rivoluzione socialista seguita alla prima
guerra mondiale. La sua base in¬tellettuale è la
teoria marxista della lotta di classe e della
dittatura del proletariato. In realtà, questa
dit¬tatura è diventata quella di un partito, che
rappre¬senta gli interessi dei proletari".
Ci sono due considerazioni da fare. La prima è che
secondo Marx (come scrisse I.enin in Stato e
Rivolu¬zione) il partito sarebbe scomparso; la
.seconda os¬servazione è che sfugge al Kelsen il
fatto della rappresentatività del partito: esso non
ha mai rap¬presentato la dittatura del proletariato,
ma solo e tragicamente quella su! proletariato.
Vediamo adesso cosa scrive il Kelsen sugli altri due
partiti autocratici: "In Italia il partito fascista
fu un partito delle classi medie che salì alla
dittatura mediante una lotta contro i partiti
proletari. Il termine fascismo - al pari di
bolscevismo - viene ormai usato per denominare un
tipo di governo, cioè la dittatura di un partito
delle classi medie. Lo Stato nazional¬socialista
della Germania appartiene a questo tipo. Nella
dittatura di un partito il partito a! potere ha esso
stesso un carattere autocratico. I suoi membri sono
sottoposti alla signoria assoluta del capo de!
par¬tito, che è al tempo stesso il capo dello Stato"
(op. cit. pag. 307)
Buio a mezzogiorno
II controllo assoluto di una sola persona, che si
cir¬conda di apparati informativi e dissuasivi ,
rappresenta i! momento più buio nella storia d'un
Paese. Per for¬tuna, come si dice in Cecoslovacchia,
l'albero non cresce fino al cielo. Sentii questo
pensiero nel '68, tre giorni dopo l'invasione
sovietica. I fatti hanno da¬to ragione, anche se con
oltre vent' anni di ritardo, a chi era fermamente
convinto che prima o poi la cre¬scita dell'albero si
sarebbe fermata.
E giustamente il Kelsen rileva (ivi,. pag. 307): "Nel¬la
dittatura di un partito, la libertà di parola e di
stampa ed ogni altra libertà politica sono
completa¬mente soppresse. Non solo gli organi
ufficiali dello Stato ma anche gli organi del
partito possono interferire arbitrariamente nella
libertà del cittadino. An¬che l'indipendenza dei
tribunali è abolita per quel che concerne gli
interessi del partito dominante".
Il partito
Ma da chi è composto un partito?
Se avessi dovuto rispondere qualche anno fa avrei
detto: da persone che hanno un ideale comune. Ora le
cose hanno assunto una piega diversa e ritengo più
utile andare a rileggere quanto scrisse G. Jellinek
nella sua Dottrina generale del Diritto e dello
Stato (Mila¬no, 1949) circa la sintesi psicologica
dell'unità di gruppo e della sua organizzazione come
fenomeno sub-umano: "Gli animali da branco della
classe dei mammiferi non solo vivono in comunità ...
ma for¬mano dei gruppi organizzati. Così, ad es.
Brehm de¬scrive la vita sociale delle scimmie: "In
un'orda, il maschio più forte o più attempato,
quindi il più ca¬pace, s'impone come condottiero
della truppa o capo-scimmia. Questa dignità non gli
è conferita median¬te il diritto di suffragio
generale ma gli è riconosciu¬ta soltanto dopo una
lotta ed una contesa molto ostinata con altri
aspiranti, cioè con tutti i rimanenti maschi
anziani... In contraccambio, esso fedelmen¬te,
prende cura della sicurezza della sua banda ed è per
ciò in preoccupazione continua. Così, volge i suoi
sguardi in tutte le direzioni, non si fida dì alcun
es¬sere, e in tal modo discopre quasi sempre in
tempo opportuno un eventuale pericolo. Presso un tal
numero di tali animali da branco si riscontra il
colloca¬mento di sentinelle, le quali, in un dato
caso, danno il segnale di allarme" (pp. 120/121).
Nel 1937 si pubblicava a Torino l'ottavo vo¬lume del
Grande Dizionario Enciclopedico(Utet).
La voce Partiti politici occupa poco meno di tre
colonne, ma merita di essere ampiamente riportata,
perché è un esempio di come sì presentavano i vari
aspetti dottrinari.
