N. 38 - Febbraio 2011
(LXIX)
Per Dio e per gli Sciiti
Il potere di Hezbollah e le sue radici
di Lawrence M.F. Sudbury
Nell'insieme
magmatico
dei
mille
gruppi
e
gruppuscoli
che
costituiscono
il
panorama
politico
e
militare
del
caotico
e
turbolento
scenario
mediorientale,
un
partito
(o,
secondo
alcuni
governi,
quali,
pur
con
distinguo
e
differenze,
quelli
di
Israele,
Stati
Uniti,
Gran
Bretagna,
Canada
e
Australia,
un
gruppo
terroristico)
sembra
emergere
con
particolare
forza
per
la
sua
protervia,
la
sua
ferocia
e,
soprattutto,
per
l'impossibilità
di
essere
domato:
Hezbollah.
Da
dove
nasce
il
potere
di
questo
blocco
fondamentalista,
da
molti
visto
come
la
causa
ultima
di
alcune
delle
più
recenti
tragedie
libanesi?
Come
è
possibile
che
un
esercito
nato
in
una
delle
aree
più
povere
del
Medio
Oriente
possa
rappresentare
una
minaccia
continuativa
per
le
forze
armate
israeliane,
notoriamente
le
più
agguerrite
e
meglio
addestrate
del
mondo?
E,
ancora
più
radicalmente,
che
cosa
rappresenta
Hezbollah
per
il
mondo
arabo?
Per
rispondere
a
queste
domande
è
necessario
ripercorrere
la
storia,
per
altro
piuttosto
recente,
di
questa
formazione
e
analizzarne
le
profondissime
ramificazioni
all'interno
della
società
della
"terra
dei
cedri".
La
prima
cosa
che
va
immediatamente
sottolineata
è
che
Hezbollah
è
nato
come
naturale
espressione
della
rabbia
da
emarginazione
all'interno
dell'ultramillenario
blocco
sciita
della
società
libanese:
secondo
le
stime
C.I.A.,
infatti,
tale
blocco
comprende
il
41%
della
popolazione
del
Libano
ma,
dopo
che
il
Paese
ottenne
l'indipendenza
(22
novembre
1943)
e
l'esercito
francese
ritirò
i
suoi
soldati
dal
territorio
(nel
1946),
il
cosiddetto
"Patto
Nazionale
Libanese",
l'accordo
teorico
e
non
ufficiale
tra
tutte
le
componenti
etnico-religiose
di
una
delle
Nazioni
sotto
questo
aspetto
più
"arlecchinate"
del
mondo
arabo,
pur
assegnando
la
posizione
del
Presidente
del
Parlamento
agli
Sciiti
in
riconoscimento
della
loro
importanza
demografica
e
politica,
escluse
di
fatto
questa
componente
dalle
posizioni
dirigenziali
nei
settori
sociali
e
finanziari,
finendo,
in
ultima
analisi,
per
ghettizzarla.
La
situazione
divenne
incandescente
quando
il
malcontento
degli
Sciiti
iniziò
ad
esprimersi
contro
una
condizione
politica
che
li
escludeva
arroccandosi
a
difesa
dell'asse
di
potere
rappresentato
dall'alleanza
tra
Cristiani
e
Sunniti.
E
che
le
ragioni
di
tale
malcontento
per
la
loro
sottorappresentatività
fossero
reali
è un
dato
certamente
oggettivo.
Nel
1946,
i
Cristiani
Maroniti
e i
Musulmani
Sunniti
occupavano
rispettivamente
il
40 e
il
27%
delle
più
alte
cariche
civili,
mentre
agli
Sciiti
era
riservato
solo
il
32%
di
tali
cariche,
pur
essendo
essi,
con
circa
1.400.000
unità
(contro
le
800.000
delle
altre
due
componenti),
il
gruppo
più
popoloso
del
Libano. Inoltre,
anche
economicamente,
la
comunità
sciita
era
la
più
povera
del
Paese:
quasi
l'85%
di
essa
viveva
nelle
regioni
rurali
del
sud
e in
una
parte
della
valle
della
Bekaa,
dedicandosi
all'agricoltura
di
sussistenza,
legata
soprattutto
alla
vendita
di
tabacco
al
monopolio
di
stato
o
alla
coltivazione
di
ortaggi. Tali
aree,
per
di
più,
erano
da
sempre
le
più
colpite
nel
quadro
dei
combattimenti
militari
tra
Israele
e
O.L.P.,
per
sfuggire
ai
quali
molti
Sciiti
erano
già
migrati
verso
le
baraccopoli
della
parte
orientale
o
della
parte
meridionale
di
Beirut,
due
aree
note
come
la
"cintura
della
miseria".
