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N. 119 - Novembre 2017 (CL)

La Guerra dei Trent’anni
L’ultima guerra RELIGIOSa

di Manuel Brunati

 

La storia del continente europeo è stata segnata per secoli da conflitti grandi e piccoli che ne hanno plasmato la geografia politica. Tra le guerre che si sono combattute, alcune hanno avuto un’importanza decisamente superiore alle altre in termini di estensione, numero degli attori coinvolti e conseguenze immediate e remote, al punto che taluni teorici delle relazioni internazionali parlano di questi conflitti come di “guerre costituenti”. Questa definizione si adatta bene al conflitto di cui si parla di seguito: la Guerra dei Trent’anni.

 

Le cause remote della guerra sono da ricercarsi all’interno del Sacro Romano Impero, attanagliato da profonde divisioni in campo religioso. A partire dalla fine del Concilio di Trento (1545-1563), in Germania ebbe inizio una vasta controffensiva della Chiesa cattolica volta a riconquistare le anime dei cristiani tedeschi che avevano aderito alla Riforma protestante. In questa missione un ruolo di punta fu esercitato dai chierici della Compagnia di Gesù, i quali si dedicarono con particolare attenzione all’educazione e all’assistenza spirituale di principi e aristocratici tedeschi. Accanto alla vigorosa azione gesuitica di riconversione, negli stessi anni un altro motivo di tensione era dovuto al diffondersi, in particolare in Boemia e Ungheria, della dottrina calvinista, credo protestante che però non era stato contemplato negli accordi di Augusta, stipulati nel 1555 tra l’imperatore Carlo V e i principi tedeschi per garantire la pace religiosa nel Sacro Romano Impero.

 

I successori di Carlo, ossia il fratello Ferdinando I (1556-1564) e i di lui discendenti, suo figlio Massimiliano II (1564-1576) e suo nipote Rodolfo II (1576-1612), avevano rispettato gli accordi di Augusta. Addirittura Rodolfo II, con la Lettera di Maestà del 1609, aveva accordato piena libertà di culto ai protestanti boemi, i quali ormai rappresentavano in quel regno la maggioranza della popolazione. Nonostante queste concessioni tese a smorzare i toni dello scontro nei primi anni del Seicento, si erano comunque formate, tra i principi e le città imperiali, leghe contrapposte basate sulla comune confessione religiosa: da un lato i protestanti, preoccupati e infastiditi per l’azione dei Gesuiti, formarono l’Unione Evangelica con a capo Federico IV del Palatinato, calvinista. Contro di loro si costituì la Lega cattolica guidata dal duca Massimiliano di Baviera.

 

La situazione peggiorò nel momento in cui il successore di Rodolfo II, il fratello Mattia (1612-1619), prese la decisione di non rispettare la Lettera di Maestà. A Mattia, ormai vecchio e privo di eredi diretti, sarebbe dovuto succedere il cugino Ferdinando II, cattolico intransigente educato dai gesuiti, il che non faceva sperare che i contrasti si sarebbero appianati tanto facilmente. Anzi, i tentativi di Mattia di reprimere il culto calvinista in Boemia furono alla base di rivolte della locale popolazione protestante: il 23 maggio 1618 i protestanti assalirono il castello reale a Praga gettando dalla finestra i rappresentanti cattolici degli Asburgo. Questo fatto, ricordato come la Defenestrazione di Praga fu seguito l’anno dopo, alla morte di Mattia, dal rifiuto del popolo boemo di riconoscere Ferdinando, che nel frattempo aveva cinto la corona imperiale, come nuovo re di Boemia. Al sovrano asburgico fu preferito il protestante Federico V del Palatinato.

 

La parola passò così alle armi e si risolse, l’8 novembre 1620, in una totale disfatta degli insorti alla battaglia della Montagna Bianca, che vide il trionfo dell’esercito cattolico comandato dall’ottimo Johann Tserclaes, conte di Tilly, sostenuto dai temuti tercios, i reggimenti di fanteria inviati a supporto degli imperiali dagli Asburgo sovrani di Spagna. La Boemia fu rioccupata dalle forze catto-imperiali e sottoposta a una sistematica opera di riconversione forzata della popolazione al cattolicesimo. Contemporaneamente veniva occupato il Palatinato, costringendo alla fuga Federico V.

 

La minaccia di una possibile instaurazione di un’egemonia degli Asburgo, padroni dei troni imperiale e spagnolo, spinse all’intervento altre potenze protestanti, come la Danimarca e le Province Unite, queste ultime da decenni in lotta contro la Spagna per la propria indipendenza da Madrid. Il re danese Cristiano IV entrò in guerra nel 1625, ma le sue velleità di conquista vennero duramente stroncate dalle forze imperiali sempre sotto il comando del Conte di Tilly e di un altro valente condottiero al servizio dell’Impero, Albrecht von Wallenstein.

