KISSINGER ADDIO
RICORDANDO IL CONTROVERSO
DIPLOMATICO STATUNITENSE
di Gian Marco Boellisi
Lo
scorso 29 novembre 2023 ci ha
lasciato una delle menti più
brillanti nonché uno dei personaggi
più controversi di tutto il
Novecento: Henry Kissinger.
Considerato comunemente come uno dei
più grandi diplomatici del Secolo
Breve, tanto da essere quasi
idolatrato mentre era ancora in
vita, Kissinger ha rappresentato
tutte le contraddizioni di un’epoca
in cui il fine ultimo era il
mantenimento di uno status quo tra i
più singolari e tesi della storia
dell’umanità, ovvero la Guerra
Fredda.
Per quanto siano passati diversi
anni dalla sua ultima carica
politica, la sua influenza e il suo
pensiero si avvertono ancora oggi
permeare numerose decisioni di
policy negli Stati Uniti e nel
mondo. Risulta quindi interessante
comprendere perché Kissinger sia
stato così importante per la storia
delle relazioni internazionali e
perché, anche a decenni di distanza
dalla sua scomparsa, il suo pensiero
probabilmente influenzerà ancora le
varie cancellerie di tutto il mondo.
Heinz Alfred Kissinger, diventato
poi Henry Kissinger una volta
trasferito negli Stati Uniti, nasce
a Fürth nel 1923 da una famiglia
ebrea bavarese. Per sfuggire alle
persecuzioni naziste la famiglia
scappa dalla Germania nel 1938 per
trasferirsi prima a Londra e poi a
New York. Dopo una breve esperienza
nell’esercito, si laurea a Harvard
nel 1952 per poi avvicinarsi sempre
di più a una carriera politica negli
Stati Uniti. Il successo arriva tra
il 1969 e il 1977, quando viene
nominato Consigliere per la
Sicurezza e Segretario di Stato
sotto le amministrazioni Nixon e
Ford. Qui, negli anni cruciali della
Guerra Fredda, Kissinger contribuì
in maniera fondante alla strategia
americana di contenimento sovietico
e anche alla redistribuzione degli
equilibri locali nei vari
continenti.
Gli scenari su cui agì furono
innumerevoli, così come anche le
contraddizioni. A seguito del suo
contributo per le trattative di pace
inerenti alla Guerra in Vietnam, nel
1973 Kissinger ricevette il Nobel
per la pace. Nello stesso anno
tuttavia contribuì a pianificare e a
mettere in atto il colpo di stato in
Cile che portò al potere il generale
Augusto Pinochet ai danni di
Salvador Allende. A conferma di come
questo premio sia stato conferito
molte volte più per le buone
intenzioni che per gli effettivi
meriti.
Negli stessi anni avviò le
celeberrime politiche di apertura
verso la Cina, intuendo
brillantemente che per poter avere
un vantaggio nella Guerra Fredda
bisognava dividere il fronte
comunista e fare leva sulla naturale
e storica inimicizia che albergava
tra Cina e Unione Sovietica.
Nonostante ciò fu anche promotore di
un’importante distensione con Mosca,
tanto da avviare un dialogo serio e
costruttivo sulla riduzione degli
arsenali nucleari. Dall’altro lato
in Medio Oriente contribuì a
negoziare la pace tra Egitto e
Israele a valle della Guerra del
Kippur, la quale si sarebbe conclusa
con gli accordi di Camp David sotto
Carter nel 1978.
Al di là delle sue azioni tra
un’amministrazione e l’altra, una
delle dimostrazioni più grandi delle
sue abilità diplomatiche fu uscire
praticamente pulito dallo scandalo
del Watergate, rimanendo allo stesso
tempo un riferimento politico per
tutte le amministrazioni
statunitensi che sarebbero seguite.
Il modus operandi di Kissinger è
stato oggetto di studio dai più
svariati analisti, cercando di
comprendere quale fosse la chiave
del successo di tanti progetti in
politica estera tutti portati a
termine con vantaggi sostanziali per
Washington. In generale Kissinger
può essere considerato in tutto e
per tutto un diplomatico del
ventesimo secolo i cui modelli però
appartenevano al diciannovesimo, e
in particolare Otto von Bismarck e
Klemens von Metternich.
Con il suo fare diretto,
spregiudicato e molto spesso
amoralista, Kissinger ha sempre
agito con l’obiettivo ultimo di
mantenere l’equilibrio di potenza
tra Stati Uniti e Unione Sovietica
bilanciato, cercando di conservare
la pace tra i due paesi anche a
costo di guerre e colpi di stato in
nazioni giudicate “secondarie”,
senza badarsi delle popolazioni ivi
residenti. Tutto ciò prendendo a
modello il Congresso di Vienna del
1815, dove le nazioni europee si
riunirono per ricostruire il sistema
di potere europeo a valle delle
guerre napoleoniche e grazie al
quale l’Europa visse in relativa
pace per svariati decenni.
