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ARTE


N. 78 - Giugno 2014 (CIX)

HIERONYMUS BOSCH
Virtù della perversione

di Federica Campanelli

 

Hieronymus Bosch, nato Jeroen Anthoniszoon van Aken attorno al 1453 a ‘s-Hertogenbosch, nel sud dei Paesi Bassi, è uno dei pittori più controversi e singolari della storia dell’arte. Poco si sa della sua educazione giovanile: di certo la formazione artistica del futuro Bosch, pseudonimo scelto dal pittore stesso, si svolse in famiglia. Il nonno Jan van Aken, forse di origini tedesche, era un artista di discreto successo già attivo a ‘s Hertogenbosch, così come quattro dei suoi cinque figli (tra cui Anton van Aken, padre di Bosch), anch’essi pittori.

 

A ‘s Hertogenbosch l’artista fiammingo trascorrerà tutta la sua vita, della quale è peraltro assai scarsa la documentazione pervenutaci, anche se sappiamo che fu finanziariamente e professionalmente fortunata.

 

Nel 1481 Bosch prende in moglie Aleid van Meervenne, ricca donna di estrazione alto borghese che gli permetterà di compiere un balzo in avanti sul piano economico e sociale, ottenendo varie proprietà tra cui terreni localizzati nelle vicinanze di ‘s Hertogenbosch, precisamente a Oirschot, nonché la possibilità di disporre di una propria bottega.

 

Sulla base delle limitate informazioni biografiche, quella di Bosch parrebbe a prima vista un’esistenza ordinaria e tranquilla: davvero un paradosso, se pensiamo alle sue opere così complesse e ambigue, dove lo spazio è costellato di strane creature demoniache e dove persino gli oggetti sono degli ibridi snaturati della loro funzione originaria; il tutto per raggiungere un livello di comunicazione composito, spesso indecifrabile ma accattivante.

 

Sviscerando i diversi ambiti della conoscenza umana, dalla psicoanalisi, al misticismo, per anni la critica si è occupata delle opere di Bosch con lo scopo di scoprire la “verità” nascosta dietro le sue misteriose (o misteriche) composizioni.

 

L’ambiente sociale e culturale in cui vive Hieronymus Bosch è quanto mai in tumulto poiché si comincia a raccogliere quanto si era seminato nel corso del riformismo spirituale del basso medioevo: al consolidarsi dei movimenti religiosi sfocianti nell’eresia, alla larga diffusione della tradizione alchemica, alla crescente popolarità della magia nera si accosta uno spietato terrorismo psicologico da parte delle “autorità morali”, attraverso un piano di comunicazione d’effetto.

 

Dalle Visioni Di Tundalo – leggenda religiosa medievale, tradotta e diffusa in Olanda nel 1482, che attraverso visioni infernali condanna la vita di vizi e violenze – alla bolla papale Summis Desiderantes (1484) di Innocenzo VIII contro la stregoneria, alla Nave dei Folli di Sebastian Brant – opera satirica in lingua tedesca del 1494, arricchita dalle xilografie di Dürer, che si scaglia ancora una volta contro la depravazione e il malcostume dilaganti – l’aria che si respira nell’Europa del XV secolo, alle soglie della Riforma luterana, è carica di intimidazione e disapprovazione.

 

Dove si colloca Bosch in questo contesto? C’è chi, come lo storico dell’arte Wilhelm Fraenger, lo vuole appartenente al movimento religioso del Libero Spirito, già bollato come eretico dalla Chiesa cattolica con Clemente V nel 1311 e precursore della setta degli Homines intelligentiae. Attraverso questo collegamento Fraenger ci fornisce la possibilità di comprendere opere incredibilmente complesse come il trittico con il Giardino delle Delizie (datato tra il 1480 e il 1490 o successivo).

 

Alla confraternita del Libero Spirito fanno parte i cosiddetti Adamiti, cioè coloro che, credendo nella purezza primigenia di Adamo, ne accolgono la figura in toto, inclusa la sua nudità. Così, il pannello centrale del trittico appare come un trionfo dell’edonismo di massa.

