N. 40 - Aprile 2011
(LXXI)
Heliopolis
il sogno di Aristonico
di Alessandro Pietrantonio
Nel
133
a.C.
morì
all’età
di
33
anni
l’ultimo
reggente
legittimo
di
Pergamo
Attalo
III,
figlio
di
Eumene
II e
successore
del
proprio
zio
Attalo
II.
Egli,
non
avendo
eredi,
lasciò
nel
suo
testamento
al
popolo
romano
i
suoi
beni
e il
suo
regno,
fatta
eccezione
per
la
città
di
Pergamo
e
molto
probabilmente
per
altre
città
greche
della
costa
dell’Asia
Minore,
come
Smirne
o
Chio,
alle
quali
concesse
la
totale
indipendenza.
Così
venne
inviata
un’ambasceria
a
Roma,
che
in
quel
periodo
viveva
nel
pieno
dei
torbidi
suscitati
dalle
riforme
gracchiane,
guidata
da
Eudemo
di
Pergamo.
Intanto
in
Asia
un
nuovo
personaggio,
fino
ad
allora
rimasto
nell’ombra,
si
presenta
sulla
scena
con
l’intenzione
di
succedere
al
trono
pergameno
e
combattere
gli
usurpatori
stranieri,
accompagnato
da
grandi
idee
di
libertà
e
democrazia,
ma
anche
da
un
gran
numero
di
mercenari,
per
la
maggior
parte
traci:
il
suo
nome
era
Aristonico.
Egli
sosteneva
infatti,
non
si
sa
se a
ragione
o a
torto,
di
essere
un
figlio
illegittimo
del
re
Eumene
II e
di
una
concubina,
dunque
discendente
della
dinastia
reale.
Secondo
alcune
fonti
Aristonico
non
si
trovava
a
Pergamo
quando
morì
il
re,
essendo
stato
esiliato.
Difatti
D.Potter
(in
Where
did
Aristonicus’
revolt
begin?,
ZPE
74,
1988,
p.293-294)
sostiene
che
la
cosiddetta
“rivolta
di
Aristonico”
non
partì
dal
Regno
di
Pergamo,
bensì
dalla
Tracia,
dove
il
presunto
discendente
degli
attalidi
si
autoproclamò
re
con
il
nome,
chiaramente
allusivo,
di
Eumene
III.
Dopo
alcuni
successi
militari,
come
la
cattura
di
Myndo
o di
Samo,
egli
tenta
di
assediare
e
conquistare
la
città
di
Pergamo
ma
fallisce,
decidendo
allora
di
ritirarsi
nelle
regioni
interne
di
quello
che
era
stato
il
regno
attalide.
Un
gran
numero
di
cittadini,
stranieri
residenti
e
schiavi,
abbandonò
le
proprie
case,
nella
stessa
Pergamo
e
nelle
città
vicine,
attratto
dagli
ideali
e
dai
sogni
di
quel
“re
senza
terra”,
quale
era
Aristonico,
e
dal
suo
progetto
di
Heliòpolis.
Heliòpolis
era
una
città
immaginaria,
un’utopia
partorita
dalla
mente
di
Aristonico
per
quando
sarebbe
diventato
re.
In
questa
città
tutti
sarebbero
stati
liberi,
non
sarebbe
esistita
la
schiavitù,
tutti
avrebbero
avuto
pari
diritti.
Molto
probabilmente
per
questo
progetto
Aristonico
si
ispirò
ad
un
passo
di
Diodoro
Siculo
in
cui
il
protagonista
Giambulo
si
ritrova
in
un’isola
fantastica,
chiamata
“Isola
del
Sole”,
dove
tutti
i
cittadini
erano
uguali
per
diritto,
ognuno
era
tenuto
a
lavorare,
eseguendo
a
turno
vari
mestieri.
Inoltre
l’arrivo
alla
“corte”
di
Aristonico-Eumene
III
del
pensatore
Blossio
di
Cuma
non
fece
che
alimentare
il
sogno
di
questo
illuminato
sovrano.
Blossio
di
Cuma
infatti
fuggì
da
Roma
in
seguito
all’uccisione
di
Tiberio
Gracco,
da
lui
fortemente
appoggiato,
e
trovò
rifugio
in
Asia,
dove
le
sue
idee
stoiche
di
uguaglianza
furono
più
che
ben
accette
da
parte
del
nuovo
attalide.