Nel suo operato Kissinger ha sempre
agito sul leggero confine che
intercorre tra etica e diplomazia,
scavalcando il limite ogni qualvolta
gli fosse necessario per raggiungere
i propri obiettivi. Proprio questo
metodo che vedeva nei popoli e negli
Stati delle mere pedine sulla grande
scacchiera della Guerra Fredda valse
le accuse a Kissinger in più
occasioni di complice politico in
alcuni delle più grandi stragi della
seconda metà del Novecento.
Da un punto di vista storico, è
innegabile che le manovre di
Kissinger abbiano condannato interi
popoli ad anni di dittatura militare
o abbiano spostato equilibri
regionali che altrimenti sarebbero
evoluti in maniera totalmente
diversa. Non dimenticando mai
l’aspetto umano delle azioni
storiche, è allo stesso tempo
interessante comprendere come un
unicum diplomatico come Kissinger
sia riuscito a cambiare parte della
storia del mondo con le sue azioni.
In merito al Cile, all’indomani
dell’elezione di Salvador Allende,
Kissinger dichiarò: «Non vedo alcuna
ragione per cui a un paese dovrebbe
essere permesso di diventare
marxista soltanto perché il suo
popolo è irresponsabile». Essendo il
simbolo della più antica tradizione
democratica della regione, per
Kissinger e l’amministrazione Nixon
il Cile rappresentava il banco di
prova perfetto per testare le
proprie formule economiche di stampo
liberista e parallelamente
inaugurare una nuova tipologia di
regime militare, da replicare
ovunque ve ne fosse il bisogno pur
di prevenire l’instaurazione di
governi socialisti. Ed è quello che
fu fatto indirettamente anche in
Argentina con il colpo di stato del
1976 ai danni di Isabelita Peron.
Dulcis in fundo, Kissinger fu uno
degli ideatori dell’Operazione
Condor, un coordinamento serrato tra
i servizi segreti di Cile, Brasile,
Uruguay, Paraguay, Argentina e
Bolivia per sradicare le varie
formazioni combattenti di sinistra
presenti nella regione. Tra i più
noti (de)meriti dell’Operazione vi
fu l’uccisione dell’ex Presidente
boliviano Juan José Torres, dei
politici uruguaiani Zelmar Michelini
e Hector Gutierrez e dell’ex
ministro di Allende Orlando Letelier,
per non citare i numerosi sequestri
di persona in tutti i paesi sopra
citati e le relative esecuzioni
sommarie degli squadroni della
morte. Di questa operazione,
Kissinger in un primo momento disse
di non saperne nulla, solo per
essere poi smentito da suoi stessi
comunicati e documenti firmati,
de-secretati nel corso degli anni.
Tra il 1973 e il 1974 Kissinger fu
molto impegnato anche sul fronte
mediorientale, a causa
principalmente della guerra del
Kippur tra Israele ed Egitto e del
conseguente embargo petrolifero che
colpì la comunità internazionale. In
quegli anni fu coniato il termine
“shuttle diplomacy”, definizione
creata per rappresentare Kissinger
che faceva la spola da una capitale
all’altra del Medio Oriente per
poter gestire le conseguenze della
guerra e cercare di stabilizzare gli
animi nella regione.
Nel 1974 una bozza di primo accordo
fu raggiunta grazie a Kissinger tra
Israele ed Egitto, il quale si
sarebbe evoluto in quelli che
sarebbero passati alla storia come
gli Accordi di Camp David. La
strategia di Kissinger fu sempre
trainata da due obiettivi
principali: da un lato la riduzione
dell’influenza sovietica nella
regione, dall’altro sostenere le
rivendicazioni di Israele sui
territori acquisiti nel 1967 e sulle
Alture del Golan. Dalle recenti
cronache di quell’area di mondo, si
può comprendere come quest’ultimo
punto sia ancora tutt’altro che
risolto.
Da un punto di vista accademico e
nozionistico, Henry Kissinger è una
personalità che ha saputo
rivoluzionare in maniera radicale
diversi concetti delle relazioni
internazionali mentre era ancora in
vita. Tanto per cominciare, è una
personalità che ha saputo
sintetizzare in maniera quasi
perfetta l’approccio storico e
l’approccio pratico nella
diplomazia. Kissinger è sempre stato
convinto che la diplomazia non
potesse funzionare senza una
conoscenza profonda e strutturata
del contesto storico in cui ci si
deve muovere.