 

Non esiste, tuttavia, alcun documento che attesti l’effettiva subordinazione di Bosch al movimento: al contrario, l’apparenza dei fatti suggerirebbe una condotta ben diversa. A partire dagli anni ’80 del Quattrocento l’artista fiammingo risulta iscritto alla confraternita di Nostra Diletta Signora, congregazione che si dedicava a opere di carità e al culto mariano. Già nel 1488 l’artista è infatti identificato come “notabile” della confraternita, una posizione elitaria che, sommata alla sua veloce ascesa sociale ed economica (resa possibile dalle nozze con la van Meervenne), gli permette di raggiungere in breve una stabile attività artistica.

 

Risulta piuttosto difficile stabilire un’esatta cronologia delle opere di Bosch (si tratti di dipinti autografi o attribuzioni), sia perché esse riportano solo di rado datazioni certe, sia perché le condizioni della pellicola pittorica, appesantita da ritocchi e ridipinture, molto spesso ne rendono impossibile la determinazione. Ogni tentativo di fissare una certa successione temporale è quindi accompagnato da legittime contestazioni. Premesso ciò, si ritiene attendibile – grazie anche al supporto di tecniche d’indagine scientifica come la dendrocronologia, basilare per lo studio del supporto ligneo – l’appartenenza alla fase giovanile, o comunque mediana, di alcuni dipinti su tavola tra cui Ecce homo (Francoforte, Städelsches Kunstinstitut), Crocifissione con donatore (Bruxelles, Musée Royaux des Beaux Arts), La salita al Calvario (Vienna, Kunsthistorisches museum), Adorazione dei Magi (Filadelfia, Museum of Art).

 

Questi e altri lavori, attribuiti agli ultimi due decenni del XV secolo e al primo ‘500, presentano un’impostazione alquanto tradizionale e convenzionale della composizione, eppure si scorgono già alcuni singolari elementi che andranno, nel corso del tempo, a consolidarsi fino a caratterizzare il linguaggio del pittore olandese. La caratterizzazione estremizzata di personaggi dall’espressività caricaturale, la descrizione scrupolosa del loro ruolo all’interno della composizione attraverso particolari simboli e attributi iconografici (cosicché ognuno di loro possa mantenere e “raccontare” la propria individualità) sono requisiti presenti in Bosch fin dal principio.

 

L’Ecce homo conservato a Francoforte, è oggi ritenuta l’unica opera autografa appartenente al primo periodo (1476 circa). Se il cromatismo generale risulta vibrante e luminoso, grazie alla giustapposizione di colori complementari e a una progressiva trasparenza dello sfondo, di contro le fattezze quasi parodistiche dei personaggi, il corpo del Cristo completamente ricoperto di lacrime di sangue, la presenza (che diverrà una costante) di simboli compatibili col maligno – una piccola civetta seminascosta nella feritoia dell’edificio in primo piano, un rospo sullo scudo di un soldato tra la folla, la mezzaluna sul vessillo riprodotto in secondo piano – caricano tale dipinto di aggressività e malvagità.

 

L’universo artistico di Bosch è di certo oscuro e multiforme e tra le innumerevoli, possibili chiavi di lettura, quella più affascinante appartiene al vocabolario simbolico. Affermare però che il linguaggio allegorico di Bosch sia di carattere prettamente esoterico, sarebbe assai limitativo. É invece più plausibile che l’origine dei simboli e delle figure ricorrenti nei suoi dipinti non sia univoca, ma molteplice, riconducibile oltre che a conoscenze alchemiche, anche alla tradizione popolare, alla mitologia cosmogonica antica, ai tarocchi – la cui produzione in Europa risulta, all’epoca di Bosch, relativamente recente – e, perché no, alla sua stessa immaginazione.

 

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Da sinistra a destra: Ecce homo (1476 circa),

Salita al Calvario (1500 circa), particolare dei Sette peccati capitali (1500 circa)

 

La simbologia del rospo, come detto, è una delle più ricorrenti nelle composizioni demoniache di Bosch: è un animale che popola gli inferi, che contamina i dannati, che s’imprime sul loro corpo quasi a voler essere un marchio indelebile. Per i caratteri da molti ritenuti anti-estetici e per la sua capacità di secernere sostanze tossiche attraverso la pelle, il rospo è stato sempre associato al negativo, fino a essere giustappunto definito una creatura demoniaca, legata alle streghe e alla dimensione degli inferi. Nell’opera giovanile La salita al Calvario, così come in Ecce homo, ritroviamo l’immagine del rospo come un contrassegno dei soldati che condurranno Cristo verso la morte. Tali anfibi, in altri casi, sono rappresentati come creature ibride, incorporando le fattezze di vari animali quali uccelli, rettili e roditori. Un esempio è dato dal Giudizio universale, trittico conservato presso l’Accademia di belle arti di Vienna, in cui questi strani esseri demoniaci appaiono qua e là nelle forme più disparate.