Dopo
un
lungo
periodo
di
quiescenza
di
questa
"maggioranza
schiacciata",
la
miccia
fu
accesa,
a
partire
dagli
anni
'60,
da
una
figura
che
ebbe
un
peso
fondamentale
in
tutte
le
successive
vicende
dell'area:
l'Imam
Mussa
Sadr.
Nativo
di
Qom,
in
iran,
ma
di
origine
libanese,
Mussa
Sadr,
dopo
essersi
laureato
a
Teheran
in "Sha'aria
e
Scienze
Politiche"
e
aver
studiato
all'Accademia
coranica
della
sua
città
natale,
nel
1960
si
trasferì
in
missione
a
Tiro.
Qui
egli
divenne
rapidamente
uno
dei
leader
degli
Sciiti,
tra
i
quali
predicò
la
ribellione
contro
la
loro
condizione
svantaggiata: nel
1969
fu
nominato
primo
capo
del
Consiglio
Supremo
Islamico
Sciita,
un'entità
nata
allo
scopo
di
dare
più
voce
ai
seguaci
di
Hussayn
in
sede
governativa,
e, nel
1974,
fondò
il
"Movimento
del
Privato
Cittadino",
un
gruppo
di
pressione
sociale
per
ottenere
migliori
condizioni
economiche
e
sociali
per
tale
componente. Riuscì,
inoltre,
a
creare
una
rete
di
aiuto
per
i
più
bisognosi,
aprendo
scuole
e
cliniche
mediche
in
tutto
il
sud
del
Libano
e,
ben
presto,
cominciò
ad
essere
visto
come
una
sorta
di
"santo
carismatico"
da
tutti
i
suoi
fedeli.
I
nodi
vennero
al
pettine
nel
1975,
allo
scoppio
della
guerra
civile
che
vide
contrapposti
i
Cristiani
della
destra
falangista
ai
Musulmani
del
Partito
Socialista
Progressista.
Sadr,
che,
nel
frattempo,
aveva
dato
una
connotazione
politica
alla
sua
rete
assistenziale
creando
il
"Movimento
dei
Diseredati",
entrò
direttamente
con
i
suoi
seguaci
in
quest'ultimo,
sviluppando
un
braccio
armato
del
Movimento,
che
prese
il
nome
di "al-Afwaj
Mouqawma
Al-Lubnaniyya",
meglio
noto
come
Amal.
Fu,
però,
tra
1978
e
1982
che
si
ebbe
il
periodo
cruciale
per
l'indirizzamento
politico
degli
Sciiti,
per
una
serie
di
ragioni
concomitanti.
In
primo
luogo,
nel
1978,
durante
un
viaggio
in
Libia,
Sadr
scomparve
misteriosamente
e la
leadership
di
Amal
venne
assunta
brevemente
dal
laico
Husayn
Husayni
e
poi,
dal
1980,
da
Nabih
Berri,
che,
però,
si
alienò
le
simpatie
di
molti
religiosi
sciiti
sostenendo
la
presidenza
del
filo-siriano
Elias
Sarkis
e
rischiando
così
di
compromettere
la
lotta
di
Sadr
per
le
riforme
sociali
e
politiche
del
Paese
(Sadr
aveva
sempre
voluto
un
Libano
"giusto
e
indipendente"). Ciò
portò
molti
"studenti
coranici"
libanesi
del
seminario
(Hawza)
di
Najaf
(in
Iraq)
a
non
accettare
più
la
guida
di
Amal
e a
creare,
sotto
la
supervisione
dell'Ayatollah
Muhammad
Baqir
al-Sadr,
un
gruppo
molto
più
radicale
che
teorizzava
uno
stato
islamico
e
che
divenne
noto
come
"Hizb
al-Da'wa"
(il
"Partito
della
Chiamata"),
le
cui
idee
vennero
importate
in
Libano
da
Imam
come
Sayyed
Abbas al-Musawi.
