N. 120 - Dicembre 2017
(CLI)
sul pensiero di Henri Bergson
MORALE E RELIGIONE
di Rita Mei
Le tematiche elaborate dal filosofo francese Henri Bergson (1859-1941) hanno quale minimo comun denominatore il concetto di “intuizione”, intesa come “sguardo dell’uomo su di sé”, e in questo senso non opposta, ma nettamente distinta dall’intelligenza, che verte sulle pratiche materiali: può essere considerata, l’intuizione, una modalità dello spirito che si configura come un’inversione di tendenza rispetto alla modalità “normale” (quella dell’analisi fornita dall’intelligenza) di relazione con il mondo.
L’aspetto
intuitivo
della
filosofia
di
Bergson
è
altresì
presente
nella
sua
ultima
opera,
Le
due
fonti
della
morale
e
della
religione
(1932)
dedicata
proprio
al
tema
della
creatività
morale
e
religiosa
dell’uomo
dove
il
filosofo
si
difende
dalle
accuse
di
monismo
panteistico,
secondo
le
quali
egli
avrebbe
sviluppato
una
sorta
di
religione
in
cui
Dio
fosse
in
tutte
le
cose.
Bergson
infatti
oppone
il
Dio
“dei
filosofi”,
da
lui
considerato
come
dio
morto
e
sostanzialmente
immobile,
al
Dio
dell’intuizione
propria
dei
mistici,
come
Dio
vivo
e
identico
al
movimento
universale.
La
tentazione
di
cadere
nel
panteismo
deriva
dal
fatto
che
il
filosofo
vuole
soprattutto
rispettare
l’intuizione
di
una
sovrabbondanza
del
divino
rispetto
alle
sue
manifestazioni
e
alla
capacità
intellettiva
dell’uomo,
e
vuole
esprimere
la
trascendenza
sempre
rinnovata
dall’assoluto
rispetto
al
relativo.
Le
due
fonti
della
morale
e
della
religione
è
l’opera
che
conclude
il
discorso
bergsoniano
sull’evoluzione
creatrice:
l’evoluzionismo,
dopo
aver
prodotto
l’uomo,
non
si
ferma,
ma
procede
nelle
realizzazioni
culturali
umane
e,
proprio
come
nelle
evoluzioni
dei
viventi,
anche
in
questo
nuovo
ambito
troviamo
elementi
più
evoluti
ed
altri
meno:
all’uomo
è
stato
dato
scegliere
se
far
proseguire
nel
suo
corso
lo
slancio
vitale
o se
bloccarlo
dentro
di
sé.
Bergson
inizia
il
suo
ragionamento
partendo
dal
concetto
di
morale,
strettamente
legato
a
quello
di
società,
distinguendo
cioè
due
tipi
di
morale
da
cui
derivano
due
tipi
di
società:
le
società
chiuse,
caratterizzate
da
una
certa
“obbligazione
morale”
che
non
è
una
norma
della
ragione
e
che
fa
capo
all’abitudine;
gli
uomini
si
comportano
in
un
certo
modo
solo
perché
lo
sviluppo
naturale
li
ha
portati
alle
concezioni
che
hanno
della
vita
e
della
morale.
Le
società
aperta
invece
sono
quelle
alla
cui
base
sta
la
libertà
e la
morale
non
è
ristretta
a un
singolo
gruppo,
ma
si
rivolge
a
tutti
in
un
appello
a
continuare
in
piena
libertà
lo
slancio
creatore.
Dal
concetto
di
società,
Bergson
fa
derivare
quello
di
religione,
che,
come
la
prima,
può
essere
chiusa
o
aperta,
statica
o
dinamica.
La
prima,
quella
statica,
cerca
di
mantenere
attraverso
dogmi
e
divieti
la
coesione
fra
gli
individui
che
in
lei
si
riconoscono;
svolgendo
una
funzione
fabulatrice,
attraverso
il
culto
e
l’immaginazione
mitica
offre
alla
comunità
un
riparo
sicuro
dalle
opere
dell’intelligenza,
che
punta
invece
al
soddisfacimento
dei
bisogni
individuali,
senza
tener
conto
della
comunità
in
generale.
La
religione
dinamica,
al
contrario,
va
oltre
questa
funzione
difensiva,
avvicinandosi
a
diventare
misticismo,
cioè
piena
intuizione
dello
slancio
vitale,
per
trasformare
l’umanità.
Il
mistico,
dotato
di
uno
spirito
superiore,
intuisce
la
vera
natura
di
Dio
e
vive
in
sintonia
con
questa.
Pur
essendo
un
caso
raro,
rappresenta
con
il
suo
esempio
un
modello
per
la
massa,
contribuendo
a
una
trasformazione
positiva
della
società:
infatti
il
mistico,
nonostante
il
suo
continuo
tentativo
di
ricongiungimento
con
Dio,
non
abbandona
mai
la
comunità
di
cui
fa
parte,
ma
continua
a
professare
l’amore
dell’umanità,
così
come
nella
società
aperta.
Non
possiamo
non
evidenziare
come
questo
aspetto,
per
il
quale
Dio
si
manifesta
unicamente
nell’esperienza
mistica,
il
pensiero
bergsoniano
si
distanzia
dalla
dottrina
cattolica,
per
la
quale
esiste
un
accesso
a
Dio
anche
attraverso
la
conoscenza
della
natura.