N. 119 - Novembre 2017
(CL)
La guerra civile NEL sud sudan
il conflitto dimenticato dai media
di Alessandro Di Meo
I media occidentali negli ultimi mesi hanno seguito con attenzione le complesse dinamiche geopolitiche dell’Estremo Oriente scaturite dalle intemperie lanciate dal governo della Corea del Nord contro gli Stati Uniti e i suoi alleati nell’area (Corea del Sud, Giappone e Taiwan); le fasi finali della guerra contro lo Stato Islamico in Siria, segnata dalla riconquista delle città di Mosul e Raqqa; le vicende interne del Venezuela, attraversato da una gravissima crisi economica e sociale.
Hanno
tuttavia
completamente
trascurato
le
guerre
in
corso
in
numerosi
stati
africani,
come
la
Repubblica
Centrafricana
o la
Repubblica
Democratica
del
Congo;
tra
questi
conflitti
dimenticati
si
può
senz’altro
annoverare
la
guerra
civile
che
da
qualche
anno
sta
devastando
il
Sud
Sudan.
La
Repubblica
del
Sud
Sudan
è
stata
proclamata
in
seguito
al
referendum
svoltosi
nel
gennaio
del
2011,
dove
la
quasi
totalità
dei
votanti
ha
sancito
la
separazione
dal
Sudan;
non
si è
trattato
di
un
processo
pacifico,
in
quanto
fin
dagli
anni
Sessanta
del
secolo
scorso
sono
state
combattute
due
guerre
civili
tra
l’esercito
sudanese
e le
Forze
di
Liberazione
Popolare
del
Sudan
(Sudan
People’s
Liberation
Army),
l’ultima
delle
quali
conclusasi
nel
2004
con
la
pace
di
Naivasha,
con
cui
si
stabilirono
le
modalità
per
lo
svolgimento
del
referendum
indipendentista.
Le
cause
della
guerra
civile
sudanese
sono
state
di
natura
etnica
e
religiosa,
in
quanto
la
popolazione
del
Sudan
è
prevalentemente
musulmana,
mentre
le
regioni
meridionali
sono
a
maggioranza
cristiana
e
animista,
ma
hanno
ricoperto
un
ruolo
fondamentale
anche
le
motivazioni
economiche,
perché
l’economia
del
paese
si è
retta
principalmente
sulle
esportazioni
del
petrolio
raccolto
nei
ricchissimi
giacimenti
delle
province
del
sud.
La
dichiarazione
d’indipendenza
non
ha
sciolto
alcune
pendenze
rimaste
insolute
con
il
governo
di
Khartoum,
tra
le
quali
la
ripartizione
dei
proventi
del
petrolio
– la
maggior
parte
delle
raffinerie
attive
sono
in
Sudan
– e
l’attribuzione
della
provincia
di
Abyei,
etnicamente
affine
al
Sud
Sudan
ma
ancora
annessa
alla
madrepatria;
inoltre,
la
repubblica
democratica
del
sud
ha
una
rete
infrastrutturale
estremamente
carente
e
non
ha
sbocchi
al
mare,
un
aspetto
che
ne
compromette
gravemente
lo
sviluppo
economico
perché
non
permette
l’esportazione
autonoma
delle
risorse.
Il
Sud
Sudan
è
una
repubblica
presidenziale
con
una
popolazione
stimata
intorno
ai
dodici
milioni
di
abitanti
che
pratica
un’economia
di
sussistenza
prevalentemente
rurale.
Essa
è
suddivisa
in
varie
etnie
tra
le
quali
spiccano
per
densità
demografica
le
popolazioni
Dinca,
Nuer,
Shilluk
e
Acholi;
il
paese
è
una
federazione
di
dieci
Stati
componenti
le
tre
macroregioni
dell’Alto
Nilo,
che
segna
il
confine
orientale,
di
Bahr
al-Gazal
a
occidente
e di
Equatoria
lungo
il
confine
meridionale.
La
guerra
civile
è
scoppiata
nel
dicembre
del
2013
in
seguito
alla
destituzione
del
vicepresidente
Riek
Machar,
di
etnia
Nuer,
voluta
dal
Presidente
Salva
Kiir,
di
etnia
Dinka;
le
tensioni
etniche
tra
le
due
popolazioni,
acutizzate
dalle
vicende
politiche,
hanno
portato
a
numerosi
scontri
tra
l’Esercito
di
Liberazione
e le
forze
militari
fedeli
all’ex
vicepresidente
che,
partendo
dalla
capitale
Juba,
si
sono
diffuse
in
tutto
il
paese.
