contemporanea
ALBERT HOFMANn,
ERNST JÜNGER E L’LSD
UN VIAGGIO TRA LUCI E OMBRe
di
Alessio Guglielmini
«Credo fosse primavera, visto che sui prati di
Bottmingen fiorivano già gli anemoni, ma l’inverno
non si era ancora allontanato […]». Era il 1951
e lo scrittore Ernst Jünger faceva visita ad Albert
Hofmann, a casa sua, in un sobborgo di Basilea per
provare assieme l’acido lisergico che proprio
Hofmann aveva prodotto per sintesi chimica nel 1938,
operando sulla segale cornuta. Il dosaggio era
controllato, «fu un’esperienza armonica»,
come avrebbe ricordato Jünger nelle interviste
rilasciate ad Antonio Gnoli e Franco Volpi nel 1995,
pubblicate poi con il titolo di
I prossimi Titani.
Hofmann e Jünger erano in contatto da qualche anno.
Il padre dell’LSD aveva infatti già incontrato
l’opera dello scrittore tedesco, ricavandone
un’influenza caleidoscopica: «“Irradiazione” è la
parola che meglio di altre esprime l’influenza sulla
mia persona della figura e dell’opera letteraria di
Ernst Jünger».
Irradiazioni
sarebbe stato il titolo assegnato da Guanda al
diario di guerra di Jünger, nell’edizione del 1993.
Ma il testo che aveva colpito Hofmann, in
particolare, era
Das
Abenteuerliche Herz
(Il cuore avventuroso), la cui prosa magica
riusciva a dischiudere la mente come un agente
psicotropo.
In occasione del suo cinquantaduesimo compleanno, il
29 marzo 1947, Hofmann omaggiò Jünger di una prima
lettera, provando a recapitare come regalo un
vasetto di miele che, tuttavia, non arrivò al
destinatario perché a Berna si erano rifiutati di
rilasciare “la licenza di esportazione”. In questa
prima lettera si faceva riferimento anche a un
passaggio tratto dal romanzo di Jünger
Sulle scogliere
di marmo,
mentre non veniva ancora affrontato il “problema
delle droghe”, come lo definiva lo stesso Hofmann
nel suo resoconto
LSD. Il mio bambino difficile.
Il problema delle droghe divenne invece il fulcro
centrale del successivo carteggio. Jünger era venuto
a sapere delle ricerche di Hofmann che lo ricambiò
con le sue pubblicazioni in materia. Il 3 marzo 1948
Jünger scriveva a Hofmann: «Pare proprio che lei
sia penetrato in un’area che custodisce molti
segreti. Il suo pacco è giunto insieme a
“Confessioni di un mangiatore d’oppio”, da poco
pubblicato in una nuova traduzione».
Si riconosce in questa allusione una sorta di
episodio fatidico, in cui l’interesse letterario di
Jünger per gli scrittori sperimentatori di droghe,
come appunto De Quincey, si sommava alla curiosità
per le implicazioni arrecate dalla scoperta di
Hofmann. Già in quella lettera del 3 marzo, Jünger
introduceva un tema ricorsivo, di cui avrebbe
sondato gli effetti proprio in occasione delle
sedute lisergiche effettuate in compagnia del
ricercatore svizzero: «Sono esperimenti, questi,
in cui, prima o poi, ci avventuriamo in sentieri
pericolosi, e ci possiamo considerare fortunati se
riusciamo a fuggire solo con un occhio ammaccato».
Qualcosa di molto simile Jünger lo avrebbe
confessato, nel corso della terza conversazione con
Gnoli e Volpi, il 15 ottobre 1995, rievocando
“l’ultimo viaggio insieme a Hofmann”, avvenuto nel
1970: «Fu un’alterazione molto profonda della
nostra coscienza, dalla quale ricordo che ebbi
l’impressione di ritornare con l’animo di chi ha
percorso un sentiero pericoloso». I reportage di
questo viaggio e del primo di Bottmingen costellano
il lungo studio sulle droghe che Jünger ha
materializzato con il testo
Annäherungen
(1978), edito in Italia con il titolo di
Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza.
