N. 79 - Luglio 2014
(CX)
HOROLOGIUM AUGUSTI
EMERGENZE STORICO-ASTRONOMICHE NEL CUORE DI ROMA
di Federica Campanelli
Alcune
delle
principali
piazze
di
Roma
sono
fregiate
da
maestosi
obelischi,
ma
non
tutti
gli
esemplari
di
questa
“collezione”
unica
al
mondo
sono
di
origine
egiziana,
alcuni
di
questi
imponenti
monoliti
sono
stati
infatti
realizzati
ex
novo
proprio
in
epoca
romana.
Il
primo
imperatore
che
si
cimentò
nell’impresa
di
condurre
gli
alti
obelischi
da
terre
lontane
fino
in
città,
fu
Ottaviano
Augusto
(63
a.C.-14
d.C.).
Il
suo
esempio
fu
poi
ampiamente
seguito
dai
sovrani
che
gli
succedettero.
In
epoca
imperiale,
così
come
durante
la
Roma
papale,
gli
obelischi
non
avevano
un
ruolo
prettamente
ornamentale,
ma
rivestivano
un
preciso
interesse
politico
e
religioso:
erano
bottino
di
guerra,
simbolo
della
potenza
e
delle
conquiste
imperiali,
elementi
urbani
utili
all’orientamento.
A
quel
tempo
li
avremmo
per
esempio
visti
nei
templi
egizi
– in
particolare
quelli
dedicati
al
culto
di
Iside
e
Serapide,
presenti
in
vari
punti
del
territorio
a
partire
dal
I
secolo
a.C.
– o
in
aree
consacrate
al
dio
Sole,
dinanzi
a
monumenti
funerari,
nei
circhi.
Oggi
nella
capitale
si
ergono
13
obelischi
antichi
–
più
altri
cinque
realizzati
in
epoca
moderna
– ma
è
certo
che
in
passato
se
ne
contassero
almeno
17 e
che
in
parte
siano
stati
perduti
o
trasferiti
in
altre
città,
come
accadde
a
esemplari
egizi
provenienti
dal
tempio
di
Iside
in
Campo
Marzio,
che
nel
XVIII
furono
ricollocati
uno
a
Urbino,
nell’odierna
piazza
Rinascimento,
e
l’altro
nel
giardino
di
Boboli
a
Firenze.
Tra
i
maggiori
obelischi
ancora
visibili,
ce
n’è
uno
dalla
storia
particolarmente
intensa,
travagliata
e in
parte
misteriosa:
è
uno
dei
quattro
obelischi
importati
dall’Egitto
in
epoca
augustea,
reso
celebre
dalla
funzione
gnomonica
che
avrebbe
dovuto
svolgere
per
un
grandioso
orologio
solare,
l’Horologium
Augusti,
e
che
oggi
s’innalza
davanti
la
Camera
dei
Deputati
in
piazza
Montecitorio.
Fatto
erigere
a
Eliopoli
dal
faraone
della
XXVI
dinastia
Psammetico
II
(594-589
a.C.)
intorno
al
586
a.C.
per
commemorare
la
vittoria
sull’Etiopia,
il
grande
monolite
in
granito
rosso
alto
circa
22
metri
(~
72
piedi),
fu
rimosso
e
condotto
a
Roma
per
volontà
di
Augusto
tra
il
10 e
il 9
a.C.
La
sua
nuova
collocazione
in
territorio
romano
non
fu
casuale:
l’obelisco
doveva
essere
disposto
a
nord-est
dell’attuale
incrocio
tra
via
del
Campo
Marzio
e
via
Dei
Prefetti,
nell’allora
disabitata
area
settentrionale
del
Campo
Marzio.
Esso
faceva
parte
di
un
complesso
di
edifici
che
comprendeva
l’Ara
Pacis,
l’altare
marmoreo
inaugurato
dallo
stesso
Augusto
nel
9
a.C.
e
concepito
per
celebrare
un
nascente
periodo
di
pace
e
prosperità
dopo
lunghe
guerre
civili,
e il
grandioso
Mausoleo
della
famiglia
imperiale.