Dopo una definizione sui P. come associazioni di
persone, si nota che "la forma più elementare dei
par¬titi politici è data dal! 'esistenza di due
soltanto dì es¬si: il conservatore e il liberale,
quello attaccato alle tradizioni, questo desideroso
di novità... ".
3)Inflazione di partiti
Ed ecco come da due partiti si passa ad una vera
inflazione e alla loro inutilità, anzi al loro danno
ver¬so il Paese: "modificandosi e degenerando il
regime parlamentare, il numero dei partiti
rappresentati al¬le Camere o agitantisi nel Paese
andò notevolmente crescendo e variamente
colorandosi, sino a raggiun¬gere gli estremismi più
accesi. Il che... produsse gra¬do grado il
discredito dei partiti nella coscienza nazionale e
la inefficacia della loro funzione". Ne scaturisce
un contrasto continuo fra partiti e gover¬no, con
danno per tutti. Sembrerebbe un male irre¬versibile,
senza sbocco. Per fortuna, nei "regimi autoritari la
situazione può dirsi rovesciata. Data l'u¬nità e
totalità dello Stato impersonata ne! Capo (Duce,
Fùhrer), il quale è ad un tempo capo del governo (il
Fùhrer è anche capo sello Stato) e capo del partito
che ha assunto per effetto di rivoluzione la somma
del potere, una serie di partiti non ha ragione
d’esistere. Il partito al potere si identifica col
governo e con la nazione”
La fiducia in tale regime doveva essere molto forte
e c’era la sicurezza che esso non sarebbe
degenerato: “Né è a temersi, a causa del mancato
giuoco dei partiti, la cristallizzazione del regime
autoritario o la sua trasformazione in dittatura”.
Tutto incanalato, tutto in rigidi schemi. Bando alla
fantasia: “Gli apporti di nuove idee o di nuove
correnti…sono elaborati dallo stesso regime”.
C’è un’aspra critica ai partiti ispirati da
ideologie utopistiche (comunismo, anarchismo,
sovversivismo in genere), che cercano una
penetrazione “catastrofica e antiumana”. Ma non c’è
da temere, perché contro tali forze “ha lottato e
lotta tutt’oggi la parte migliore dell’umanità
Ha proprio ragione Harold Laski quando nella sua A
Grammar of Politics, Londra 1960, scrive che i
partiti “sono il più forte ostacolo che abbiamo
contro il pericolo del Cesarismo” (pag.313).
Ma quanti partiti dovremmo avere? Sempre secondo il
Laski c’è “una superiorità di un sistema bipartitico
sulla molteplicità di più aggregazioni” (op.cit. pag.314).
4) Vecchio socialismo
Negli anni settanta ho scritto vari articoli per la
rivista Critica sociale, che si pubblicava a Milano
ed era diretta da Giuseppe Faravelli. Alla sua morte
continuai la collaborazione con il nuovo direttore,
Ugoberto Alfassio Grimaldi, che fece un’ampia ed
accurata introduzione al mio libro
Socialismo in Svezia, apparso nel lontano 1966. La
rivista era molto modesta nell’impaginazione ; era
cucinata in una piccola redazione e stampata in modo
decoroso con grande attenzione ai costi.
Gli articoli – se ricordo bene – non erano pagati o
forse lo erano in modo simbolico. Ma quanta gioia
c’era fra coloro che si affacciavano su quelle
pagine. E quanta pulizia.
Un giorno ricevetti il fascicolo: carta patinata,
nuova vesta tipografica, molte pagine di pubblicità.
Pensai: forse Ugoberto Alfassio Grimaldi ha vinto la
lotteria e ,da buon socialista, ha messo la vincita
a disposizione della sua creatura .Gli scrissi una
lettera affettuosa in cui notavo tuttavia il
cambiamento e il mio disaccordo. Mi sembrava, quella
nuova veste, una donna alla buona colpita da
improvviso benessere, con belletto e pelliccia
vistosa.
Ricevetti una cartolina con poche righe.”Caro
Capasso, sei molto distratto; non hai infatti letto
che non sono più io il direttore”.
E così mi allontanai dalla Critica, come fecero
tanti altri. La rivista passò fra mani rapaci, nomi
che ricorrevano sulle prime pagine dei giornali .Le
sottoscrizioni “volontarie” di sostenitori erano
fatte da personaggi che ruotavano intorno all’impero
in formazione.