In
secondo
luogo,
notoriamente
quando
una
situazione
di
crisi
viene
rinforzata
da
una
sconfitta
militare
e da
una
occupazione
straniera
è
naturale
che
si
apra
la
strada
a
movimenti
militanti
che
utilizzano
la
guerriglia
e
godono
di
diffuso
sostegno
popolare.
Questo
è
esattamente
ciò
che
accadde
quando
Israele
invase
il
Libano
nel
1978
("Operazione
Litani")
e
nel
1982
("Guerra
del
Libano"),
per
cacciare
l'O.L.P.
dal
Paese
e
per
staccarlo
dall'influenza
siriana.
Israele
sperava
che
un
Libano
libero
e
sotto
la
guida
dei
Cristiani
avrebbe
portato
ad
un
legame
più
stretto
tra
Beirut
e
Gerusalemme
ma,
nel
compiere
le
loro
operazioni
militari,
i
soldati
israeliani
oppressero
duramente
la
comunità
sciita
del
sud
del
Libano,
uccisero
più
di
un
migliaio
di
civili
sciiti
e
portarono
ad
un
esodo
di
massa
di
ancora
più
rifugiati
sciiti
nei
sobborghi
di
Beirut,
finendo
per
rafforzare
e
legittimare,
insieme
alla
presenza
di
una
"forza
di
occupazione
occidentale"
le
ali
musulmane
più
radicali.
Infine,
la
rivoluzione
iraniana
del
1979
ebbe
un
effetto
enorme
sullo
sciitismo
libanese:
il
messaggio
politico
di
Khomeini
era
già
noto
in
tutta
l'area
mediorientale,
ma
la
sua
entrata
vittoriosa
a
Teheran,
l'1
febbraio
1979,
diede
l'imprinting
politico
a
tutta
la
massa
degli
Sciiti
del
mondo
arabo,
soprattutto
laddove
essi
erano
più
in
sofferenza,
cioè
in
Libano.
Khomeini
cominciò,
dunque,
ad
essere
visto
come
l'ideologo
per
eccellenza
e
questa
idea
venne
ulteriormente
rafforzata
quando
egli,
nell'agosto
dello
stesso
anno,
incontrò
i
leader
più
estremisti
del
movimento
scita
libanese
(Sheikhal-Tufayli,
Sayyed
Abbas
al-Musawi,
etc.)
E'
da
questo
substrato
che
nasce
Hezbollah.
Gli
studiosi
divergono
nello
stabilire
quando
questa
organizzazione
si
sia
venuta
a
creare
come
entità
distinta:
varie
fonti
parlano
di
una
formazione
ufficiale
del
gruppo
già
nel
1982,
altre
sostengono
che
Hezbollah
sia
rimasto
un
amalgama
di
diversi
elementi
estremisti
sciiti
addirittura
fino
al
1985,
altri
ancora,
infine,
fanno
risalire
la
sua
nascita
ad
un
gruppo
di
sostenitori
dello
Sceicco
Ragheb
Harb,
uno
dei
leader
della
resistenza
meridionale
sciita
ucciso
da
Israele
nel
1984.
A
prescindere
da
quando
il
nome
sia
entrato
in
uso
ufficiale,
un
certo
numero
di
gruppi
sciiti
si
stava
lentamente strutturando
da
tempo
in
una
organizzazione
unitaria:
la
"Jihad
Islamica",
l'"Organizzazione
degli
Oppressi
della
Terra"
e
l'"Organizzazione
per
la
Giustizia
Rivoluzionaria"
già
dal
1979
avevano
confini
molto
incerti
e,
con
ogni
probabilità,
quando,
nel
1982,
l'O.L.P.
si
stanziò
nel
Libano
meridionale
e
iniziò
la
sua
campagna
di
bombardamento
della
Galilea
con
razzi
katyusha,
provocando
l'intervento
armato
di
Israele,
semplicemente
essi
trovarono
un
obiettivo
comune
nella
"lotta
all'invasore"
per
unirsi
definitivamente.