Su
due
lati
della
base,
tutt’oggi
possiamo
leggere
che
“L’imperatore
Augusto,
figlio
del
divino
Cesare,
pontefice
massimo,
proclamato
imperatore
per
la
dodicesima
volta,
console
per
undici
volte,
che
ha
rivestito
la
potestà
tribunizia
per
quattordici
volte,
avendo
condotto
l’Egitto
in
potere
del
popolo
romano,
diede
in
dono
al
sole”.
Antistante
l’obelisco,
un
esteso
quadrante
lapideo
orizzontale
era
attraversato
da
una
banda
in
bronzo
dorato.
Questa,
graduata,
costituiva
la
materializzazione
della
linea
meridiana
(nord-sud).
L’obelisco
di
Augusto
fu
dunque
pensato
come
gnomone
di
una
grande
meridiana
che,
attraverso
la
sua
ombra,
avrebbe
segnato
–
oltre
che
il
mezzogiorno
solare
dei
diversi
giorni
dell’anno
– le
ricorrenze
più
importanti
legate
alla
vita
del
primo
Imperatore
romano.
Al
momento
della
messa
in
opera,
l’asse
mediano
del
suo
basamento
(diverso
da
quello
attuale)
non
risultava
coincidente
con
la
linea
meridiana,
bensì
deviata
rispetto
a
essa
di
15°
verso
ovest.
Ciò
faceva
sì
che
all’alba
del
21
aprile,
tradizionalmente
considerato
il
giorno
della
nascita
di
Roma,
il
lato
est
del
basamento,
normale
all’asse
dell’Ara
Pacis,
si
trovasse
esattamente
perpendicolare
alla
direzione
del
sole
in
quel
momento.
Altro
evento
rilevante
sia
dal
punto
di
vista
astronomico,
sia
legato
alla
vita
dell’Imperatore,
è
l’Equinozio
d’autunno
(23
settembre),
coincidente
con
il
compleanno
di
Augusto:
in
questo
giorno,
al
tramonto,
l’ombra
dello
gnomone
si
gettava
sull’ingresso
dell’Ara
Pacis,
che
quindi
giaceva
sulla
linea
equinoziale
della
meridiana.
Il
giorno
del
Solstizio
d’inverno,
22
dicembre,
(inizio
del
segno
del
Capricorno,
nonché
presunta
data
del
concepimento
dell’Imperatore),
sappiamo
che
il
sole
si
trova
nel
suo
punto
più
basso
sull’eclittica,
e in
tale
occasione
l’ombra
segnata
dallo
gnomone
presumibilmente
copriva
la
lastra
lapidea
in
tutta
la
sua
estensione.
Nei
giorni
e
nei
mesi
successivi
l’ombra
si
sarebbe
ridotta
gradualmente:
il
“decrescere”
dell’ombra
proiettata
dallo
gnomone
è
dovuto
all’ascesa
del
sole
fino
al
raggiungimento
della
sua
massima
altezza
sull’orizzonte.
Tale
ascesa
si
figurava
come
la
perfetta
simbologia
di
una
nuova
e
agognata
epoca
di
pace,
la
pace
di
Augusto.
.
Ricostruzione
grafica
dell'Horologium
Augusti
(Buchner)
L’orologio
smise
di
funzionare
già
pochi
decenni
dopo
la
sua
realizzazione
a
causa
dalle
periodiche
inondazioni
del
Tevere
e
dei
relativi
accumuli
di
grandi
quantità
di
detriti
sul
tracciato
della
meridiana.
Dopodiché
l’obelisco
rimase
in
piedi
per
qualche
tempo,
forse
fino
all’invasione
di
Totila
del
VI
secolo,
o
ancora
fino
all’XI
secolo,
quando
crollò
spezzandosi
in
cinque
parti.
Da
allora
sparì
dalla
memoria
per
molti
anni.
