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N. 119 - Novembre 2017 (CL)

Hostages: Il DIROTTAMENTO DEL VOLO TBILISI-LENINGRADO
TRA sognI e UN tragicI tentativI di fuga

di Leila Tavi

Alla XII edizione della Festa del Cinema di Roma è stato presentato il bel film del regista georgiano Rezo Gigineishvili dal titolo Hostages. La pellicola, uscita come anteprima dal Festival di Berlino 2017, narra di un fatto realmente accaduto il 18 novembre del 1983: il dirottamento del volo Aeroflot 6833 da parte di un gruppo di giovani benestanti di Tbilisi.

I dirottatori appartenevano all’establishment sovietico, ma avevano il desiderio di vivere nell’Occidente, che consideravano libero e democratico, quell’Occidente che i loro genitori, alti rappresentanti dello Stato comunista georgiano, aberravano invece come corrotto e depravato.

Nel film i nomi sono di fantasia, il regista ha svolto numerose ricerche d’archivio sul tragico evento per oltre otto anni, prima di scrivere la storia con lo sceneggiatore Lasha Bughazde.

I due ruoli principali sono interpretati da Irakli Kvirikadze nel ruolo di Nick, nella realtà il noto attore German, detto “Gega”, Kobakhidze, all’epoca dei fatti ventiduenne, e da Tina, detta “Tinatin”, Dalakishvili, che nel film è Tina, la moglie di Nick; il vero nome dell’unica ragazza che prese parte al dirottamento è infatti Tina Petviashvili, consorte appena per un giorno di Gega Kobakhidze nella vita reale. I due si erano sposati la sera prima di salire a bordo del volo Aeroflot diretto a Leningrado, che avrebbe dovuto fare tappa a Batumi, una cittadina nei pressi della costa del Mar Nero, al confine con la Turchia.

Con la giovane coppia di sposi in luna di miele salirono a bordo: Grigori, detto “Gia”, Tabidze, 32 anni, artista e figlio di un alto funzionario sovietico, Tejmuraz Tabidze, e di una pedagoga; Davit, detto “Dato”, Mikaberidze, 25 anni, studente al quarto anno dell’Accademia di pittura di Tbilisi con borsa di studio e figlio del costruttore Ražden Mikaberidze; Iosif, detto “Soso”, Tsereteli, 25 anni, collega di corso di Tina e Dato, figlio di un importante corrispondente e docente universitario a Tbilisi, e i due fratelli Paata e Kakha Iverieli, entrambi medici e rispettivamente di 27 e 29 anni, laureati a Mosca e figli di un luminare della medicina, Važa Iverieli.

Il piano dei ragazzi era di costringere il pilota a deviare verso la Turchia, dove sarebbero scesi per partire da lì negli Stati Uniti, senza spargimenti di sangue. Invece qualcosa non andò come previsto; dagli atti del processo non è emerso se il KGB avesse ricevuto una segnalazione, o se a causa del maltempo, l’aero virò poco dopo il decollo delle 15:43 di nuovo verso Tbilisi.

I sette ragazzi, senza neanche rendersi conto che l’aereo stava tornando indietro, decisero di entrare in azione; secondo il rapporto della Federal’naja Služba Bezopasnosti Rossijskoj Federazii alle 16:13 Tabidze, Tsereteli e Kakha Iverieli tentarono di arrivare armati alla cabina di pilotaggio, ma il capitano, Akhmatger Gardapkhadze, e il copilota, Vladimir Gasoyan (in seguito dichiarati eroi sovietici), provvisti di armi, riuscirono a respingere l’attacco e a chiudersi nella cabina di pilotaggio, dando prontamente l’allarme.

Tabidze rimase ucciso durante la sparatoria con il copilota, mentre Mikaberidze si suicidò sull’aero, appena resosi conto che il piano era fallito. Tsereteli morì giorni dopo in ospedale, a seguito delle profonde ferite da arma da fuoco riportare.

Pur di non cedere alla richiesta di dirottare il volo verso la Turchia, il capitano rimase in volo su Tbilisi per ore, in attesa di istruzioni da terra.

Una volta atterrato all’aeroporto di Tbilisi, il Tupolev fu preso d’assalto dagli spari dalla forze speciali del Alpha Group di Mosca (Per i dettagli si consulti il Rapporto dell’Autorità sovietica per il trasporto aereo sull’accaduto).

Dopo estenuanti ore di attesa e infruttuosi tentativi di negoziare con i dirottatori, il giorno successivo, alle 6:55 di mattina, ci fu l’azione delle forze speciali, che irruppero nell’aereo con un ulteriore spargimento di sangue: nella sparatoria dell’assalto sono rimaste uccise sette persone (tre membri dell'equipaggio, due passeggeri e due terroristi); mentre dodici persone sono rimaste ferite (tre membri dell'equipaggio, sette passeggeri e due terroristi).