Immediatamente
la
forza
di
Hezbollah
venne
arricchita
dall'invio
di
numerosi
membri
(si
parla
di
un
numero
variabile
tra
i
1000
e i
2000
uomini)
della
Guardia
rivoluzionaria
iraniana
e
dal
sostegno
finanziario
dell'Iran,
sotto
la
supervisione
di
alcuni
religiosi
di
Qom,
in
particolare
dell'Ayatollah
Fzlollah
Mahallati,
divenendo
la
principale
forza
politico-militare
della
comunità
sciita
in
Libano
e il
braccio
più
importante
di
quella
che
divenne
nota
in
seguito
come
"Resistenza
Islamica
Libanese"
e
adottando,
in
cambio,
totalmente
l'ideologia
khomeinista
(sebbene
oggi
alcuni
rapporti
precisino
che
l'organizzazione
ha
abbandonato
l'idea
di
creare
uno
stato
islamico
sciita
in
Libano).
Dopo
aver
annunciato
ufficialmente
la
formazione
di
Hezbollah
nel
1985,
lo
Sceicco
Subhi
Tufaili
ne
divenne
il
primo
segretario
generale,
sostituito
nel
1991
dallo
Sceicco
Sayyed
Abbas
al-Musawi,
ucciso
pochi
mesi
dopo
da
Israele
e,
successivamente,
dallo
Sceicco
Sayyed
Hassan
Nasrallah,
tuttora
capo
indiscusso
del
gruppo.
All'inizio
della
leadership
Tufaili,
Hezbollah
era,
essenzialmente,
una
forza
musulmana
sponsorizzata
dall'Iran
(cosa
che
le
permise,
a
differenza
di
altre
"forze
rivoluzionarie",
di
non
esigere
tributi
nelle
zone
che
controlla)
e
impegnata
nella
guerra
civile
e
nel
diventare
l'unico
partito
sciita
in
campo
(ed
fu
durissima
la
lotta
che
lo
contrappose,
a
suon
di
attacchi
e
azioni
belliche,
ad
Amal).
In
seguito,
però,
poté
finalmente
concentrarsi
sul
suo
vero
obiettivo:
liberare
la
parte
di
Libano
occupata
(SLA)
da
Israele
e
combattere
con
ogni
mezzo
il
"potere
sionista",
la
cui
distruzione
era
ed è
punto
irrinunciabile
dello
statuto
fondativo
del
gruppo.
Ma
la
sproporzione
(soprattutto
a
livello
di
preparazione)
tra
le
forze
in
campo
era
notevole
e,
dunque,
Hezbollah
si
dovette
forzatamente
volgere
all'utilizzo
della
strategia
da
sempre
più
consona
a
chi,
sia
sulla
carta
che
in
pratica,
risulta
più
debole:
la
guerriglia,
l'attacco
"mordi
e
fuggi",
l'attentato.
Ecco,
allora,
i
camion
bomba
e i
primi
attacchi
kamikaze
del
mondo
arabo,
possibili
grazie
al
reclutamento
di
quei
diseredati
che,
scappati
dal
Libano
meridionale
invaso,
formavano
la
popolazione
delle
baraccopoli
della
"cintura
della
povertà"
(si
parla
di
circa
300.000
persone):
chi
non
ha
nulla,
assolutamente
nulla,
è
facile
da
convincere
con
promesse
di
un
"paradiso
dei
martiri"
e,
soprattutto,
di
vitalizi
per
le
famiglie
che
rimangono.
Se
questo
non
fosse
bastato,
esisteva
anche
una
seconda
motivazione
"nazionalista"
per
gli
attacchi:
il
Libano
era,
dal
1982,
un
Paese
invaso
che
doveva
essere
liberato.
E
l'invasore
non
era
solo
Israele,
ma
anche
la
M.N.F.,
la
forza
di
interposizione
internazionale
americana
e
europea,
rea
non
solo
di
venire
percepita
come
filo-israeliana,
ma
anche
di
sostenere
un
governo
gradito
al "Kataeb",
il
partito
della
destra
cristiana
falangista
(allora
guidato
dal
Presidente
Amine
Gemayel)
e ai
notabili
sunniti
di
Beirut
(ad
esempio,
il
Primo
Ministro
Shafik
Wazzan)
e di
aver
collaborato
a
far
evacuare
senza
tanti
complimenti
gli
abusivi
sciiti
dai
quartieri
eleganti
di
Beirut
Ovest
nei
pressi
dell'aeroporto.