I
primi
frammenti
dell’obelisco
furono
casualmente
ritrovati
nel
1502
presso
il
seminterrato
di
un’attività
commerciale.
Successivamente
il
pontefice
Sisto
V,
non
indifferente
all’importanza
della
scoperta,
si
cimentò
in
vari
tentativi
di
ripristino
del
monolite,
ma
non
raggiunse
mai
lo
scopo.
Si
dovrà
attendere
Pio
VI,
che
nel
1794,
finalmente,
s’impegnò
affinché
l’opera
ricevesse
i
doverosi
interventi
di
risanamento
e la
definitiva
ubicazione
in
piazza
Montecitorio,
dove
è
ancora
oggi.
Il 7
giugno
1998,
con
l’inaugurazione
della
nuova
sistemazione
della
piazza,
è
stata
anche
riattivata
la
funzione
meridiana
gnomonica
dell’obelisco.
Attualmente
l’obelisco,
compreso
il
nuovo
basamento,
è
alto
33,97
metri.
Il
tentativo
è
ammirevole,
ma
le
dimensioni
dell’ombra
proiettata
dall’obelisco
campense,
in
realtà,
mal
si
conciliano
con
lo
spazio
disponibile.
La
distanza
tra
l’obelisco
e
l’edificio
della
Camera
infatti
risulta
essere
troppo
esigua.
Al
Solstizio
d’inverno
la
lunghezza
dell’ombra
gnomonica
risulterebbe
essere
70,50
metri,
ma
questa
viene
bruscamente
interrotta
al
segno
zodiacale
dei
Pesci
proprio
dalla
facciata
di
Palazzo
Montecitorio.
Di
fatto
è
una
meridiana
che
funziona
solo
durante
la
bella
stagione.
Per
quanto
riguarda
gli
studi
fatti
in
epoca
recente
sul
funzionamento
dell’antico
orologio
solare,
non
possiamo
non
menzionare
le
valevoli
ricostruzioni
degli
archeologi
Edmund
Buchner
e
Friedrich
Rakob,
dell’Istituto
Archeologico
Germanico
di
Berlino
e
Roma.
Nel
1979
il
tedesco
Buchner
effettuò
sistematici
scavi
in
via
del
Campo
Marzio
all’altezza
dell’attuale
civico
48.
La
scoperta
fu
straordinaria:
dagli
scavi
emerse,
a
6,30
metri
di
profondità,
un
lastricato
in
travertino
dove
erano
impressi
con
lettere
in
bronzo
i
nomi
greci
delle
costellazioni
zodiacali.
Vi
si
può
leggere:
“ΩΝ”
(della
parola
leon)
“ΠΑΡΘ”
(di
Parthenos”),
“ΟΣ”
(di
krios,
ariete)
e
“ΤΑΥΡ”
(di
tauros),
oltre
a
indicazioni
stagionali
o
meteorologiche,
come
“ethesiai
pauontai”
(cessano
i
venti
etesii)
e
“qerous
arch”
(inizio
dell’estate).
Il
lastricato
era
inoltre
attraversato
da
una
retta
con
tacche
perpendicolari
di 3
o 4
centimetri
di
larghezza:quest’ultima
costituiva
la
linea
meridiana
corrispondente
al
mezzogiorno
solare
di
Roma
(42°
di
latitudine
nord).
.
A
sinistra
la
ricostruzione
grafica
del
tratto
di
meridiana
ritrovata
da
Buchner;
a
destra
l'originale.
Pochi
anni
prima,
in
un
punto
non
molto
distante
della
stessa
via,
si
era
rinvenuto
un
piano
battuto
a
circa
8
metri
di
profondità,
interpretato
come
il
piano
di
giacitura
originale
dell’orologio
solare
di
Augusto.
Sulla
base
di
quei
ritrovamenti
e
forti
delle
nuove
scoperte,
i
due
studiosi
tedeschi
sostennero,
confermando
precedenti
teorie
dello
stesso
Rakob,
che
l’intera
struttura
della
meridiana
comprendeva
un’area
estesa
165x75
metri
circa
e
che
in
origine
si
trovava
proprio
alla
profondità
di 8
metri
rispetto
all’odierno
piano
stradale.