Il
progetto
di
Aristonico
poggiava
su
due
solide
basi:
una,
sociale,
puntava
a
smuovere
e
indirizzare
le
menti
dei
suoi
potenziali
seguaci
verso
una
società
più
giusta
ed
egualitaria;
l’altra,
religiosa,
tendeva
invece
a
toccare
negli
animi
le
persone,
infatti
questa
fantastica
“città
del
Sole”
basava
il
suo
nome
e i
suoi
principi
su
alcuni
culti
molto
diffusi
in
Asia
che
avevano
come
centro
il
Sole,
simbolo
di
giustizia
e
uguaglianza.
Sappiamo
ciò
anche
dal
fatto
che
sulle
monete
coniate
da
Aristonico-Eumene
III
è
presente
una
chiara
simbologia
che
fa
riferimento
a
suddetti
culti,
come,
per
esempio,
il
profilo
del
sovrano
rappresentato
con
la
testa
imberbe
di
Apollo-Elios,
chiamato,
a
seconda
della
religione,
anche
Shamash
o
Baal.
Questo
duplice
aspetto
del
progetto
eliopolita
di
Aristonico
intendeva
raggiungere
un
gran
numero
di
persone
appartenenti
a
classi
sociali
molto
differenti.
Secondo
C.
Delplace
(Le
contenu
social
et
économique
du
soulèvement
d’Aristonicos:
opposition
entre
riches
et
pauvres?,
in
Athenaeum,
56,
1978,
pp.
21-28)
infatti,
al
suo
fianco
furono
presenti
membri
della
classe
dirigente
pergamena,
che
potevano
vedere
in
Aristonico
un
legittimo
erede
della
dinastia
attalide
e un
difensore
dell’indipendenza
nazionale
contro
l’invasione
straniera;
stranieri
residenti,
per
lo
più
mercanti,
che
potevano
sperare
in
un
miglioramento
della
propria
condizione
o
temere
di
essere
sostituiti
da
commercianti
romani;
mercenari
e
coloni
militari
che
vedevano
in
Roma
una
minaccia
al
loro
mestiere,
poiché
con
la
conquista
dei
territori
in
cui
abitavano
avrebbero
dovuto
trasferirsi
o
cambiare
lavoro;
infine,
le
masse
di
poveri
e
schiavi,
veri
destinatari
del
progetto
socio-religioso
a
cui
faceva
appello
Aristonico.
A
questo
punto,
tra
il
133
e il
132
a.C.,
la
Ionia
era
divisa
in
due:
da
una
parte,
c’era
Aristonico,
sostenuto
da
alcune
città
che
vedevano
i
Romani
come
invasori
e
tra
queste
alcune
che
dopo
la
morte
di
Attalo
III
erano
state
rese
libere,
le
poche
che
afferrarono
la
vera
essenza
di
un
dominio
romano
su
quei
territori;
esse
capirono
infatti
che
una
volta
che
Roma
fosse
entrata
in
Asia
le
relazioni
con
le
città
greche
indipendenti
“non
potevano
che
essere
di
subordinazione”
(G.Cardinali,
La
morte
di
Attalo
III
e la
rivolta
di
Aristonico,
in
Saggi
di
storia
antica
e di
archeologia
offerti
a G.
Beloch,
Roma,
1910,
p.296);
dall’altra,
c’era
invece
chi
sosteneva
la
Repubblica
e
aspettava
un
suo
intervento
che
mettesse
fine
alla
rivolta
e
alla
migrazione
di
tante
persone
verso
i
territori
controllati
dai
rivoltosi.
Si
pensa
addirittura
che
la
città
di
Pergamo
avesse
emanato
un
decreto,
che
ci è
pervenuto
e in
merito
al
quale
è
tuttora
in
corso
un
dibattito
sulla
sua
datazione,
con
il
quale
si
cercò
di
ovviare
al
problema
dell’esodo
dei
cittadini.
Si
stabiliva
che
si
sarebbe
offerta
agli
stranieri
residenti
la
cittadinanza,
ai
figli
di
liberti
e
agli
schiavi
reali
e
pubblici
di
vecchia
data
lo
stato
di
straniero
residente.
