[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

185 / MAGGIO 2023 (CCXVI)


contemporanea

LA GUERRA DEL VIETNAM SUL GRANDE SCHERMO

I / LA DECADENZA DELL’EROISMO

di Manuela Bussadori

 

Hollywood è diventata negli anni un punto di riferimento per molti grazie alla sua capacità di creare un forte immaginario collettivo, specialmente considerando le grandi produzioni degli anni Cinquanta, caratterizzate da una prospettiva ideale degli eventi in cui lo spettatore non percepiva l’artificio del prodotto e vi era un controllo verso ogni forma di rappresentazione della violenza. Tutti questi elementi contribuivano all’illusione dell’esperienza cinematografica.

 

Con la fine della guerra del Vietnam nel 1975 e il peggioramento della crisi nazionale, fu chiaro che il ruolo statunitense di pacificatore era finito e con lui l’American Century. Il bisogno di rinnovamento Hollywoodiano e la complessità morale dell’epoca contribuì alla creazione di un nuovo sottogenere del War film classico: il Vietnam Movie. Il nuovo filone nacque dal desiderio di rilettura del conflitto per arginare il sentimento della disfatta.

 

I protagonisti diventarono i reduci che al loro ritorno perseguivano con grande difficoltà il ritrovamento di una scala di valori per raggiungere un effettivo reinserimento nella società. Difficoltà che sfociava in frustrazione o nella peggiore delle ipotesi in atti di elevata violenza. Si trattava della Post Vietnam Syndrome, una grave forma di stress post traumatico strettamente legata all’esperienza del Vietnam. Erano uomini che avevano perso la propria identità in relazione alla comunità di appartenenza e percepivano come irrimediabile la distanza sociale. Oltre a questo aspetto prettamente psicologico, erano considerati l’emblema dei sentimenti ambivalenti della società nei confronti del conflitto. I primi film di questo genere, come Taxi Driver di Martin Scorsese (1976), Il Cacciatore di Michael Cimino (1978) e Tornando a casa di Hal Ashby (1978), si focalizzavano sul ritorno a casa dei reduci, ma anche di chi non vi aveva partecipato direttamente e ne è stato spettatore passivo grazie all’assidua azione documentarista dei telegiornali.

 

Taxi Driver rappresenta la complessità morale tipica della figura del reduce. La classica lotta cinematografica tra bene e male viene infranta, il regista rompe ogni tipo di convenzione per rendere al meglio il disagio e l’incertezza del suo protagonista ricorrendo perfino a delle “sporcature” registiche, come rendere visibili alcuni strumenti utilizzati per girare il film. Lo scopo era rendere lo spettatore consapevole della sua natura di artefatto, distruggere l’illusione di perfezione tipica del cinema. L’illusione di cui invece è vittima Travis, un giovane ex marine con un disturbo cronico del sonno che lo ha portato a diventare un tassista notturno a New York.

 

Come altri reduci porta con sé i segni dell’esperienza vietnamita tra cui la disciplina militare, il senso di costante precarietà e danni psicologici, di cui l’insonnia ne è l’aspetto visibile. Travis è sempre più alienato dal contesto sociale che lo circonda. I suoi continui tentativi di integrazione vengono vanificati dal mantenimento delle abitudini militari. New York di notte assume i connotati di una giungla urbana, rievocando in lui le immagini dei torridi campi di battaglia in Vietnam. Quando Travis decide di liberare una giovane prostituta dal suo aguzzino, lo fa compiendo una vera azione di guerra. Il reduce inserito nella follia metropolitana reagisce a questa nel solo modo che conosce, con un atto violento e devastante. Nel finale Travis è acclamato dalla stampa come un eroe, ha raggiunto lo scopo per cui si era inizialmente arruolato: combattere per una giusta causa. Finalmente può lasciarsi indietro il passato e iniziare così una nuova vita.

 

Il Vietnam Movie inizia così un percorso verso il recupero dell’integrità dei reduci, giovani vittime della mitizzazione dell’eroismo dettato dalle incredibili narrazioni cinematografiche sulla Seconda guerra mondiale antecedenti al reclutamento del Vietnam. Esattamente come i protagonisti de Il Cacciatore, un gruppo di amici separati dalla guerra.