In
seguito,
durante
il
governo
di
Domiziano
(non
è
dato
sapere
esattamente
quando),
il
quadrante
lapideo
e
l’imponente
obelisco-gnomone
furono
nuovamente
ricomposti
secondo
un
assetto
probabilmente
identico
all’originale,
ma
su
un
livello
più
alto
di
due
metri:
l’area,
come
già
visto,
era
stata
con
ogni
certezza
precedentemente
vittima
delle
piene
del
Tevere,
e il
lastricato
venne
così
ricoperto
da
plurimi
strati
di
sedimenti.
Il
sistema
calendariale,
vale
a
dire
la
suddivisione
dell’anno
solare
nei
suoi
intervalli
temporali,
si
basava
sulla
posizione
dell’ombra
proiettata
dallo
gnomone
sul
cosiddetto
aracne,
un
reticolato
composto
da
linee
rette
poste
in
direzione
verticale-obliqua
(linee
orarie)
e da
linee
curve
–
fatta
eccezione
per
il
tracciato
degli
equinozi
– in
direzione
orizzontale
(linee
di
declinazione).
Si
tratta
però
di
ricostruzioni
ipotetiche,
dacché
come
già
detto,
dagli
scavi
emerse
solo
la
linea
meridiana
del
mezzogiorno.
Del
resto
dell’aracne
non
è
infatti
stata
ancora
trovata
traccia.
.
Ricostruzione
grafica
dell'aracne.
il
quadrante
dell'Horologium
Augusti
(Buchner
1982).
Ecco
come
appariva
a
Plinio
il
Vecchio
(Naturalis
Historia,
XXXVI,
72-73)
l’orologio
di
Augusto
a
pochi
decenni
dalla
sua
costruzione:
“All’obelisco
che
è
nel
Campo
Marzio
il
divino
Augusto
attribuì
la
mirabile
funzione
di
segnare
le
ombre
proiettate
dal
sole,
determinando
così
la
lunghezza
dei
giorni
e
delle
notti:
fece
collocare
una
lastra
di
pietra
che
rispetto
all’altezza
dell’obelisco
era
proporzionata
in
modo
che,
nell’ora
sesta
del
giorno
del
Solstizio
d’inverno
l’ombra
di
esso
fosse
lunga
quanto
la
lastra,
e
decrescesse
lentamente
giorno
dopo
giorno
per
poi
ricrescere
di
nuovo,
seguendo
i
righelli
di
bronzo
inseriti
nella
pietra:
un
congegno
che
vale
la
pena
di
conoscere,
e
che
si
deve
all’acume
del
matematico
Facondo
Novio.
Questi
aggiunse
sul
pinnacolo
una
palla
dorata,
la
cui
estremità
proiettava
un’ombra
raccolta
in
sé,
perché
altrimenti
la
punta
dell’obelisco
avrebbe
determinato
un’ombra
irregolare
(a
dargli
l’idea
fu,
dicono,
la
testa
umana.
Questa
registrazione
del
tempo
da
circa
trent’anni
non
è
più
conforme
al
vero,
forse
perché
il
corso
del
sole
non
è
rimasto
invariato,
ma è
mutato
per
qualche
motivo
astronomico,
oppure
perché
tutta
la
terra
nel
suo
complesso
si è
spostata
in
rapporto
al
suo
centro
(un
fatto
che
sento
dire
si
avverte
anche
in
altri
luoghi),
oppure
semplicemente
perché
lo
gnomone
si è
smosso
in
seguito
a
scosse
telluriche,
ovvero
le
alluvioni
del
Tevere
hanno
provocato
un
abbassamento
dell’obelisco,
anche
se
si
dice
che
se
ne
siano
gettate
sottoterra
fondamenta
profonde
tanto
quanto
è
alto
il
carico
che
vi
si
appoggia”.