Da grande diplomatico, Kissinger ha
sempre saputo leggere la storia, sia
quella dei secoli che lo hanno
preceduto prendendone spunto sia
quella che lui stesso contribuiva a
scrivere, per poi inquadrare le
decisioni di policy nella maniera
più pragmatica e utilitaristica
possibile, forse a volte anche
troppo, in maniera da raggiungere il
proprio obiettivo senza contare i
danni collaterali. Ed è stata
proprio questa molteplicità di
prospettive l’elemento
rivoluzionario dell’agire
diplomatico kissingeriano.
A valle della sua attività da
diplomatico, Kissinger è stato anche
un prolifico autore, lasciando ai
posteri tre libri di memorie, 14
saggi, centinaia di convegni,
interviste, articoli, lezioni
universitarie. Un patrimonio senza
eguali, grazie al quale generazioni
future di storici e diplomatici
continueranno ad apprendere e a
imparare da uno dei più grandi
diplomatici che la storia abbia mai
visto.
Da un punto di vista nozionistico,
Kissinger ha fatto parte di quella
larga corrente di pensiero chiamata
realismo, cambiando tuttavia il
classico approccio dei vari
pensatori appartenenti a questo
filone. Il realismo è una teoria che
raggruppa vari pensatori nella
disciplina delle relazioni
internazionali, la quale si basa su
alcuni principi fondanti ugualmente
condivisi da tutti i vari
sottofiloni creatisi nel tempo:
- la comunità internazionale degli
Stati è “anarchica” per definizione,
dove con anarchico si intende il
fatto che non vi è un ente o uno
Stato che ha maggiore potere sugli
altri tale per cui si elimini in
maniera automatica il rischio della
guerra. Ciò partendo dal presupposto
che l’esercizio della forza è un
monopolio esclusivo dell’entità
statuale come tale e non deputabile
a soggetti giuridici terzi. Quindi
tutti gli Stati vivono nell’eterno
timore di poter essere attaccati,
potenzialmente, da uno degli altri
Stati della comunità internazionale;
- proprio per il suo essere
anarchico, il sistema internazionale
indurrà gli Stati a massimizzare la
propria forza militare per
difendersi da potenziali attacchi di
nemici esterni;
- la guerra risulta essere quindi un
fattore ineliminabile all’interno
del sistema internazionale e rimarrà
sempre una carta da giocare per la
risoluzione delle controversie
internazionali.
Il giornalista due volte Pulitzer
del New York Times, Antony Lewis ha
definito il realismo come
“un’ossessione per l’ordine e il
potere a spese dell’umanità”.
Definizione che, al netto
dell’operato del nostro Segretario
di Stato, potrebbe essere anche
abbastanza veritiera. Tuttavia un
merito che si può riconoscere a
Kissinger è come egli abbia lavorato
per rendere stabile l’assetto
globale delle relazioni
internazionali, cercando di
ridistribuire in maniera equilibrata
il potere tra le varie nazioni e di
creare una base di legittimità
affinché questa redistribuzione
fosse accettata dai vari player in
campo. Questo ultimo punto è
fondamentale per capire le sfide che
l’ordine internazionale sta
affrontando in questi ultimi anni,
dove la maggiore sfida all’ordine
globale post Guerra Fredda è proprio
sul concetto di legittimità
globalmente riconosciuta.
In conclusione, Henry Kissinger è
stato uno dei grandi protagonisti
del Novecento che ha contribuito a
suo modo a plasmare il mondo in cui
tutti noi viviamo oggi. La sua
personalità non si libererà mai
dalle mille contraddizioni che il
suo operato e le sue politiche hanno
portato in tutto il mondo. Rimane
tuttavia innegabile l’abilità
diplomatica di un uomo che ha saputo
cogliere le opportunità
presentategli dalla storia e
lavorare per il raggiungimento di un
equilibrio in una delle epoche più
complesse della storia umana.
A dimostrazione della maturità
intellettuale dell’uomo, anche in
tarda età, a 100 anni compiuti, ha
sempre contribuito al dibattito
delle relazioni internazionali in
maniera costruttiva e vibrante,
mostrando anche un certo cambiamento
nel proprio approccio rispetto agli
anni più “realisti” della sua
attività politica tra anni ‘60 e
‘70. Ciò che rimane a tutti noi è
l’eredità intellettuale di uno degli
ultimi giganti delle relazioni
internazionali, gigante che ha
saputo far sentire la propria voce
anche quando il mondo ha sempre una
minore disponibilità di orecchie
adeguate all’ascolto.