Talvolta sotto forma di saggio, talvolta sotto forma
di diario, di riflessione o di dialogo con illustri
precursori, Jünger ha esplorato le sostanze
psicotrope nell’alterazione della coscienza,
nell’allargamento della percezione, nell’ampliamento
delle facoltà creative. Non senza mettere in guardia
sul pericolo incombente, anche se, nel suo caso,
l’LSD presentò il conto da pagare in maniera
graduale.
Il capitolo di
Avvicinamenti
riservato al viaggio del 1951 è “Giardini cinesi”. È
un’etichetta rassicurante, che rispecchia quel primo
armonico incontro con l’acido lisergico,
accompagnato dalla presenza precauzionale dell’amico
farmacologo di Hofmann, Heribert Konzett. Hofmann ne
ebbe questo ricordo: «Distesi comodamente sulle
poltrone, immagini fantastiche cominciarono a
scorrere davanti ai nostri occhi chiusi. Jünger gioì
dello sfoggio dei colori di mandala orientali; io
ero in viaggio presso le tribù berbere del Nord
Africa e contemplavo le carovane colorate e le oasi
lussureggianti».
Jünger, dal canto suo,si era fatto questa idea: «Se
dunque avevo ricavato l’impressione che lo LSD, in
quanto veicolo, non portasse oltre le anticamere,
per quanto finemente decorate, dovevo ben disporre
di esperienze su cui fondare questo giudizio».
Hofmann gli aveva del resto fatto notare come la
dose assunta fosse stata “troppo blanda”, tanto che
i due si erano ripromessi nuove esperienze ritardate
poi, come ricordava Jünger, da malanni, strade
ghiacciate, incidenti, “piccoli indizi che
avvertivano che non era ancora arrivato il momento”.
Il 7 febbraio 1970, a Wilflingen, presso la
residenza di Jünger, avvenne l’ultimo viaggio con
l’acido intrapreso assieme. La colonna sonora, come
nel 1951, fu ancora Mozart. Lo scrittore sciolse in
un bicchierino d’acqua 150 gamma di LSD, mentre il
suo scopritore si limitò a un dosaggio di 100 gamma.
Seguirono scarne annotazioni e fugaci impressioni: «Sono
seduto nello studio, A.H. in biblioteca. Comincia a
nevicare. 11.15 Anche l’azzurro si fa ora più forte.
Il nero è sempre morto. Devo andare da lui? Lo
potrebbe spaventare. Sente il bisogno di stendersi.
Mozart era per lui “come il volteggiare di statuine
di porcellana”. Dunque, ancora morto”.
L’intarsio di Jünger procedeva per frammenti: «12.10
La nostra barca oscilla paurosamente. Anche dalla
parte della sobrietà». A.H.: «Niente di
simile nella nostra lingua. Del resto, viene certo
da un altro mondo».
Il trip durò fino al pomeriggio inoltrato, scandito
dai voli d’aquila e dalle ali che lo scrittore
riportava in sequenze quasi simmetriche, che
tentavano l’ordine là dove vigeva l’indefinito. Lo
stesso Hofmann rievocò la natura frammentaria del
resoconto di Jünger, sottolineando l’urgenza di un
silenzio necessario: «Nel tentativo di descrivere
a Jünger le sconcertanti alterazioni di coscienza,
mi vennero fuori non più di due o tre parole, che
suonavano false e del tutto inadeguate a comunicare
l’esperienza. Sembrava che provenissero da un mondo
infinitamente remoto ed estraneo. Abbandonai quel
tentativo, ridendo senza speranza. Evidentemente
Jünger stava vivendo le medesime sensazioni, eppure
non avevamo bisogno di parlare […]».