L’affarismo al potere
Perché tutto questo? Era necessario? Mentre si
cambiavano le facciate con marmi pregiati, l’interno
diventava un centro d’affari e si perdeva di vista
il giusto ideale del socialismo. Ma una ideologia
deve essere sentita “dentro”, deve essere vissuta
ogni giorno, e deve essere sempre la stessa.
Quando il Presidente della Repubblica Saragat andò
in visita ufficiale in Svezia, il corteo delle auto
rimase bloccato nel traffico di Kungsgatan, la più
bella strada di Stoccolma. Il nostro Presidente si
rivolse al suo ospite, Re Gustavo, e gli chiese come
mai non ci fosse la priorità per il Re ed il suo
seguito. La risposta fu:qui siamo in un Paese
socialista.
Ecco, si può essere socialisti ma pensarla in modo
elitistico e si può essere monarchici ma pensare in
modo socialista.
Purtroppo da noi c’è stata una involuzione
maggiore:ognuno ha abiurato alla sua ideologia, ha
dimenticato i motivi invocati per avere un potere
delegato. Man mano che il potere nel governo e
sottogoverno aumentava c’erano un frazionamento ed
un controllo del territorio da parte di veri e
propri ras. La Encyclopaedia of the social Sciences
a pag.590 del vol.II definisce la fazione come un
gruppo che “lavora per il vantaggio di persone
particolari o di specifiche politiche”.
Lo sfascio
Le fazioni hanno assunto magari il nome di
“correnti”, con la pretesa di aprire nuovi orizzonti
al Paese, all’umanità. Tutta aria fritta, e quindi
inquinante. La verità è stata l’affermazione di
feudi locali, anche se con accordi fra altri
partiti. Il fine di pensare alla propria fazione
giustificava il mezzo, anche se illecito. Il centro
di potere a Roma era il punto di convergenza delle
varie istanze dove i nuovi Signori brigavano per
affermare la propria leadership nella regione,
provincia, città.
Cicerone (Catilinaria,I) perde la pazienza e dice:
“quousque tandem abutere, Catilina, patientia
nostra?”.
Giustamente Gramsci ha rilevato che “l’intelligente
può fingersi sciocco e riuscire a farsi credere
tale, ma lo sciocco non può fingersi tale, a meno
che non trovi gente più sciocca di lui, ciò che non
è difficile” (Opere, vol.7 pag.18)
Prima ho accennato ad un inizio diciamo romantico
del partito e al distacco che è avvenuto.
Ma bisogna ricordare che proprio Gramsci ha parlato
di pressappochismo dei programmi e delle ideologie
dei partiti tradizionali. Ci troviamo di fronte al
settarismo, che “non si basa su principi, ma su
passioni anche basse ed ignobili e finisce con
l’avvicinarsi al “punto d’onore” della malavita e
all’omertà della mafia e della camorra”(op.cit.pag.11)
Non poteva certo immaginare – Gramsci – la
collusione che ci sarebbe stata fra politica e
malavita organizzata.
Il trionfo della stupidità
Lo scadimento porta al trionfo della stupidità: due
parlamentari appaiono nudi su periodici che
dovrebbero essere di stimolo politico e culturale.
Comunque, i partiti non nacquero col piede giusto;
essi furono “un insieme di galoppini e maneggioni
elettorali, un’accolta di piccoli intellettuali di
provincia, che rappresentavano una selezione alla
rovescia. Data la miseria generale del paese e la
disoccupazione cronica di questi strati, le
possibilità economiche che i partiti offrivano erano
tutt’altro che disprezzabili. Si è saputo che in
qualche posto, circa un decimo degli iscritti ai
partiti di sinistra racimolavano una parte dei mezzi
per vivere dalle questure, che davano pochi soldi
agl’informatori data l’abbondanza di essi o li
pagavano con permessi per attività marginali da
mezzi vagabondi o con l’impunità per guadagni
equivoci”(op:cit.pag.11)
Il terremoto che ha sconvolto i partiti nel nostro
Paese era fino a poco fa inimmaginabile.
Perché si è atteso tanto? E tutti sono scappati,
uscendo dalla porta di servizio delle varie
segreterie.
Moltissimi -troppi – hanno rinnegato il loro capo ed
hanno sputato con veemenza e visibilità nel piatto
in cui fino a poco prima avevano mangiato e si
tenevano ben stretto, senza far cadere alcuna
briciola.