 

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Giudizio universale (1482 circa)
 

Nel trittico con il Giudizio universale Bosch condanna i peccatori a pene carnali, vere torture fisiche consumate in uno scenario cupo e rovente che dal pannello centrale, portante il tema del trittico, prosegue senza soluzione di continuità verso il pannello destro, dove è riprodotto l’Inferno. L’opera, considerata come autentica, è posteriore all’anno 1482, terminus post quem stabilito da tecniche dendrocronologiche. La straordinariamente ricca e popolosa composizione del Giudizio universale si distribuisce su un’ampia vallata resa possibile grazie al punto di fuga posto nella parte superiore del dipinto. Questo spazio così esteso e dilatato può ospitare, in ogni centimetro quadrato disponibile, centinaia di personaggi, tutti coinvolti in diverse scene di sevizie e abusi carnali.

 

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Da sinistra a destra: trittico delle Tentazioni di sant'Antonio (1501), particolare dell'opera

 

La maligna simbologia del rospo è ancor più evidente nel trittico con le Tentazioni di Sant’Antonio (1501 circa). Nel pannello centrale vi è la scena con le tentazioni del santo: un teatro di esseri infernali, preti demoniaci, mostri acquatici e terrestri. Al centro della composizione, vicino a un torrione diroccato in cui è stata ricavata una cappella, si sta svolgendo una messa nera celebrata da alcune donne. Una di loro è in procinto di servire un rospo che porta in trionfo un uovo, mentre sulla sinistra osserviamo un musico-suino vestito di nero, sormontato da una civetta (altro animale-simbolo di cui si è accennato in precedenza).

 

La simbologia legata alla civetta (o al gufo, a essa affine) è in realtà ambivalente. Creature della notte, la civetta e il gufo sono in grado di orientarsi nell’oscurità e pertanto possono essere attributi tipici della salvezza e della sapienza, come nel caso dell’iconologia classica dell’Atena glaukopis (da cui potrebbe derivare la civetta come fuoco alchemico che illumina e rischiara le tenebre dello spirito). D’altro canto, la vita notturna della civetta e del gufo ha, nella percezione popolare, un’accezione tipicamente negativa poiché legata all’oscurità e al maligno.

 

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Da sinistra a destra: Nave dei folli (1494 circa), particolare del trittico del carro di fieno (1516 circa)

 

Nei dipinti di Bosch, la civetta non è quasi mai un animale rappresentato in primo piano, anzi, spesso risulta persino difficile accorgersi della sua presenza. È il caso del pannello centrale del Giudizio universale di Vienna, dove in lontananza si scorge una civetta accovacciata su una grotta al centro della composizione, o ne La Nave dei folli, tavola posteriore al 1494 (data di pubblicazione dell’omonima opera di Sebastian Brant), in cui si intravede la testa di una civetta sporgere dalla fronda dell’albero cui è legato il vessillo con la mezzaluna. La scena mostra un gruppo di uomini legati alla vita monastica ma pronti ad abbandonarsi ai piaceri della vita terrena, ignorando i disperati mendicanti sotto di loro. Nel trittico Il trionfo del carro di fieno (1516 o successivo) ritroviamo ancora una volta una civetta la quale, immobile e discreta, osserva la scena musicale che si svolge sulla cima del carro, mentre per strada uomini bramosi (sia laici, sia religiosi) si abbandonano al peccato dell’avidità.

 

L’uovo è un altro soggetto più volte presente nelle opere di Bosch, tuttavia il suo simbolismo non appare del tutto chiaro. Secondo la tradizione cristiana, l’uovo bianco è la metafora della resurrezione di Cristo, così come per la mitologia cosmogonica esso è simbolo della genesi, ma nel pittore fiammingo non sembra rivestire tali ruoli.

