N. 83 - Novembre 2014
(CXIV)
LA GUERRA DEI POVERI
Dalla Russia alla Liberazione
di Valentino Appoloni
Nuto
Revelli,
autore
per
Einaudi
di
La
guerra
dei
poveri,
partecipa
giovanissimo
alla
spedizione
in
Russia
del
1942
accanto
ai
Tedeschi;
è
tra
gli
alpini.
Già
durante
l’addestramento
a
Modena
circolavano
voci
sulla
scarsa
preparazione
dell’esercito
che
in
Grecia
e
Albania
aveva
pagato
uno
scotto
alto,
nonostante
il
regime
fascista
cercasse
di
celare
i
rovesci
militari.
Revelli
vuole
sapere
la
verità;
desidera
vedere
da
vicino
le
cose.
Chiede
energicamente
di
partire
per
il
fronte
e
ottiene,
non
senza
fatica,
di
far
parte
del
corpo
italiano
mandato
da
Mussolini
contro
Stalin.
Nell’immenso
paese
invaso
vede
effettivamente
la
realtà:
gli
uomini
sono
mandati
all’attacco
come
nel
1915,
con
scarsa
protezione
di
artiglieria,
le
armi
sono
antiquate,
le
bombe
spesso
non
esplodono.
L’alleato
germanico
si
impadronisce
con
arroganza
delle
riserve
italiane
di
carburante;
gli
abusi
sono
subiti
senza
autentiche
reazioni.
Quando
Revelli
lascia
le
prime
linee
per
farsi
curare
una
ferita,
ha
modo
di
vedere
la
corruzione
che
opera
nelle
retrovie.
I
beni,
gli
equipaggiamenti,
le
medicine,
tutto
è
oggetto
di
mercimonio;
mentre
al
fronte
i
soldati
affrontano
il
gelo
privi
di
difese
accettabili,
altrove
c’è
chi
si
arricchisce,
in
un
contesto
che
dà
l’idea
di
un
sistema
di
connivenza
e
complicità
molto
esteso.
La
ritirata
inizia
e i
Tedeschi
lasciano
alle
divisioni
italiane
l’onere
di
affrontare
i
Sovietici
come
retroguardia.
Il
freddo,
la
stanchezza,
gli
attacchi
del
nemico
provocano
scompiglio
e
confusione.
Molti
soldati
si
sbandano;
Revelli
e il
suo
battaglione
non
cedono
e
vanno
regolarmente
a
spezzare
l’accerchiamento
russo.
Perché
non
lasciano
le
armi
come
altri
che
gettano
il
fucile
e si
trascinano
avanti
pensando
solo
a se
stessi?
Per
varie
ragioni:
dignità,
senso
del
dovere,
motivi
pratici,
volontà
di
far
vedere
ai
Tedeschi
di
saper
combattere.
I
rapporti
con
le
armate
di
Hitler
durante
la
ritirata
diventano
pessimi
e
spesso
si
rischia
lo
scontro
a
fuoco.
Alla
fine
un
ufficiale
alpino
dirà:
“I
nostri
rapporti
con
i
tedeschi
sono
tornati
quelli
del
1915”.
Il
giovane
è
profondamente
scosso
ma
anche
maturato
da
questa
drammatica
esperienza;
si
può
dire
che
la
campagna
di
Russia
fu
la
sua
Università.
Capì
che
il
regime
non
meritava
appoggio
e
fedeltà
e
che
dietro
alle
parole
roboanti
c’era
il
nulla.
L’8
settembre
coglie
Revelli
in
Italia.
Tenta
di
convincere
alcuni
alti
ufficiali
a
battersi
contro
i
nazisti,
ma
con
pochi
risultati.
Non
resta
che
rifugiarsi
in
montagna
dove
nascono
le
prime
formazioni
partigiane.
Vuole
farla
finita
con
i
fascisti
e i
loro
alleati.
Il
colore
politico
dei
partigiani
lo
appassiona
poco;
preferisce
organizzare
il
lato
attivistico.
Soprattutto
ci
tiene
che
i
suoi
uomini
vincano
il
complesso
di
inferiorità
con
i
nemici.
Qui
il
libro
diventa
il
libro
dell’orgoglio
italiano
e
offre
le
pagine
più
emozionanti;
per
il
giovane
militare
non
basta
sabotare
e
fare
qualche
colpo
di
mano.
Bisogna
combattere
e
mostrare
con
le
armi
la
forza
etica
del
soldato
italiano.
Durante
un
rastrellamento,
la
formazione
di
Revelli
ha
modo
di
infliggere
grosse
perdite
agli
avversari
arrivati
in
gran
numero
in
montagna.
Pestare
i
tedeschi,
ripete
il
reduce
di
Russia.
Vengono
poi
momenti
durissimi;
una
grave
ferita,
il
periodo
trascorso
in
Francia,
la
difficoltà
di
farsi
rispettare
dai
Francesi
che
pensano
già
ad
annettersi
alcune
valli
italiane
e
dagli
Americani
che
cercano
di
usare
i
partigiani
in
iniziative
improvvisate
e
fallimentari.
Poi
si
arriva
agli
ultimi
giorni
di
guerra,
nell’Aprile
1945.
A
Cuneo
i
Tedeschi
combattono
ancora
e
Revelli
raggiunge
trepidante
la
città
dove
vivono
i
suoi
genitori.
Qui
il
drammatico
si
muta
in
grottesco.
I
partigiani
si
muovono
nelle
strade
del
centro,
ma i
presìdi
fascisti
cedono
senza
sparare.
Il
nemico
butta
le
armi.
I
fascisti
dicono
infatti:
“Siamo
partigiani”.
Allora
i
veri
partigiani,
attoniti,
chiedono:
“Da
quanto?”.
Risposta:
“Da
adesso”.
Si
sale
già
sul
carro
del
vincitore,
in
modo
sfacciato.
Si
passa
dal
dramma
alla
commedia
in
pochi
atti,
ma
almeno
la
guerra
è
finita
e
dopo
mille
sofferenze
si
può
voltare
pagina.