S’è cercato annaspando spingendo implorando di
automoralizzarsi. Ebbene io,amicus Plato, sed magis
amica veritas, ci credo poco e sono piuttosto
scettico. Ancora una volta mi piace citare Gramsci (op.cit.pag.17)
: “le conseguenze di queste campagne moralistiche
lasciano di solito il tempo che trovano, se non sono
uno strumento per determinare l’opinione pubblica
popolare ed accettare una determinata “liquidazione”
politica, o a domandarla, ecc.”
5) L’apporto di Weber
Nel 1922 a Tubingen veniva pubblicata l’opera di Max
Weber Economia e società, tradotta in italiano da
Comunità nel ’61. A pag. 282 del primo volume si
legge che i partiti sono “associazioni fondate su
una adesione (formalmente) libera, costituite al
fine di attribuire ai propri capi una posizione di
potenza all’interno di un gruppo sociale”.I
militanti che agiscono all’interno possono essere
attivi e non attivi. Questi ultimi hanno un ruolo di
portatori d’acqua, operano nel periodo delle
elezioni. Invece i membri attivi agiscono “per il
perseguimento di fini oggettivi o per il
raggiungimento di vantaggi personali, o per entrambi
gli scopi” ( ivi)
Tutto è permesso
Non c’è da stare molto allegri, perché “ I partiti
possono utilizzare qualsiasi mezzo per acquistare
potenza” Non solo, ma l’esercizio della politica è
“un’attività di interessati” (ivi)
Poche espressioni che riescono a scolpire la realtà
operativa di questi “benemeriti” gruppi di
pressione. Una volta che un partito riceve in
anticipo il placet d’adoperare qualsiasi mezzo per
diventare potente ed una volta che la fase ideale
lascia il posto a quella affaristica, si arriva
all’imbarbarimento dei rapporti e del vivere civile.
Vediamo- ora – come sono finanziati i partiti
politici.
Intanto,si rileva che “le finanze dei partiti
costituiscono il capitale meno trasparente, per
motivi comprensibili, della storia dei partiti” (pag.285).
Il finanziamento dei gruppi politici trova una sua
analisi in una trattazione più ampia, che riguarda
qualsiasi tipo di gruppo, teso a procurarsi fonti di
sostentamento e di sviluppo. Troviamo così
finanziamenti intermittenti ed altri permanenti.
Mafia,camorra e super potere
E’ interessante l’appunto del Weber sul
finanziamento estorto: qui non si parla di rapporti
fra gruppi malavitosi e politica (forse i tempi
erano prematuri !) , ma di prestazioni estorte;
quest’ultimo tipo è rappresentato dalla camorra
nell’Italia meridionale e dalla mafia in Sicilia. In
cambio , si offre sicurezza. Weber scrive
testualmente (pag.195): “Ecco la osservazione di un
fabbricante napoletano, fattami circa vent’anni fa,
in risposta ai dubbi sull’efficacia della camorra in
riferimento all’impresa:- Signore, la camorra mi
prende X lire al mese , ma garantisce la sicurezza;
lo Stato me ne prende dieci volte tanto, e
garantisce niente”
Ogni volta che c’è un ammazzato eccellente si
mobilitano giornali, giornalisti, opinionisti,
tavolorotondisti, alte ed altissime cariche dello
Stato. C’è un coro sofferto di elevata indignazione.
Seguono la solidarietà immediata di questi e quelli,
l’impegno – sempre solenne – a cambiare.
Ma non succederà nulla, tranne il ripetersi dello
stesso copione per analoghi fatti.
Non si capisce ( o non si vuole capire?) che questa
( come chiamarla organizzazione, lobby, società per
azioni ?) non potrà essere sconfitta per un motivo
molto semplice: essa racchiude in sé i tre poteri
dello Stato: legislativo, giudiziario, esecutivo. Io
faccio e sono la legge, io dichiaro che tu hai
sbagliato, io ordino di punirti, senza alcun appello
.E’ un vero potere concentrato nelle mani di una
sola persona. Ma c’è di più; ai tre poteri se ne
aggiungono altri , forse ancora più forti: io dico
se devi lavorare, come e quando. Io ti autorizzo ad
aprir bottega , io ti assicuro.
Siamo di fronte ad un controllo superiore ad ogni
ottimistica prospettiva del buon Lord Beveridge,
secondo il quale lo Stato doveva assicurare
l’individuo dalla culla alla bara. |