Fu
in
questo
quadro
che
Hezbollah
(non
ancora
ufficialmente
battezzato
come
tale),
pur
evitando
un
confronto
diretto
con
lo
Stato,
diede
inizio
ad
una
escalation
terroristica
anti-occidentale
che
partì
con
il
rapimento
di
David
S.
Dodge,
Presidente
della
American
University
di
Beirut
(19
giugno
1982),
passò
per
l'autobomba
all'ambasciata
americana
che
provocò
63
morti
(18
aprile
1983)
ed
ebbe
il
suo
apice
con
il
duplice
attentato
simultaneo
alle
caserme
americana
e
francese
dell'M.N.F.
(23
ottobre
1983),
con
due
camion
carichi
di
ben
12.000
libre
di
tritolo
che
provocarono
241
morti
tra
i
militari
americani
e 58
tra
i
militari
francesi:
il
più
pesante
bilancio
di
un
atto
terroristico
fino
agli
attentati
alle
Torri
Gemelle
dell'11
settembre.
Hezbollah
(che,
si
ripete,
ancora
ufficialmente
non
esisteva)
non
rivendicò
mai
queste
azioni,
ma
dai
successivi
report
delle
Intelligence
occidentali
la
sua
responsabilità
risultò
palese,
rientrando
nel
piano
di
attacchi
suicidi
che
Robert
Pape,
nel
suo
testo
"Dying
to
Win"
divise
in
tre
campagne
distinte
(a
cui
fecero
seguito
un
certo
numero
di
attacchi
kamikaze
e
rapimenti
isolati
fino
al
ritiro
di
Israele
dal
sud
del
Libano
nel
2000):
-
1983-1984:
5
atti
contro
gli
Stati
Uniti
e la
Francia;
-
1982-1985:
11
atti
contro
Israele;
-
1985-1986:
20
atti
contro
Israele
e
l'Esercito
del
Libano
meridionale.
All'inizio
del
1998,
la
più
alta
corte
del
Libano
annunciò
l'intenzione
di
arrestare
il
Segretario
generale
(fino
a
1991)
di
Hezbollah,
lo
sceicco
Tufayli,
per
l'attentato
alle
caserme,
ma,
dopo
una
sparatoria
che
portò
alla
morte
di
alcuni
soldati
libanesi
e
sostenitori
di Tufayli,
lo
Sceicco
riuscì
a
far
perdere
le
sue
tracce
e
non
è
mai
più
stato
ritrovato.
Nel
1990,
dopo
quasi
16
anni
la
guerra
civile
finalmente
ebbe
termine
con
il
cosiddetto
"Accordo
di
Taif",
che,
tra
le
altre
cose,
stabilì
lo
"scioglimento
di
tutte
le
milizie
libanesi
e
non
libanesi"
e
richiese
al
governo
di
"dispiegare
l'esercito
libanese
nella
zona
di
confine
adiacente
a
Israele".
Nonostante
questo
accordo,
però,
la
Siria,
che
aveva
il
controllo
del
Libano
a
quel
tempo
(con
il
sostegno
di
Iran),
permise
ad
Hezbollah,
in
funzione
anti-israeliana,
di
mantenere
il
suo
arsenale
e il
controllo
delle
zone
sciite
nel
Sud
del
Libano
al
confine
con
Israele,
in
quella
che
le
Nazioni
Unite
hanno
bollato
come
una
"palese
violazione
degli
accordi
di
pace".
Hezbollah,
tuttavia,
giustificò
il
mantenimento
della
sua
milizia
sulla
base
della
continua
presenza
di
Israele
nelle
fattorie
di
Sheba,
che
l'O.N.U.
considera
territorio
siriano
(parte
delle
"Alture
del
Golan",
illegalmente
occupate
dall'esercito
israeliano
nella
Guerra
dei
Sei
Giorni
del
1967)
ma
che
il
governo
libanese
ha
sempre
rivendicato,
finendo,
conseguentemente,
per
ritenere
Hezbollah
una
"organizzazione
di
resistenza
legittima"
(il
presidente
maronita
del
Libano,
Emile
Lahoud,
ebbe
modo
di
dichiarare:
"Per
noi
libanesi,
e vi
posso
dire
la
maggioranza
dei
libanesi,
Hezbollah
è un
movimento
di
resistenza
nazionale,
se
non
fosse
stato
per
loro,
non
avremmo
potuto
liberare
la
nostra
terra.. E,
per
questo,
abbiamo
grande
stima
per
il
movimento",
opinione
condivisa,
secondo
i
sondaggi
del
tempo,
dal
74%
dei
Cristiani
libanesi),
e,
dunque,
da
non
disarmare.
