[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

187 / LUGLIO 2023 (CCXVIII)


contemporanea

ALBERT HOFMANn, ERNST JÜNGER  E L’LSD
UN VIAGGIO TRA LUCI E OMBRe

di Alessio Guglielmini

 

«Credo fosse primavera, visto che sui prati di Bottmingen fiorivano già gli anemoni, ma l’inverno non si era ancora allontanato […]». Era il 1951 e lo scrittore Ernst Jünger faceva visita ad Albert Hofmann, a casa sua, in un sobborgo di Basilea per provare assieme l’acido lisergico che proprio Hofmann aveva prodotto per sintesi chimica nel 1938, operando sulla segale cornuta. Il dosaggio era controllato, «fu un’esperienza armonica», come avrebbe ricordato Jünger nelle interviste rilasciate ad Antonio Gnoli e Franco Volpi nel 1995, pubblicate poi con il titolo di I prossimi Titani.

 

Hofmann e Jünger erano in contatto da qualche anno. Il padre dell’LSD aveva infatti già incontrato l’opera dello scrittore tedesco, ricavandone un’influenza caleidoscopica: «“Irradiazione” è la parola che meglio di altre esprime l’influenza sulla mia persona della figura e dell’opera letteraria di Ernst Jünger». Irradiazioni sarebbe stato il titolo assegnato da Guanda al diario di guerra di Jünger, nell’edizione del 1993. Ma il testo che aveva colpito Hofmann, in particolare, era Das Abenteuerliche Herz (Il cuore avventuroso), la cui prosa magica riusciva a dischiudere la mente come un agente psicotropo.

 

In occasione del suo cinquantaduesimo compleanno, il 29 marzo 1947, Hofmann omaggiò Jünger di una prima lettera, provando a recapitare come regalo un vasetto di miele che, tuttavia, non arrivò al destinatario perché a Berna si erano rifiutati di rilasciare “la licenza di esportazione”. In questa prima lettera si faceva riferimento anche a un passaggio tratto dal romanzo di Jünger Sulle scogliere di marmo, mentre non veniva ancora affrontato il “problema delle droghe”, come lo definiva lo stesso Hofmann nel suo resoconto LSD. Il mio bambino difficile.

 

Il problema delle droghe divenne invece il fulcro centrale del successivo carteggio. Jünger era venuto a sapere delle ricerche di Hofmann che lo ricambiò con le sue pubblicazioni in materia. Il 3 marzo 1948 Jünger scriveva a Hofmann: «Pare proprio che lei sia penetrato in un’area che custodisce molti segreti. Il suo pacco è giunto insieme a “Confessioni di un mangiatore d’oppio”, da poco pubblicato in una nuova traduzione».

 

Si riconosce in questa allusione una sorta di episodio fatidico, in cui l’interesse letterario di Jünger per gli scrittori sperimentatori di droghe, come appunto De Quincey, si sommava alla curiosità per le implicazioni arrecate dalla scoperta di Hofmann. Già in quella lettera del 3 marzo, Jünger introduceva un tema ricorsivo, di cui avrebbe sondato gli effetti proprio in occasione delle sedute lisergiche effettuate in compagnia del ricercatore svizzero: «Sono esperimenti, questi, in cui, prima o poi, ci avventuriamo in sentieri pericolosi, e ci possiamo considerare fortunati se riusciamo a fuggire solo con un occhio ammaccato».

 

Qualcosa di molto simile Jünger lo avrebbe confessato, nel corso della terza conversazione con Gnoli e Volpi, il 15 ottobre 1995, rievocando “l’ultimo viaggio insieme a Hofmann”, avvenuto nel 1970: «Fu un’alterazione molto profonda della nostra coscienza, dalla quale ricordo che ebbi l’impressione di ritornare con l’animo di chi ha percorso un sentiero pericoloso». I reportage di questo viaggio e del primo di Bottmingen costellano il lungo studio sulle droghe che Jünger ha materializzato con il testo Annäherungen (1978), edito in Italia con il titolo di Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza.