 

Il film si focalizza su Mike, un grande appassionato della caccia di tipo “Hemingwayano”, cioè basata sulla lealtà dell’unico colpo poiché il cervo non possiede armi per difendersi a sua volta. Il tema della caccia ricorre per tutto il film e si trasforma simbolicamente in un rito virile strettamente connesso all’esperienza della guerra, per poi essere respinto alla fine della pellicola. Al suo ritorno finisce per identificarsi con il cervo realizzando che entrambi sono costantemente in balia del prossimo cacciatore. Verso la fine emergono anche le difficoltà con chi è rimasto a casa. Nessuno è intenzionato a discutere il significato dell’impegno militare in Vietnam, percepito già in partenza come inutile e sbagliato, ma qui il protagonista ottiene la sua riabilitazione sociale a un funerale quando intonano insieme le prime strofe di “God Bless America”. L’unico tipo di comunicazione che riesce a manifestare un gruppo di individui travolti senza motivo dalla storia. Un richiamo al War Film classico, privato del suo intento celebrativo. Il film sembra quindi offrire una soluzione al bisogno di speranza della popolazione statunitense tramite la ricostruzione dell’identità nazionale ripartendo dal ricordo di chi è scomparso.

 

Un altro film interessante è Tornando a Casa che si focalizza sugli effetti psicologici dei reduci contrapponendo due modelli di ex marines, Bob e Luke, uniti unicamente dall’affetto per una donna, Sally. Entrambi i personaggi tornano danneggiati, ma effettuano scelte drasticamente opposte. La Post Vietnam Syndrome mina per Bob ogni possibilità di reagire alla vita e alla fine sceglierà di purificare la propria anima nel solo modo che conosce: togliendosi la vita. Luke, invece, è il portatore di valori nuovi che esclude a priori la guerra. Per questo Sally si troverà divisa tra il suo matrimonio, un passato impossibile da ricostruire e l’attrazione per Luke, la possibilità di un futuro diverso. Simbolicamente la stessa degli Stati Uniti rispetto alla guerra appena conclusa. Quando Sally sceglie Luke, ci viene offerto un messaggio di speranza per il futuro della nazione.

 

Il giudizio sul Vietnam è lapidario. La differenza tra il conflitto vietnamita e la seconda guerra mondiale è immensa. Questi personaggi si distaccano totalmente dalla narrazione mitica della figura del veterano, il quale ricorda la vittoria conquistata e attira su di sé l’ammirazione e il rispetto di tutta la nazione. Sono dei reduci. Rispetto alla figura del veterano, quella del reduce appare sminuita e ridotta perché rappresenta il simbolo della sconfitta subita, l’unica ad aver causato dei risultati così disastrosi sull’identità statunitense.

 

La fine degli anni Settanta propone un nuovo modello rappresentativo col fine di svelare le fondamenta fittizie del tanto celebrato mito americano. La nazione richiedeva un racconto più chiaro per comprendere la complessità di una guerra percepita distante non solo geograficamente ma anche politicamente, talmente devastante da cambiare le vite di ogni singolo cittadino americano. Le produzioni hollywoodiane in questo contesto così profondamente cambiato intraprendono un processo di “smascheramento” della realtà della guerra partendo dalle storie dei suoi protagonisti e cercando così di ricostruire l’autorità e la credibilità degli Stati uniti all’estero e soprattutto verso sé stessi.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

G. King, New Hollywood Cinema. An Introduction, I.B. Tauris & Co., London, 2002, trad. it., La Nuova Hollywood: dalla rinascita degli anni Sessanta all’era dei blockbuster, Giulio Einaudi Editore, Torino 2004

S. Ghislotti, S. Rosso (a cura di), Vietnam e ritorno: la guerra sporca nel cinema, nella narrativa, nel teatro, nella musica e nella cultura bellica degli stati uniti, Marcos y Marcos, Roma 1996, Vol. 11.

Shary, Timothy, Millennial Masculinity, Wayne State University Press, 2012.

J. Steven, Ross, ed., Movies and American society, Blackwell, Oxford 2002.

S. Rosso, Musi gialli e Berretti Verdi: narrazioni USA sulla guerra del Vietnam, Edizioni Sestante, Bergamo 2003.

Dittmar, Linda, From Hanoi to Hollywood: the vietnam war in American Film, Rutgers University Press, 1990.

 

Filmografia:

 

Berretti Verdi (The Green Berets) di John Wayne, 1968.

Taxi Driver di Martin Scorsese, scritto da Paul Schrader, 1976

Il Cacciatore (The Deer Hunter) di Michael Cimino, 1978.

Tornando a Casa (Coming Home) di Hal Ashby, 1978. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]