[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

192 / DICEMBRE 2023 (CCXXIII)


attualità

KISSINGER ADDIO

RICORDANDO IL CONTROVERSO DIPLOMATICO STATUNITENSE

di Gian Marco Boellisi

 

Lo scorso 29 novembre 2023 ci ha lasciato una delle menti più brillanti nonché uno dei personaggi più controversi di tutto il Novecento: Henry Kissinger. Considerato comunemente come uno dei più grandi diplomatici del Secolo Breve, tanto da essere quasi idolatrato mentre era ancora in vita, Kissinger ha rappresentato tutte le contraddizioni di un’epoca in cui il fine ultimo era il mantenimento di uno status quo tra i più singolari e tesi della storia dell’umanità, ovvero la Guerra Fredda.

Per quanto siano passati diversi anni dalla sua ultima carica politica, la sua influenza e il suo pensiero si avvertono ancora oggi permeare numerose decisioni di policy negli Stati Uniti e nel mondo. Risulta quindi interessante comprendere perché Kissinger sia stato così importante per la storia delle relazioni internazionali e perché, anche a decenni di distanza dalla sua scomparsa, il suo pensiero probabilmente influenzerà ancora le varie cancellerie di tutto il mondo.

Heinz Alfred Kissinger, diventato poi Henry Kissinger una volta trasferito negli Stati Uniti, nasce a Fürth nel 1923 da una famiglia ebrea bavarese. Per sfuggire alle persecuzioni naziste la famiglia scappa dalla Germania nel 1938 per trasferirsi prima a Londra e poi a New York. Dopo una breve esperienza nell’esercito, si laurea a Harvard nel 1952 per poi avvicinarsi sempre di più a una carriera politica negli Stati Uniti. Il successo arriva tra il 1969 e il 1977, quando viene nominato Consigliere per la Sicurezza e Segretario di Stato sotto le amministrazioni Nixon e Ford. Qui, negli anni cruciali della Guerra Fredda, Kissinger contribuì in maniera fondante alla strategia americana di contenimento sovietico e anche alla redistribuzione degli equilibri locali nei vari continenti.

Gli scenari su cui agì furono innumerevoli, così come anche le contraddizioni. A seguito del suo contributo per le trattative di pace inerenti alla Guerra in Vietnam, nel 1973 Kissinger ricevette il Nobel per la pace. Nello stesso anno tuttavia contribuì a pianificare e a mettere in atto il colpo di stato in Cile che portò al potere il generale Augusto Pinochet ai danni di Salvador Allende. A conferma di come questo premio sia stato conferito molte volte più per le buone intenzioni che per gli effettivi meriti.

Negli stessi anni avviò le celeberrime politiche di apertura verso la Cina, intuendo brillantemente che per poter avere un vantaggio nella Guerra Fredda bisognava dividere il fronte comunista e fare leva sulla naturale e storica inimicizia che albergava tra Cina e Unione Sovietica. Nonostante ciò fu anche promotore di un’importante distensione con Mosca, tanto da avviare un dialogo serio e costruttivo sulla riduzione degli arsenali nucleari. Dall’altro lato in Medio Oriente contribuì a negoziare la pace tra Egitto e Israele a valle della Guerra del Kippur, la quale si sarebbe conclusa con gli accordi di Camp David sotto Carter nel 1978.

Al di là delle sue azioni tra un’amministrazione e l’altra, una delle dimostrazioni più grandi delle sue abilità diplomatiche fu uscire praticamente pulito dallo scandalo del Watergate, rimanendo allo stesso tempo un riferimento politico per tutte le amministrazioni statunitensi che sarebbero seguite.

Il modus operandi di Kissinger è stato oggetto di studio dai più svariati analisti, cercando di comprendere quale fosse la chiave del successo di tanti progetti in politica estera tutti portati a termine con vantaggi sostanziali per Washington. In generale Kissinger può essere considerato in tutto e per tutto un diplomatico del ventesimo secolo i cui modelli però appartenevano al diciannovesimo, e in particolare Otto von Bismarck e Klemens von Metternich.