 

Talvolta sotto forma di saggio, talvolta sotto forma di diario, di riflessione o di dialogo con illustri precursori, Jünger ha esplorato le sostanze psicotrope nell’alterazione della coscienza, nell’allargamento della percezione, nell’ampliamento delle facoltà creative. Non senza mettere in guardia sul pericolo incombente, anche se, nel suo caso, l’LSD presentò il conto da pagare in maniera graduale.

 

Il capitolo di Avvicinamenti riservato al viaggio del 1951 è “Giardini cinesi”. È un’etichetta rassicurante, che rispecchia quel primo armonico incontro con l’acido lisergico, accompagnato dalla presenza precauzionale dell’amico farmacologo di Hofmann, Heribert Konzett. Hofmann ne ebbe questo ricordo: «Distesi comodamente sulle poltrone, immagini fantastiche cominciarono a scorrere davanti ai nostri occhi chiusi. Jünger gioì dello sfoggio dei colori di mandala orientali; io ero in viaggio presso le tribù berbere del Nord Africa e contemplavo le carovane colorate e le oasi lussureggianti».

 

Jünger, dal canto suo,si era fatto questa idea: «Se dunque avevo ricavato l’impressione che lo LSD, in quanto veicolo, non portasse oltre le anticamere, per quanto finemente decorate, dovevo ben disporre di esperienze su cui fondare questo giudizio». Hofmann gli aveva del resto fatto notare come la dose assunta fosse stata “troppo blanda”, tanto che i due si erano ripromessi nuove esperienze ritardate poi, come ricordava Jünger, da malanni, strade ghiacciate, incidenti, “piccoli indizi che avvertivano che non era ancora arrivato il momento”.

 

Il 7 febbraio 1970, a Wilflingen, presso la residenza di Jünger, avvenne l’ultimo viaggio con l’acido intrapreso assieme. La colonna sonora, come nel 1951, fu ancora Mozart. Lo scrittore sciolse in un bicchierino d’acqua 150 gamma di LSD, mentre il suo scopritore si limitò a un dosaggio di 100 gamma.

 

Seguirono scarne annotazioni e fugaci impressioni: «Sono seduto nello studio, A.H. in biblioteca. Comincia a nevicare. 11.15 Anche l’azzurro si fa ora più forte. Il nero è sempre morto. Devo andare da lui? Lo potrebbe spaventare. Sente il bisogno di stendersi. Mozart era per lui “come il volteggiare di statuine di porcellana”. Dunque, ancora morto”. L’intarsio di Jünger procedeva per frammenti: «12.10 La nostra barca oscilla paurosamente. Anche dalla parte della sobrietà». A.H.: «Niente di simile nella nostra lingua. Del resto, viene certo da un altro mondo».

 

Il trip durò fino al pomeriggio inoltrato, scandito dai voli d’aquila e dalle ali che lo scrittore riportava in sequenze quasi simmetriche, che tentavano l’ordine là dove vigeva l’indefinito. Lo stesso Hofmann rievocò la natura frammentaria del resoconto di Jünger, sottolineando l’urgenza di un silenzio necessario: «Nel tentativo di descrivere a Jünger le sconcertanti alterazioni di coscienza, mi vennero fuori non più di due o tre parole, che suonavano false e del tutto inadeguate a comunicare l’esperienza. Sembrava che provenissero da un mondo infinitamente remoto ed estraneo. Abbandonai quel tentativo, ridendo senza speranza. Evidentemente Jünger stava vivendo le medesime sensazioni, eppure non avevamo bisogno di parlare […]».