 

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Particolare del trittico delle Tentazioni di sant'Antonio (1501)

 

Nel Giudizio Universale una donna dalle zampe palmate frigge un essere umano che pare sia stato ricavato da un uovo e, poco distante, appare un mostro antropomorfo intrappolato all’interno di un grande uovo bianco. Nel trittico con le Tentazioni di Sant’Antonio, l’elemento uovo appare ancor più misterioso: nel pannello di sinistra (Il volo e la caduta di Sant’Antonio), due volatili neri, forse merli, guardano dall’interno di un uovo spaccato il gruppo con il Santo privo di sensi sorretto da alcuni monaci antoniani, mentre sopra di esso un inquietante uccello con il torso ovoide ingoia un rospo. Un essere simile è presente anche nel pannello centrale, e lo possiamo osservare sulla copertura semidistrutta del torrione-cappella.

 

Nel pannello centrale del trittico con il Giardino delle delizie si assiste a un curioso espediente: piuttosto che dipingere una scena in cui “qualcuno” o “qualcosa” esce fuori dal guscio, Bosch decide di inserire sullo sfondo un nutrito gruppo di uomini nudi nell’atto di introdursi in un grande uovo cavo. Tali individui sembrano voler rinunciare alla nascita, ribaltare le sorti della creazione facendo ritorno alla loro condizione prenatale.

 

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Da sinistra a destra: due particolari del Trittico delle delizie (1480-1490),

particolare del trittico dell'Epifania (1510)

 

Ricorrenti sono inoltre i frutti e in particolare frutti di bosco, fragole e ciliegie. Quest'ultime vengono per esempio consumate a bordo della Nave dei folli, incarnando inevitabilmente il tema della lussuria e della passione secondo antiche chiavi di lettura dei sogni. Fragole e ciliegie, tuttavia, possono portare anche l’appellativo di “frutti del Paradiso”, come nel caso della fragola d’argento, scevra di ogni contenuto perverso e presente tra le mani di Gaspare nell’Adorazione dei Magi, pannello centrale del Trittico dell’Epifania (1510).

 

Esaminando alcune opere di Bosch come l’Inferno musicale (pannello destro del trittico del Giardino delle delizie), è inoltre evidente come la musica e i suoi strumenti siano di grande interesse per l’artista stesso. Ma se nel Trionfo del carro di fieno egli opera una distinzione classica tra la purezza del liuto (tradizionale attributo dell’Amante) e la connotazione fallica del flauto (attributo dell’allegoria del Vizio), nel trittico del Giardino delle delizie gli strumenti musicali, in particolare cordofoni, percussioni e aerofoni (i più rappresentati sono il flauto dolce e la cennamella), non sono altro che ingegnose macchine per la pratica di spietate torture. Quest’opera, di cui non abbiamo testimonianze sulla collocazione originaria e per la cui datazione è stato recentemente proposto il periodo successivo al decennio 1480-90, è conosciuta semplicemente come Trittico delle delizie. La ricchezza dei dettagli e del repertorio allegorico, rendono questo lavoro tra i più affascinanti e discussi del maestro fiammingo.

 

Il Trittico delle delizie ha subito nel corso degli anni innumerevoli critiche, tentativi di decodifica e riproduzioni, a dimostrazione del grande potere maliardo che è in grado di suscitare. Il fascino risiede ancora una volta nella numerosa composizione, nella vasta gamma di figure meticce, infernali personificazioni e bizzarri strumenti di tortura; tutti elementi ordinatamente distribuiti nello spazio secondo una precisa cronologia dei fatti: la creazione nel Giardino dell’Eden (pannello sinistro), la caduta nel Giardino delle delizie (pannello centrale) e la pena nell’Inferno musicale (pannello destro).

 

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Da sinistra a destra: La Genesi, ante chiuse del Trittico delle delizie (1480-90), opera intera

 

Chiuse le ante del trittico, osserviamo una grisaglia rappresentante l’antefatto agli eventi principali, vale a dire La Genesi: il Mondo è descritto come una livida e solitaria piattaforma galleggiante sovrastata da una calotta sferica trasparente. La visione dell’Eden risulta particolarmente originale: i colori sono chiari e brillanti e l’allestimento scenico suggerisce una terra lontana popolata da grandi piante tropicali e animali esotici. Qui Bosch raffigura il momento immediatamente successivo alla creazione di Eva piuttosto che il peccato originale. Dal paesaggio verde e rigoglioso riprodotto in secondo piano, fino al piccolo stagno antistante i personaggi principali, l’ambiente ospita le più disparate creature immaginarie e reali, soprattutto piccoli volatili, conigli (simbolo di fertilità), un unicorno bianco (simbolo di purezza), una giraffa e un elefante (probabilmente frutto delle conoscenze dei viaggiatori dell’epoca).