Con il suo fare diretto, spregiudicato e molto spesso amoralista, Kissinger ha sempre agito con l’obiettivo ultimo di mantenere l’equilibrio di potenza tra Stati Uniti e Unione Sovietica bilanciato, cercando di conservare la pace tra i due paesi anche a costo di guerre e colpi di stato in nazioni giudicate “secondarie”, senza badarsi delle popolazioni ivi residenti. Tutto ciò prendendo a modello il Congresso di Vienna del 1815, dove le nazioni europee si riunirono per ricostruire il sistema di potere europeo a valle delle guerre napoleoniche e grazie al quale l’Europa visse in relativa pace per svariati decenni.

Nel suo operato Kissinger ha sempre agito sul leggero confine che intercorre tra etica e diplomazia, scavalcando il limite ogni qualvolta gli fosse necessario per raggiungere i propri obiettivi. Proprio questo metodo che vedeva nei popoli e negli Stati delle mere pedine sulla grande scacchiera della Guerra Fredda valse le accuse a Kissinger in più occasioni di complice politico in alcuni delle più grandi stragi della seconda metà del Novecento.

Da un punto di vista storico, è innegabile che le manovre di Kissinger abbiano condannato interi popoli ad anni di dittatura militare o abbiano spostato equilibri regionali che altrimenti sarebbero evoluti in maniera totalmente diversa. Non dimenticando mai l’aspetto umano delle azioni storiche, è allo stesso tempo interessante comprendere come un unicum diplomatico come Kissinger sia riuscito a cambiare parte della storia del mondo con le sue azioni.

In merito al Cile, all’indomani dell’elezione di Salvador Allende, Kissinger dichiarò: «Non vedo alcuna ragione per cui a un paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile». Essendo il simbolo della più antica tradizione democratica della regione, per Kissinger e l’amministrazione Nixon il Cile rappresentava il banco di prova perfetto per testare le proprie formule economiche di stampo liberista e parallelamente inaugurare una nuova tipologia di regime militare, da replicare ovunque ve ne fosse il bisogno pur di prevenire l’instaurazione di governi socialisti. Ed è quello che fu fatto indirettamente anche in Argentina con il colpo di stato del 1976 ai danni di Isabelita Peron.

Dulcis in fundo, Kissinger fu uno degli ideatori dell’Operazione Condor, un coordinamento serrato tra i servizi segreti di Cile, Brasile, Uruguay, Paraguay, Argentina e Bolivia per sradicare le varie formazioni combattenti di sinistra presenti nella regione. Tra i più noti (de)meriti dell’Operazione vi fu l’uccisione dell’ex Presidente boliviano Juan José Torres, dei politici uruguaiani Zelmar Michelini e Hector Gutierrez e dell’ex ministro di Allende Orlando Letelier, per non citare i numerosi sequestri di persona in tutti i paesi sopra citati e le relative esecuzioni sommarie degli squadroni della morte. Di questa operazione, Kissinger in un primo momento disse di non saperne nulla, solo per essere poi smentito da suoi stessi comunicati e documenti firmati, de-secretati nel corso degli anni.

Tra il 1973 e il 1974 Kissinger fu molto impegnato anche sul fronte mediorientale, a causa principalmente della guerra del Kippur tra Israele ed Egitto e del conseguente embargo petrolifero che colpì la comunità internazionale. In quegli anni fu coniato il termine “shuttle diplomacy”, definizione creata per rappresentare Kissinger che faceva la spola da una capitale all’altra del Medio Oriente per poter gestire le conseguenze della guerra e cercare di stabilizzare gli animi nella regione.

Nel 1974 una bozza di primo accordo fu raggiunta grazie a Kissinger tra Israele ed Egitto, il quale si sarebbe evoluto in quelli che sarebbero passati alla storia come gli Accordi di Camp David. La strategia di Kissinger fu sempre trainata da due obiettivi principali: da un lato la riduzione dell’influenza sovietica nella regione, dall’altro sostenere le rivendicazioni di Israele sui territori acquisiti nel 1967 e sulle Alture del Golan. Dalle recenti cronache di quell’area di mondo, si può comprendere come quest’ultimo punto sia ancora tutt’altro che risolto.

Da un punto di vista accademico e nozionistico, Henry Kissinger è una personalità che ha saputo rivoluzionare in maniera radicale diversi concetti delle relazioni internazionali mentre era ancora in vita. Tanto per cominciare, è una personalità che ha saputo sintetizzare in maniera quasi perfetta l’approccio storico e l’approccio pratico nella diplomazia. Kissinger è sempre stato convinto che la diplomazia non potesse funzionare senza una conoscenza profonda e strutturata del contesto storico in cui ci si deve muovere.