 

Le parole spese sull’argomento furono del resto molte nel corso del loro scambio epistolare. Le tracce visionarie e le aperture oracolari sperimentate sul campo si completavano con il dibattito che i due alimentavano attorno alle “nuove” sostanze che incuriosivano Hofmann, ingaggiando riflessioni chimiche, biologiche, psicologiche e filosofiche. Nel settembre del 1955 Hofmann informava Jünger sui semi di una mimosa chiamata Piptadenia peregrina Benth, usata come stimolante dagli indiani dell’Orinoco.

 

Il dialogo sulle sostanze allucinogene si intensificava nel 1961, con una ricca lettera di Hofmann del 16 dicembre, in cui si citava il convolvolo magico del Messico e anche la psilocibina che Hofmann e Jünger decisero di testare nella primavera del 1962, sempre a Wilflingen. «Poco prima del tramonto prendemmo 20 milligrammi di psilocibina. Corrispondeva a circa due terzi della dose molte forte che la curandera Maria Sabina era solita prendere sotto forma di fungo psilocibe».

 

Hofmann, che sperava di tornare a serene e vivide immagini di infanzia, si ritrovò a doversi confrontare con visioni inquietanti che lo catapultarono verso un “nulla tenebroso”. Jünger descrisse l’esperienza del 1962 nel capitolo “Un simposio sui funghi” di Avvicinamenti, confermando, con tinte intense, la calata negli abissi che aveva intimorito Hofmann.

 

In quei mesi, Hofmann ebbe modo di avvicinare un altro scrittore interessato agli effetti cognitivi degli agenti psicoattivi, Aldous Huxley, che gli telefonò nell’agosto del 1961, invitandolo a pranzo in un hotel di Zurigo. Huxley aveva già provato la psilocibina, l’LSD e la mescalina, di cui aveva trattato in Le Porte della Percezione e Paradiso e Inferno. Si ipotizza dunque che Huxley avesse stimolato Hofmann nella direzione del test con la psilocibina, i cui alcaloidi erano stati isolati in laboratorio sempre da lui.

 

Nella già citata lettera a Jünger del dicembre successivo, il chimico svizzero si interrogava in maniera inquieta sui rischi di manomissione del libero arbitrio da parte di simili sostanze. Nella risposta del 27 dicembre lo scrittore tedesco si soffermava proprio su Huxley, contestandone la visione: «Queste cose dovrebbero essere sperimentate solo in ambienti circoscritti. Io non condivido le idee di Huxley, secondo cui, in virtù di questi strumenti, potrebbe essere data a tutti l’opportunità di conoscere la dimensione trascendentale».

 

Huxley ribadiva concetti analoghi in una lettera a Hofmann del 29 febbraio 1962, sottolineando come gli individui potevano “servirsi delle intuizioni provenienti dall’Altra Realtà nelle circostanze di Questa Realtà”. Il problema delle droghe diventava insomma filosofico, disciplinare. Se Jünger insisteva sul pericolo del viaggio e metteva in preventivo un prestito da restituire, Huxley sembrava incline a universalizzare le potenzialità insite nell’incontro con le “droghe”, termine che egli stesso spregiava, come ricordava Hofmann, per la sua connotazione negativa.

 

Nel 1995, Jünger raccontava a Gnoli e Volpi di essere rimasto in contatto con Hofmann che sentiva ancora, di tanto in tanto, al telefono. Lo scrittore sarebbe morto nel 1998 all’età di quasi 103 anni, mentre Hofmann sarebbe scomparso nel 2008, all’età di 102 anni. Due lunghe vite che avevano già trasceso il “qui e ora” grazie alla sperimentazione creativa con le sostanze allucinogene.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Albert Hofmann, LSD. Il mio bambino difficile. Riflessioni su droghe sacre, misticismo e scienza, Feltrinelli, Milano 2015.

Ernst Jünger, Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza, Guanda, Parma 2006.

Antonio Gnoli, Franco Volpi, I prossimi Titani. Conversazioni con Ernst Jünger, Adelphi, Milano 1997.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]