N. 78 - Giugno 2014
(CIX)
HALLELUJAH
IN RICORDO DI JEFF BUCKLEY
di Andrea Bajocco
Possono
soltanto
due
album
essere
sufficienti
per
entrare
nell’Olimpo
della
musica?
La
risposta,
affermativa,
è
rappresentata
da
un
nome
e un
cognome:
Jeff
Buckley.
Nato
in
California
nel
novembre
del
1966,
nonostante
fosse
figlio
d’arte
(il
padre
Tim,
cantautore,
è
considerato
per
le
innovazioni
apportate
un
vero
mostro
sacro
della
storia
del
rock),
Jeff
attribuisce
al
patrigno
Ron
Moorhead
la
sua
crescita
musicale
e il
suo
amore
per
la
musica
rock
(in
particolare
per
Led
Zeppelin,
Jimi
Hendrix
e,
soprattutto,
per
i
Kiss).
Si
avvicina
quindi
fin
dalla
tenera
età
(complice
la
madre
Mary
Guibert,
pianista
e
violoncellista
classica)
alla
musica,
iniziando
a
suonare
a
cinque
anni
la
chitarra
acustica.
Durante
gli
studi
suona
con
il
gruppo
jazz
della
scuola
e si
avvicina
al
rock
progressivo,
con
una
particolare
predilizione
per
Genesis,
Rush
e
Yes.
Ottenuto
il
diploma,
si
cimenta
con
più
gruppi,
spaziando
tra
i
generi.
Suona
di
tutto:
dal
reggae
al
funk,
all’RnB
e al
punk
e i
primi
consensi
non
tardano
ad
arrivare.
A
questo
punto
è
Herb
Cohen,
il
manager
del
padre
(morto
intanto,
nemmeno
trentenne,
di
overdose),
a
proporsi
di
aiutare
Jeff
a
incidere
Babylon
Dungeon
Sessions
(1990),
prima
demo
contenente
Eternal
Life,
Unforgiven
(che
con
il
tempo
ha
cambiato
titolo
divenendo
la
celebre
Last
Goodbye)
e
Strawberry
Street
e
Radio.
L’anno
seguente,
Jeff
fa
il
suo
esordio
davanti
al
grande
pubblico.
È il
26
aprile
1991
e a
New
York
–
nella
chiesa
St.
Ann
di
Brooklyn
– va
di
scena
un
concerto-tributo
organizzato
da
Hal
Willner
in
onore
di
Tim
Buckley.
Con
l’accompagnamento
di
Gary
Lucas
alla
chitarra,
Jeff
si
esibisce
nel
concerto
che
gli
aprirà
le
porte
della
musica.
Trasferitosi
a
New
York,
dopo
una
breve
parentesi
con
i
Gods
and
Monsters
(gruppo
di
Lucas),
Buckley
inizia
a
esibirsi
da
solo
in
diversi
locali
di
Manhattan.
Jeff
durante
queste
esibizioni
spazia
tra
i
generi
e
propone
anche
le
canzoni
contenute
in
Babylon
Dungeon
Sessions,
oltre
ad
altre
recentemente
scritte
insieme
a
Gary
Lucas
tra
cui
Grace.
È
proprio
durante
queste
esibizioni
che
il
giovane
artista
attira
su
di
sé
le
attenzioni
di
numerosi
produttori
discografici.
La
carriera
di
Buckley
è in
continua
ascesa
e
tra
il
1993
e il
1994
lavora
duramente
su
quello
che
sarà
il
suo
primo
vero
album.
Grace,
che
comprende
7
inediti
e 3
cover,
esce
nell’agosto
del
1994.
Oltre
alla
già
citata
title
track,
i
pezzi
più
importanti
del
disco
sono
Last
Goodbye
e
Hallelujah,
cover
di
Leonard
Cohen.
Le
prime
due
sono
dedicate
alla
difficile
storia
d’amore
che
Jeff
Buckley
ha
vissuto
con
Rebecca
Moore
(in
Grace
si
rivolge
direttamente
alla
donna
amata,
mentre
Last
Goodbye
parla
della
loro
separazione);
Hallelujah
invece
è la
canzone
che
lo
fa
diventare
definitivamente
protagonista
del
mondo
della
musica.
L’interpretazione
gli
vale
svariati
riconoscimenti
tanto
che
viene
inserita
dalla
rivista
Rolling
Stone
al
264º
posto
delle
500
migliori
canzoni
di
tutti
i
tempi
(terza
tra
le
cover).
L’album
è
apprezzato
da
tutti.
Addetti
ai
lavori
e
colleghi
non
perdono
occasione
per
fare
i
complimenti
al
cantautore.
Parole
al
miele
arrivano
a
Jeff
Buckley
da
mostri
sacri
della
musica
quali
Jimmy
Page
([...]
my
favorite
album
of
the
decade)
e
nientemeno
che
Bob
Dylan
([...]
one
of
the
great
songwriters
of
this
decade).
Jeff
sembra
essere
diventato
uno
di
loro,
e il
seguente
tour
(tra
il
1994
e il
1996)
non
fa
altro
che
avvalorare
questa
tesi.
Finito
il
tour,
Jeff
si
butta
a
capofitto
sul
nuovo
album.
Iniziano
le
registrazioni
per
quello
che
sarà
Sketches
for
My
Sweetheart
the
Drunk.
Tutto
sembra
andare
per
il
meglio.
Il
destino
ha
tuttavia
previsto
un
crudele
futuro
per
Jeff
Buckley.
È il
29
maggio
del
1997.
Jeff
si
sta
dirigendo
verso
lo
studio
di
registrazione
con
Keith
Foti.
Arrivati
all’altezza
del
Wolf
River
–
fiume
affluente
del
Mississippi
–
Jeff
chiede
a
Foti
di
fermarsi,
avendo
voglia
di
una
nuotata.
Non
è
una
novità;
accadeva
spesso
che
Jeff
si
tuffasse
in
quelle
acque.
Tornando
verso
la
riva
a
nuoto
canticchiando
Whole
Lotta
Love
dei
Led
Zeppelin,
tuttavia,
un
battello
passò
non
lontano
da
Buckley
creando
presumibilmente
un
gorgo
che
risucchiò
il
giovane
cantautore
che
sparì
dalla
vista
di
Foti.
Dopo
giorni
di
ricerche,
il
corpo
sarà
rinvenuto
soltanto
il 4
giugno.
L’autopsia
dirà
che
“[...]
la
morte
non
ha
nulla
di
misterioso,
a
droghe,
alcool
e
suicidio...”
e
che
“[...]
era
in
un
ottimo
stato
mentale
prima
dell'incidente”.
Ironia
della
sorte,
il
funerale
sarà
celebrato
nella
chiesa
che
era
stata
la
rampa
di
lancio
per
Jeff
Buckley.
Quella
stessa
chiesa
dove
si
esibì
per
il
concerto-tributo
in
onore
del
padre,
la
St.
Ann
di
Brooklyn.
Nel
1998
sarà
pubblicato
postumo
Sketches
for
My
Sweetheart
the
Drunk.
Nonostante
una
carriera
breve
e un
successo
a
dir
poco
effimero,
il
mito
di
Jeff
Buckley
non
smette
di
vivere,
grazie
a
quei
due
album
che,
a
modo
loro,
sono
entrati
di
diritto
nella
Storia
della
musica.