Sempre
nella
stessa
ottica
deve
essere
inquadrata
la
presenza
di
Hezbollah
nel
sud
del
Libano,
occupato
da
Israele
tra
il
1982
e il
2000:
Hezbollah,
insieme
ai
gruppi
prevalentemente
laici
e di
sinistra
del
"Fronte
Nazionale
di
Resistenza
Libanese",
da
subito
combattè
una
guerra
di
guerriglia
contro
Israele
e
L'"Esercito
del
Libano
Meridionale",
ma
mentre
le
milizie
del
Fronte
Nazionale
deposero
le
armi
dopo
gli
Accordi
di
Taif,
Hezbollah
rimase
provocatoriamente
sulle
sue
posizioni,
rivendicando
la
resistenza
contro
l'occupazione
fino
a
quando
tutto
il
suolo
libanese
non
fosse
stato
liberato.
Ciò
portò
a
continui
scontri
tra
militanti
sciti
(che
hanno
continuato
a
lanciare
missili
sul
nord
della
Galilea)
ed
esercito
israeliano,
culminati
con
la
campagna
israeliana
di
attacchi
aerei
conosciuta
come
"Operazione
Furore"
(aprile
1996),
la
quale
causò
la
morte
di
106
rifugiati
civili
nel
bombardamento
di
una
base
delle
Nazioni
Unite
a
Qana,
scambiata
per
un
"covo
hezbollah".
Purtroppo,
nella
opinione
comune
islamica
l'errore
fu
immediatamente
visto
come
intenzionale
e
alimentò
ulteriormente
il
radicalismo
sciita
dell'area.
Dopo
che
le
forze
israeliane
lasciarono
Libano
meridionale
nel
2000,
Hezbollah
si
prese
l'incarico
di
fornire
la
difesa
militare
della
zona,
con
il
beneplacito
del
governo,
ma,
almeno
fino
al
2006,
fece
dell'area
di
confine
una
sorta
di
feudo
settario
in
cui
installare
lanciarazzi
katyusha
(alcuni
report
d'intelligence
parlano
di
oltre
10.000),
anche
in
aree
civili,
tra
case
private,
in
affollati
quartieri
residenziali
e in
zone
prossime
alle
moschee.
Ciò
portò
Israele
a
compiere
attacchi
aerei
mirati
di
rappresaglia,
che,
a
loro
volta,
portarono
al
raddoppiamento
dei
bombardamenti
sulla
Galilea,
in
una
spirale
apparentemente
senza
fine
della
lotta
tra
le
due
fazioni,
che,
nel
corso
del
tempo,
ha
visto
anche
uccisioni
mirate,
il
rapimento
di
soldati
da
entrambe
le
parti
e
scambi
di
prigionieri.
Di
fatto,
il
governo
libanese
non
ha
mai
potuto
fare
nulla
per
impedire
questa
sorta
di
faida
per
almeno
due
ordini
di
ragioni:
1)
in
primo
luogo
il
Libano
non
ha,
in
pratica,
alcun
controllo
militare
sulle
zone
sciite
meridionali
almeno
a
partire
dagli
anni
'90;
2) a
partire
dal
1992
Hezbollah,
su
incitamento
siriano
e
con
il
beneplacito
dell'Iran,
è un
partito
politico
strutturato,
con
un
programma
politico
molto
chiaro
(liberazione
delle
terre
libanesi
dall'occupazione
sionista,
abolizione
del
settarismo
politico,
garanzia
di
libertà
politica,
culturale
e
dei
media,
modifica
della
legge
elettorale
per
rendere
il
parlamento
più
rappresentativo
della
popolazione)
e
con
un
forte
sostegno
popolare,
anche
da
parte
di
molti
gruppi
cristiani
(con
cui
il
dialogo
è
sempre
stato
molto
aperto),
sia
in
unione
con
Amal
(il
cui
leader,
Nabih
Berri
è
presidente
del
parlamento)
che
da
solo.