 

In questo insolito contesto, la presenza ambigua di una civetta nascosta nella fantasiosa fontana arborea al centro della composizione e l’intervento di esseri demoniaci come rospi e rettili, anticipatori del peccato che sarà commesso, rompono l’apparente serenità del Paradiso terrestre. Palpitante è la scena dipinta nel pannello centrale del trittico, in passato denominato anche Giardino delle fragole per la presenza ridondante di questo frutto qui accompagnato dalle ciliegie. Analogamente al Giardino dell’Eden, l’ambientazione è vibrante e florida: tra il verde luminoso della vegetazione e le delicate gradazioni di rosso dei frutti, osserviamo centinaia di uomini organizzati in combinazioni di pose e gesti finalizzati all’esaltazione della sensualità. Tutt’intorno animali domestici, chimere, sirene pisciformi, una ricca avifauna fatta di specie boschive e rapaci, (come la ricorrente civetta, qui presente in ben tre punti del pannello), e ancora pesci, orsi e scimmie.

 

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Particolare del Trittico delle delizie (1480-90)

 

I pacati toni pastello delle due tavole appena descritte, lasciano posto alla tenebrosa atmosfera del pannello di sinistra, teatro di efferate persecuzioni. Le scene sono micidiali: i dannati sono tormentati, martoriati e sodomizzati attraverso strumenti insoliti nell’iconologia dell’Inferno: strumenti musicali. La musica seduce, stordisce e infine massacra gli uomini peccatori. In proposito, la critica ha voluto leggere tale continuo ricorso ad elementi dell’universo musicale come un riferimento all’asprezza e alla perversione delle gioie terrene, contrastanti con l’armonioso regno ultraterreno. Il registro superiore è occupato da una cittadina realistica avviluppata dalle fiamme da cui fuggono le migliaia di abitanti che, disperati, si riversano nel fiume. Poco lontano compaiono grandi composizioni dall’oscuro significato: due orecchie trafitte da una freccia, una lama recante la lettera M, uno strano ibrido definito “uomo-albero” dotato di testa umana (forse un autoritratto), di un torso che rimanda a un uovo spaccato abitato da ubriachi seduti a un tavolo (forse una bisca) e di arti inferiori somiglianti a due grossi tronchi secchi. Per quest’ultima creatura è stata avanzata l’ipotesi che possa trattarsi dell’Anticristo.

 

Nella porzione inferiore del pannello si trova una sorta uccello antropomorfo adagiato su un trono, con un calderone per copricapo e due vasi per scarpe. Tale essere, intento a sbranare alcuni uomini (poi espulsi attraverso un’ampolla di vetro in una latrina), è stato da molti identificato come il “Principe dell’Inferno”. Ai suoi piedi una donna nuda, intorpidita, contrassegnata da un rospo sul petto, è tenuta stretta tra le braccia di un mostro. I due volti si riflettono sul fondoschiena di un demone le cui gambe si sono tramutate in rami secchi. Poco lontano, un altro gruppo di personaggi, evidentemente dedito al vizio del gioco, viene castigato senza pietà.

 

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Particolari del Trittico delle delizie (1480-90)

 

Il successo che la produzione artistica di Hieronymus Bosch continua ad avere nella cultura odierna, che tutto ha visto e tutto ha fatto, risiede probabilmente nel senso di smarrimento provocato da oggetti apparentemente fuori contesto e nel fascino impenetrabile delle sue allegorie.

 

Altra condizione che di certo ha contribuito alla popolarità del grande maestro fiammingo è l’inaspettata modernità dei suoi soggetti, simili per certi versi alle creature fantastiche figlie dei giochi grafici del Surrealismo (il cosiddetto gioco del Cadavere squisito), tanto da poter, a gran ragione, considerare Bosch una sorta di surrealista ante litteram.

 

Il grande maestro fiammingo morì a ‘s Hertogenbosch il 9 agosto 1516.



 

 

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