I dirottatori sopravvissuti, insieme a Tina, furono arrestati e condannati durante il processo dell’agosto 1984. Solo Tina ebbe uno sconto sulla pena, condannata a quattordici anni di prigione, gli altri ebbero la condanna capitale e furono uccisi in un campo fuori Tbilisi il 3 ottobre dello stesso anno. I loro corpi ancora non sono stati riesumati, non avendo certezza del luogo esatto in cui sono stati giustiziati.

Sulle loro famiglie, cadute in disgrazia, come nella più macabra tradizione sovietica, è stato posto il fardello della vergogna durante tutti gli ultimi anni del regime.

La storia del dirottamento ha avuto già un adattamento teatrale nel 2001 dal titolo The Jeans Generation, or Belated Requiem, il cui copione è stato riadattato da David Turashvili, l’autore che scrisse il racconto della vicenda nel 1988.

La pièce teatrale, fortemente voluta dal produttore David Doiashvili, avrebbe dovuto essere messa in scena al Teatro Marjanishvili, ma l’amministrazione dello storico teatro di Tbilisi rifiutò il testo di Turashvili, sembrerebbe per una forte opposizione del ex leader sovietico Eduard Shevardnadze a riportare alla memoria i tragici fatti del 1983.

L’onta che il politico georgiano gettò sui quelli che considerava “banditi”, “terroristi” e “tossicodipendenti” ebbe gravi conseguenze, come già accennato, anche per le loro famiglie e il suo diniego a ricordarne in qualsiasi modo la loro storia, anche in tempi recenti, ne è una riprova. La performance riuscì comunque a essere presentata con successo al pubblico georgiano nel Teatro Libero, una piccola realtà gestita da privati.

Due anni dopo, nel 2003, il dirottamento del TU-134 è stata oggetto del documentario Bandits di Zaza Rusadze, con un importante testimonianza della moglie di Kobakhidze, l’unica sopravvissuta dei sette dirottatori. Tina era una studentessa di belle arti diciannovenne con aspettative e speranze nel futuro, suo padre era impiegato in un istituto di ricerca, mentre Gega era un enfant prodige dello star system sovietico, figlio d’arte, nato dall’unione tra l’attrice Natela Machavariani e il regista Mikheil Kobakhidze, i cui film furono censurati e proibiti durante il regime.

Prima del dirottamento Gega aveva partecipato con un ruolo principale alla produzione del film Monanieba (Pentimento) dal regista Tengiz Abuladze, che ottenne il Grand Prix Speciale della Giuria al 40º Festival di Cannes nel 1987, ma le scene girate con Gega furono sostituite durante il montaggio da quelle con l’attore Merab Ninidze. L’opera è considerata uno dei più noti esempi dell’effetto della glasnost sulla produzione artistica nell’Unione Sovietica dalla seconda metà degli Anni Ottanta del XX secolo, rappresenta inoltre l’identità del “nuovo uomo sovietico”, che incarna in sé un retaggio della cultura sovietica insieme a una latente influenza una cultura artistica non sovietica. Il film è considerato dalla critica come kino-pritča, film parabola del genere surreale socialista.

Kakha Tolordava, un amico dei tempi dell’Accademia drammatica di Gega, ha dichiarato al regista del documentario Zaza Rusadze, che avevano una vita da privilegiati, spensierata, potevano prendere un aereo per Mosca per andare a gustarsi un gelato all’Arbat per poi tornare indietro a Tbilisi in serata.

Il mito dei quell’Occidente dall’edonismo reganiano, che arrivava attraverso le canzoni dei Rolling Stones e dei Led Zeppelin, dei blue jeans e dei movimenti di protesta era, però, ormai diventata una chimera per il gruppo di giovani elitari georgiani, incoraggiati dalla certezza che il regime stesse vacillando e la morsa della repressione si stesse pian piano allentando.

Baluardo della contestazione giovanile in Georgia era la chiesa, perseguitata dal regime, simbolo della tradizione e della diaspora georgiana. Non è chiaro se un prete ortodosso fosse a conoscenza del piano di fuga dei ragazzi, Theodore Chikhladze, con il suo nome da ecclesiastico pope Temur, con il quale i ragazzi scambiavano di nascosto vinili di musica rock dagli Stati Uniti e al quale confessavano le loro idee di libertà e la voglia di viaggiare, varcare gli invalicabili confini dell’Unione Sovietica.

Secondo le dichiarazioni di Tina l’ecclesiastico non ebbe mai parte attiva nel piano, anzi era visto come una figura a volte comica da parte del gruppo di ragazzi, incapace di azioni violente e dalle idee bislacche. Anche pope Temur fu condannato a morte nel processo dell’agosto 1984, come mandante e capo spirituale del gruppo di ragazzi.



 

 

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