Tale
sostegno
raggiunge
la
maggioranza
assoluta
nel
sud
e
nelle
periferie
di
Beirut
e ha
portato
Hezbollah
ad
avere
addirittura
tre
ministri
nel
governo
Siniora.
Quello
che
più
spaventa,
in
uno
scenario
complesso
come
quello
libanese,
è
anche
l'atteggiamento
ondivago
del
gruppo:
dopo
essere
stato
un
paladino
anti-siriano
nel
periodo
iniziale
dell'occupazione,
Hezbollah
ha
infatti
sostenuto
la
politica
di
ingerenza
dello
scomodo
vicino
(che
da
sempre
sogna
di
inglobare
il
Libano
in
una
"Grande
Siria"),
in
particolare
dopo
l'assassinio
di
Rafik
Hariri
nel
febbraio
2005,
arrivando,
dopo
le
manifestazioni
popolari
della
"Rivoluzione
dei
Cedri"
che
ha
posto
fine
all'occupazione
delle
truppe
di
Damasco,
a
organizzare
contromanifestazioni
a
sostegno
di
un'alleanza
siro-libanese,
ricevendo,
in
cambio,
il
supporto
siriano
nel
rifiuto
della
Risoluzione
ONU
1559
del
2004
che
chiedeva
il
disarmo
immediato
di
tutti
i
gruppi
combattenti
libanesi,
Hezbollah
incluso.
Nel
2006,
però,
con
una
nuova
capriola
politica,
il
partito
sciita
si è
alleato
con
il
partito
apertamente
anti-siriano
del
generale
Aoun,
spiazzando
gli
osservatori
internazionali,
per
poi
nuovamente
ritornare
sulle
sue
posizioni
precedenti
nel
governo
Siniora.
Nonostante
questa
"indefinitezza"
politica,
comunque,
Hezbollah
ha
sempre
potuto
contare
su
una
completa
impunità
(anche
per
crimini
internazionali
ascrittigli
in
vari
Paesi)
all'interno
del
Libano,
sia
per
la
debolezza
dei
governi
nazionali
(che,
in
qualche
modo,
hanno
bisogno
dell'appoggio
sciita)
impotenti
di
fronte
all'apparato
militare
creato
dal
"Partito
di
Dio"
con
l'appoggio
di
Teheran,
sia
per
la
enorme
considerazione
che
gode
tra
la
popolazione
musulmana
grazie
alla
rete
assistenziale
sviluppata
con
i
fondi
provenienti
dall'Iran.
Forte
di
questi
due
elementi,
Hezbollah
ha
continuato
la
sua
politica
di
attacco
a
Israele
fino
a
che,
nel
2006,
Tel
Aviv
ha
dato
inizio
a
una
terrificante
offensiva
militare
contro
il
Libano
proprio
per
neutralizzare
il
dispositivo
armato
dei
suoi
nemici.
L'attacco
è
stato
pesantissimo
ma i
miliziani
sciiti
sono
riusciti,
pur
nella
loro
palese
inferiorità
militare,
ad
infliggere
numerosi
danni
alle
forze
israeliane,
tanto
da
rallentarne
l'avanzata
fino
quasi
ad
una
situazione
di
stallo.
L'11
agosto
2006,
dopo
settimane
di
combattimenti
assolutamente
devastanti
per
la
popolazione
civile,
il
Consiglio
di
Sicurezza
delle
Nazioni
Unite
ha
votato
all'unanimità
la
Risoluzione
1701
che
richiedeva
l'immediata
cessazione
delle
ostilità
tra
Israele
e
Hezbollah,
il
ritiro
delle
truppe
israeliane
dal
Libano
meridionale
e lo
schieramento
nella
zona
delle
truppe
regolari
libanesi
e
dell'UNIFIL
per
creare
una
zona
cuscinetto
nelle
dodici
miglia
tra
la
frontiera
israelo-libanese
e il
fiume
Litani.