Per
assistere
alla
prima
reazione
di
Roma
bisogna
attendere
un
anno
dall’inizio
della
rivolta.
Nel
132
infatti
viene
inviato
un
primo
esercito,
composto
per
la
maggior
parte
di
veterani,
con
a
capo
il
console
Publio
Licinio
Crasso
Muciano.
La
Repubblica
era
militarmente
appoggiata,
oltre
che
da
molte
città
della
Ionia,
come
Pergamo,
Alicarnasso
e
Efeso,
anche
dal
re
di
Bitinia
Nicomede
II e
dal
re
di
Cappadocia
Ariarte
IV.
Il
console
sbarcò
indisturbato
in
Asia
e
arrivò
a
Pergamo,
dove
le
principali
fonti
(come
Strabone,
14.1.138)
ci
dicono
che
fu
troppo
distratto
dal
tesoro
che
era
appartenuto
agli
attalidi
per
pensare
alla
guerra
contro
Aristonico.
Crasso
fu
quindi
ucciso
in
un’imboscata
tesa
dagli
alleati
Traci
del
presunto
attalide
nel
131.
Roma
a
questo
punto
non
poteva
permettersi
altri
errori
e
l’anno
successivo
il
console
Marco
Peperna,
seguito
da
un
grande
esercito
e
deciso
a
vincere
a
tutti
i
costi,
sbarcò
in
Ionia
e
dopo
aver
sconfitto
i
rivoltosi
in
campo
aperto
li
inseguì
e
assediò
la
città
in
cui
si
erano
rifugiati:
Stratonicea,
per
la
quale
non
si è
certi
se
sia
quella
in
Caria
o in
Lidia.
Dopo
una
strenua
resistenza
la
città
cadde
in
mano
al
console
che
riuscì
a
catturare
il
re
dei
ribelli.
Poco
tempo
dopo,
prima
che
Aristonico
fosse
portato
a
Roma
come
trofeo,
Peperna
si
ammalò
e
morì.
Nonostante
Aristonico
fosse
caduto
in
mano
nemica
alcune
città,
con
le
esigue
forze
rimaste,
portarono
avanti
la
rivolta
che
si
concluse
definitivamente
con
una
sanguinosa
repressione
e
l’avvelenamento
delle
acque
delle
città
ribelli
ad
opera
di
Manlio
Aquilio
nel
127
a.C.
Quest’ultimo
tornò
trionfante
nell’Urbe
l’anno
seguente,
portando
con
sé
il
prigioniero,
sulla
cui
fine
esistono
tre
diverse
versioni:
Strabone
ci
dice
che
morì
in
prigione,
Orosio
(Historia
adversos
paganos,
V.10.1)
riporta
che
fu
strangolato,
Velleio
Patercolo
(Historiae
Romanae
ad
M.
Vinicium
libri
duo,
II.4)
racconta
che
morì
mentre
era
trascinato
dietro
al
carro
del
suo
vincitore
Manlio
Aquilio.
In
modo
assolutamente
inglorioso
si
conclude
questo
momento
di
libertà
e di
ribellione
alla
potenza
di
Roma.
Aristonico
fu
uno
dei
tanti
che
cercarono
in
qualche
modo
di
impedire
alla
Repubblica
di
monopolizzare
con
la
violenza
il
mondo
allora
conosciuto
o
che
tentarono,
almeno,
di
mantenere
l’indipendenza,
la
libertà
e la
dignità
della
propria
gloriosa
patria,
le
cui
origini
si
ritrovavano
nella
spedizione
di
Alessandro
Magno
in
Persia.
Muore,
come
una
bestia
sacrificata,
un
sovrano
illuminato,
o
forse
solo
un
ingenuo
sognatore,
che
pensava
di
poter
creare
un
regno
di
libertà
e di
uguaglianza
in
cui
tutti
sarebbero
stati
cittadini
e
nessuno
sarebbe
stato
schiavo.
Non
c’era
spazio
per
la
realizzazione
di
tali
idee
se
non
nella
mente
e
nel
cuore
di
chi
le
coltivava;
allora
e in
seguito
la
storia
ha
fatto
sì
che
rimanessero
nobili
utopie.