Le parole spese sull’argomento furono del resto
molte nel corso del loro scambio epistolare. Le
tracce visionarie e le aperture oracolari
sperimentate sul campo si completavano con il
dibattito che i due alimentavano attorno alle
“nuove” sostanze che incuriosivano Hofmann,
ingaggiando riflessioni chimiche, biologiche,
psicologiche e filosofiche. Nel settembre del 1955
Hofmann informava Jünger sui semi di una mimosa
chiamata
Piptadenia
peregrina Benth,
usata come stimolante dagli indiani dell’Orinoco.
Il dialogo sulle sostanze allucinogene si
intensificava nel 1961, con una ricca lettera di
Hofmann del 16 dicembre, in cui si citava il
convolvolo magico del Messico e anche la psilocibina
che Hofmann e Jünger decisero di testare nella
primavera del 1962, sempre a Wilflingen. «Poco
prima del tramonto prendemmo 20 milligrammi di
psilocibina. Corrispondeva a circa due terzi della
dose molte forte che la curandera Maria Sabina era
solita prendere sotto forma di fungo psilocibe».
Hofmann, che sperava di tornare a serene e vivide
immagini di infanzia, si ritrovò a doversi
confrontare con visioni inquietanti che lo
catapultarono verso un “nulla tenebroso”. Jünger
descrisse l’esperienza del 1962 nel capitolo “Un
simposio sui funghi” di
Avvicinamenti,
confermando, con tinte intense, la calata negli
abissi che aveva intimorito Hofmann.
In quei mesi, Hofmann ebbe modo di avvicinare un
altro scrittore interessato agli effetti cognitivi
degli agenti psicoattivi, Aldous Huxley, che gli
telefonò nell’agosto del 1961, invitandolo a pranzo
in un hotel di Zurigo. Huxley aveva già provato la
psilocibina, l’LSD e la mescalina, di cui aveva
trattato in
Le Porte della
Percezione
e
Paradiso e Inferno.
Si ipotizza dunque che Huxley avesse stimolato
Hofmann nella direzione del test con la psilocibina,
i cui alcaloidi erano stati isolati in laboratorio
sempre da lui.
Nella già citata lettera a Jünger del dicembre
successivo, il chimico svizzero si interrogava in
maniera inquieta sui rischi di manomissione del
libero arbitrio da parte di simili sostanze. Nella
risposta del 27 dicembre lo scrittore tedesco si
soffermava proprio su Huxley, contestandone la
visione: «Queste cose dovrebbero essere
sperimentate solo in ambienti circoscritti. Io non
condivido le idee di Huxley, secondo cui, in virtù
di questi strumenti, potrebbe essere data a tutti
l’opportunità di conoscere la dimensione
trascendentale».
Huxley ribadiva
concetti analoghi in una lettera a Hofmann del 29
febbraio 1962, sottolineando come gli individui
potevano “servirsi delle intuizioni provenienti
dall’Altra Realtà nelle circostanze di Questa
Realtà”. Il problema delle droghe diventava insomma
filosofico, disciplinare. Se Jünger insisteva sul
pericolo del viaggio e metteva in preventivo un
prestito da restituire, Huxley sembrava incline a
universalizzare le potenzialità insite nell’incontro
con le “droghe”, termine che egli stesso spregiava,
come ricordava Hofmann, per la sua connotazione
negativa.
Nel 1995, Jünger raccontava a Gnoli e Volpi di
essere rimasto in contatto con Hofmann che sentiva
ancora, di tanto in tanto, al telefono. Lo scrittore
sarebbe morto nel 1998 all’età di quasi 103 anni,
mentre Hofmann sarebbe scomparso nel 2008, all’età
di 102 anni. Due lunghe vite che avevano già
trasceso il “qui e ora” grazie alla sperimentazione
creativa con le sostanze allucinogene.
Riferimenti bibliografici:
Albert Hofmann,
LSD. Il mio
bambino difficile. Riflessioni su droghe sacre,
misticismo e scienza,
Feltrinelli, Milano 2015.
Ernst Jünger, Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza,
Guanda, Parma 2006.
Antonio Gnoli, Franco Volpi, I prossimi Titani.
Conversazioni con Ernst Jünger, Adelphi, Milano
1997.
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