 

Tilly e Wallenstein sconfissero ripetutamente le armate danesi costringendo Cristiano IV a ritirarsi dalla guerra nel 1629. In quello stesso anno, forte dei successi dei suoi eserciti, Ferdinando II emanava l’Editto di Restituzione, con il quale intimava ai principi protestanti la restituzione dei beni ecclesiastici secolarizzati prima del 1552. Si trattava di un atto emanato senza il consenso della Dieta imperiale che calpestava i diritti dei protestanti garantiti dalla stessa pace di Augusta del 1555. A risollevare le sorti del fronte protestante intervenne però la Svezia di Gustavo II Adolfo, che il 6 luglio del 1630 sbarcò in Pomerania alla testa del suo esercito.

 

Re Gustavo era un condottiero di qualità eccezionali, tanto che persino Napoleone Bonaparte ne elogerà le doti, un paio di secoli dopo. Gustavo Adolfo di Svezia aveva introdotto profonde trasformazioni alla macchina militare svedese, tali da rendere il proprio Paese la potenza egemone nell’area baltica. Le riforme del sovrano scandinavo diedero vita a un’armata composta non da mercenari ma da sudditi arruolati con un sistema basato sulla coscrizione obbligatoria, il che rese quello svedese un esercito dotato di una coesione e uno spirito di corpo decisamente superiore a quelli dei suoi avversari. Gustavo Adolfo si prodigò affinché che i soldati fossero sottoposti ad un addestramento intensivo, in modo da essere in grado eseguire molteplici manovre tattiche sul campo di battaglia. A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che fu incrementato il numero dei fanti armati di moschetto rispetto a quelli armati di picca, il che conferiva alle brigate svedesi una potenza di fuoco maggiore.

 

Gli svedesi, congiuntisi ai sassoni, sconfissero gli imperiali a Breitenfeld il 17 settembre 1631, aprendosi la strada verso il cuore della Germania, e poi di nuovo a Lützen, dove però Gustavo Adolfo morì in combattimento, lasciando senza guida l’armata svedese, che, rimasta in territorio nemico, venne sconfitta a Nördlingen, in Baviera, segnando l’uscita di scena della Svezia dal conflitto. La vittoria portò Ferdinando II a stipulare con i principi protestanti la pace di Praga del 30 maggio 1635, con la quale chiudere finalmente una fase di lotte politiche e religiose interne alla compagine imperiale che duravano ben diciassette anni.

Dopo la pace di Praga, il timore mai sopito della Francia di rivivere l’accerchiamento da parte degli Asburgo, come era accaduto ai tempi di Carlo V, spinsero Luigi XIII e il suo potente primo ministro, il cardinale Richelieu, a intervenire direttamente nel conflitto, dopo avere già sostenuto a lungo la causa protestante, fornendo per esempio supporto agli svizzeri nel loro sforzo di rintuzzare i tentativi spagnoli di impadronirsi della Valtellina.

 

L’intervento della Francia, potenza cattolica, contro la coalizione ispano-imperiale, metteva chiaramente in luce come le motivazioni religiose della guerra contassero assai meno delle ben più concrete ambizioni egemoniche dei contendenti. L’entrata in guerra della Francia mutò gli equilibri della guerra che iniziarono a essere sfavorevoli agli Asburgo, le cui armate subirono una sconfitta decisiva il 19 maggio 1643 a Rocroi, nelle Ardenne, ad opera dell’esercito transalpino guidato da Luigi di Borbone, detto il Gran Condè, Maresciallo di Francia.

 

La sconfitta degli ispano-imperiali portò finalmente i belligeranti, stanchi di un conflitto che si trascinava da ormai tre decenni, a intavolare trattative di pace. Nel 1648 furono firmati i trattati di Münster e di Osnabrück, collettivamente conosciuti come Pace di Vestfalia. Essa chiuse la stagione delle guerre di religione in Europa, sanzionando in modo irrevocabile il fallimento asburgico di dare coesione alla compagine imperiale e di ricondurre al cattolicesimo le regioni tedesche che avevano abbracciato la Riforma.

 

I due blocchi, cattolico e protestante, rinunciarono definitivamente l’uno a convertire o a riconvertire l’altro. La pace di Vestfalia riconobbe la definitiva indipendenza delle province Unite, che si avviano a diventare la maggiore potenza economica e commerciale d’Europa, oltre che l’egemonia regionale della Svezia nel Baltico, che durerà fino all’affermazione della potenza russa all’inizio del XVIII secolo. Proseguì ancora per un decennio la guerra franco-spagnola, che terminerà nel 1659 con la Pace dei Pirenei, che farà della Francia del giovane Luigi XIV la potenza egemone del continente al posto della Spagna

La guerra dei trent’anni rappresenta l’ultimo tentativo, fallito, di realizzare l’unità politica e religiosa del continente europeo sotto lo scettro imperiale. Al contrario con la pace di Vestfalia si afferma il principio secondo il quale ogni stato si proclama indipendente e sovrano non riconoscendo alcuna fonte di autorità superiore alla propria, il che riduce l’Impero a una finzione giuridica. Questo principio della convivenza internazionale è tuttora alla base dell’attuale sistema degli stati, tanto che si parla ancora oggi di “sistema internazionale vestfaliano”.



 

 

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