Da grande diplomatico, Kissinger ha sempre saputo leggere la storia, sia quella dei secoli che lo hanno preceduto prendendone spunto sia quella che lui stesso contribuiva a scrivere, per poi inquadrare le decisioni di policy nella maniera più pragmatica e utilitaristica possibile, forse a volte anche troppo, in maniera da raggiungere il proprio obiettivo senza contare i danni collaterali. Ed è stata proprio questa molteplicità di prospettive l’elemento rivoluzionario dell’agire diplomatico kissingeriano.

A valle della sua attività da diplomatico, Kissinger è stato anche un prolifico autore, lasciando ai posteri tre libri di memorie, 14 saggi, centinaia di convegni, interviste, articoli, lezioni universitarie. Un patrimonio senza eguali, grazie al quale generazioni future di storici e diplomatici continueranno ad apprendere e a imparare da uno dei più grandi diplomatici che la storia abbia mai visto.

Da un punto di vista nozionistico, Kissinger ha fatto parte di quella larga corrente di pensiero chiamata realismo, cambiando tuttavia il classico approccio dei vari pensatori appartenenti a questo filone. Il realismo è una teoria che raggruppa vari pensatori nella disciplina delle relazioni internazionali, la quale si basa su alcuni principi fondanti ugualmente condivisi da tutti i vari sottofiloni creatisi nel tempo:


- la comunità internazionale degli Stati è “anarchica” per definizione, dove con anarchico si intende il fatto che non vi è un ente o uno Stato che ha maggiore potere sugli altri tale per cui si elimini in maniera automatica il rischio della guerra. Ciò partendo dal presupposto che l’esercizio della forza è un monopolio esclusivo dell’entità statuale come tale e non deputabile a soggetti giuridici terzi. Quindi tutti gli Stati vivono nell’eterno timore di poter essere attaccati, potenzialmente, da uno degli altri Stati della comunità internazionale;
- proprio per il suo essere anarchico, il sistema internazionale indurrà gli Stati a massimizzare la propria forza militare per difendersi da potenziali attacchi di nemici esterni;
- la guerra risulta essere quindi un fattore ineliminabile all’interno del sistema internazionale e rimarrà sempre una carta da giocare per la risoluzione delle controversie internazionali.

Il giornalista due volte Pulitzer del New York Times, Antony Lewis ha definito il realismo come “un’ossessione per l’ordine e il potere a spese dell’umanità”. Definizione che, al netto dell’operato del nostro Segretario di Stato, potrebbe essere anche abbastanza veritiera. Tuttavia un merito che si può riconoscere a Kissinger è come egli abbia lavorato per rendere stabile l’assetto globale delle relazioni internazionali, cercando di ridistribuire in maniera equilibrata il potere tra le varie nazioni e di creare una base di legittimità affinché questa redistribuzione fosse accettata dai vari player in campo. Questo ultimo punto è fondamentale per capire le sfide che l’ordine internazionale sta affrontando in questi ultimi anni, dove la maggiore sfida all’ordine globale post Guerra Fredda è proprio sul concetto di legittimità globalmente riconosciuta.

In conclusione, Henry Kissinger è stato uno dei grandi protagonisti del Novecento che ha contribuito a suo modo a plasmare il mondo in cui tutti noi viviamo oggi. La sua personalità non si libererà mai dalle mille contraddizioni che il suo operato e le sue politiche hanno portato in tutto il mondo. Rimane tuttavia innegabile l’abilità diplomatica di un uomo che ha saputo cogliere le opportunità presentategli dalla storia e lavorare per il raggiungimento di un equilibrio in una delle epoche più complesse della storia umana.

A dimostrazione della maturità intellettuale dell’uomo, anche in tarda età, a 100 anni compiuti, ha sempre contribuito al dibattito delle relazioni internazionali in maniera costruttiva e vibrante, mostrando anche un certo cambiamento nel proprio approccio rispetto agli anni più “realisti” della sua attività politica tra anni ‘60 e ‘70. Ciò che rimane a tutti noi è l’eredità intellettuale di uno degli ultimi giganti delle relazioni internazionali, gigante che ha saputo far sentire la propria voce anche quando il mondo ha sempre una minore disponibilità di orecchie adeguate all’ascolto.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]