La
situazione
è
stata
ulteriormente
aggravata
dalle
ingerenze
dei
paesi
confinanti
con
il
Sud
Sudan
che
sono
intervenuti
nel
conflitto
per
estendere
il
proprio
controllo
sul
Corno
d’Africa
– in
questo
caso,
lo
scontro
principale
è
tra
l’Etiopia
e
l’Uganda
– e
sul
Nilo,
con
la
contrapposizione
tra
Etiopia
e
Sudan;
in
generale,
le
antiche
tensioni
tra
il
Sudan
e
l’Uganda
hanno
spinto
il
governo
ugandese
a
sostenere
la
secessione
del
Sudan
del
Sud
e ad
appoggiarne
il
presidente
Kiir,
che
ha
ricevuto
aiuti
anche
dai
movimenti
separatisti
del
Darfur
(anch’essi
in
guerra
con
il
governo
di
Karthoum),
mentre
a
fianco
del
vicepresidente
deposto
è
intervenuta
l’Etiopia,
che
nell’ultimo
decennio
sta
assumendo
sempre
più
decisamente
un
ruolo
egemone
nel
Corno
d’Africa,
come
emerso
dalle
incursioni
effettuate
in
Somalia
contro
gli
integralisti
islamici
di
Al-Shabab
a
partire
dal
2006.
Nell’agosto
2015,
in
seguito
alle
pressioni
della
Comunità
Internazionale
sul
governo
sud-sudanese,
le
parti
in
conflitto
riuscirono
a
raggiungere
un
accordo
e
stipularono
una
tregua,
che
permise
a
Machar
di
rientrare
a
Juba
e di
avviare
le
trattative
per
la
formazione
di
un
governo
di
transizione,
ma
le
ingerenze
delle
vicine
potenze
regionali
e le
tensioni
politiche
sostenute
dai
seguaci
di
Kiir
e di
Machar
hanno
bloccato
il
processo
di
pace
e
nel
luglio
2016
si
sono
riaperte
le
ostilità.
La
pericolosità
di
questo
conflitto
deriva
dal
fatto
che
potrebbe
estendersi
ad
altri
stati
confinanti
con
il
Sud
Sudan
e
degenerare
in
una
guerra
etnica,
con
il
genocidio
di
intere
popolazioni,
aggravata
dalle
devastazioni
compiute
nella
regione
meridionale
di
Equatoria,
il
granaio
del
paese,
causa
di
una
carestia
resa
ancora
più
drammatica
dal
razionamento
degli
aiuti
gestiti
dal
World
Food
Programme
per
fare
fronte
al
continuo
aumento
dei
profughi.
I
circa
dodicimila
Caschi
blu
dell’Onu
inviati
nel
paese
non
sono
in
grado
di
contenere
le
milizie
in
conflitto
e
hanno
istituito
siti
protetti
per
i
rifugiati
che
al
momento
accolgono
quasi
cinque
milioni
di
sfollati.
Nel
febbraio
2017,
l’Onu
aveva
diramato
un
comunicato
con
cui
si
sosteneva
che
il
paese,
grazie
agli
aiuti
umanitari,
era
ufficialmente
uscito
dalla
carestia,
ma
nell’estate
l’emergenza
è
riemersa
ed è
a
livelli
critici
in
alcune
regioni
dell’area
centro-settentrionale,
al
confine
con
la
Repubblica
Centrafricana;
l’economia
del
paese,
già
sottosviluppata,
è
stata
ulteriormente
compromessa
dalle
spese
di
guerra,
che
hanno
provocato
un’iperinflazione
–
stimata
intorno
al
400%
– e
hanno
bloccato
le
esportazioni.
Alle
contrapposizioni
etniche
si
stanno
aggiungendo
anche
le
motivazioni
religiose,
perché
le
minoranze
islamiche,
sostenute
finanziariamente
dai
paesi
della
penisola
arabica,
stanno
sviluppando
un
proselitismo
aggressivo
ai
danni
delle
comunità
cristiane
e
animiste,
con
l’edificazione
di
moschee
in
numerosi
centri
abitati;
si
tratta
al
momento
di
aspetti
minoritari
se
confrontati
con
i
violentissimi
scontri
che
imperversano
nel
paese,
ma
potrebbero
aggravare
una
situazione
già
al
limite
se
non
vigilati.
La
guerra
civile
nel
Sud
Sudan,
praticamente
ignorata
dai
media
occidentali,
è
una
polveriera
che
rischia
di
deflagrare
se
non
vengono
prese
subito
delle
contromisure;
l’Onu,
al
momento,
non
sembra
in
grado
di
fermare
la
pulizia
etnica
in
corso
nel
paese,
che
ne
sta
disarticolando
il
tessuto
sociale,
con
il
rischio
sempre
più
concreto
che
si
ripetano
gli
eventi
accaduti
in
Ruanda
nel
1994.