Subito
dopo
il
cessate
il
fuoco,
il
governo
libanese
ha
iniziato
il
dispiegamento
delle
proprie
forze
armate
lungo
il
confine
meridionale
e il
25
agosto
2006,
il
vertice
dell'Unione
Europea
ha
stabilito
l'invio
di
circa
settemila
militari
europei
per
costituire
il
nucleo
della
forza
multinazionale
di
interposizione
che,
però,
non
ha
ricevuto
mandato
di
disarmare
le
milizie
Hezbollah
(compito
che
sarebbe
spettato
alle
truppe
libanesi),
le
quali,
di
fatto,
sono
rimaste
praticamente
sulle
stesse
posizioni
in
cui
erano
attestate
prima
dell'attacco
israeliano.
Poco
dopo,
infatti,
Hezbollah
si è
dimostrato
nuovamente
ago
della
bilancia
delle
sorti
libanesi
quando,
all'annuncio
dell'istituzione
da
parte
delle
Nazioni
Unite
di
un
Tribunale
Speciale
per
il
Libano
per
indagare
sull'assassinio
di
Rafiq
Hariri
(chiaramente
ucciso
da
mano
hezbollah,
come
provato
proprio
dal
tribunale
ONU
nel
2009)
e
dopo
che
era
stato
negato
un
rimpasto
governativo
che
desse
maggior
potere
agli
Sciiti,
cinque
ministri
legati
ai
partiti
filo-siriani
e
filo-iraniani
Hezbollah
e
Amal
hanno
abbandonato
il
governo
Siniora,
aprendo
un
periodo
lunghissimo
di
crisi
istituzionale
e
sociale
che
si è
tradotta
in
scontri
inter-religiosi
di
intensità
paragonabile
a
quelli
della
guerra
civile
nel
maggio
2008.
Solo
dopo
tali
scontri,
che
hanno
provocato
decine
di
morti,
una
mediazione
internazionale
guidata
dal
Qatar
ha
permesso
alle
fazioni
politiche
libanesi
di
accordarsi
per
l'elezione
del
generale
Michel
Suleiman
alla
Presidenza
della
Repubblica
e
per
la
formazione
di
un
governo
di
unità
nazionale,
in
vista
delle
elezioni
parlamentari
previste
per
la
primavera
del
2009,
che
si
sono
svolte
regolarmente
e
che
hanno
portato
a
una
serie
di
trattative,
ancora
in
corso,
volte
a
trovare
un
accordo
stabile
per
il
Paese
dei
cedri.
Il
fatto
è
che,
come
comprovato
dalle
simulazioni
belliche
organizzate
dal
"Partito
di
Dio"
nell'ottobre
2010
per
"mostrare
i
muscoli"
contro
le
decisioni
del
Tribunale
ONU
sul
caso
Hariri,
fino
a
quando
la
Risoluzione
1559
non
verrà
implementata,
con
il
totale
disarmo
di
ogni
milizia
partitica
o
religiosa,
il
Libano
rimarrà
ostaggio
di
Hezbollah
e
della
sua
forza
militare
e
con
la
stabilità
libanese
resterà
a
rischio
la
sicurezza
dell'intero
Medio
Oriente.
Riferimenti
bibliografici:
T.
Cambanis,
A
Privilege
to
Die:
Inside
Hezbollah's
Legions
and
Their
Endless
War
Against
Israel,
Free
Press
2010;
Harel,
A.
Issacharoff,
O.
Cummings,
M.
Tlamim,
34
Days:
Israel,
Hezbollah,
and
the
War
in
Lebanon,
Palgrave
Macmillan
2009;
J.P.
Harik,
Hezbollah:
The
Changing
Face
of
Terrorism,
I.B.
Tauris
2005;
V.
Nasr,
The
Shia
Revival:
How
Conflicts
within
Islam
Will
Shape
the
Future,
W.
W.
Norton
&
Company
2007;
S.H.
Nasrallah,
Voice
of
Hezbollah:
The
Statements
of
Sayyed
Hassan
Nasrallah,
Verso
2007;
A.R.
Norton,
Hezbollah:
A
Short
History,
Princeton
University
Press
2009;
R.
Pape,
Dying
to
Win:
The
Strategic
Logic
of
Suicide
Terrorism,
Random
House
2005.