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N. 15 - Agosto 2006

LA GUERRA DEL POPOLO SCONOSCIUTA

Quello che oggi rimane del Nepal

di Laura Novak

 

Nel 2001 un massacro passato sulle pagine dei giornali del mondo asiatico ha tracciato definitivamente il futuro di un paese. Il principe Dipendra, discendente legittimo del re nepalese Birendra, entra nel palazzo reale e, secondo i certificati medici post-mortem, annebbiato da alcool e droga, uccide a fucilate il re, la madre regina e otto tra fratelli e parenti sempre di stirpe reale, oltre a più di 100 persone di servizio, per poi suicidarsi.

 

Pochi sopravvissuti, solo uno dei fratelli del sovrano con la sua famiglia, Gyanendra. L’ironia del destino lo vuole in vacanza proprio mentre suo nipote compiva la strage. Destino, che molti dicono sia stato forzato… sospetti che il suo temperamento tirannico hanno da sempre certamente alimentato.

 

Inizia quindi per il Nepal una nuova fase monarchica. Fin da subito Gyanendra, impaziente di diventare re in carica,  inizia a discostarsi dall’esercizio del potere monarchico democratico del suo predecessore. Una grande campagna elettorale, tour politici nelle aree più isolate e povere del Nepal si susseguono da parte del re senza sosta, mentre i gruppi Indipendisti di Formazione Maoista continuano il loro rafforzamento iniziato da anni e la loro opposizione alla monarchia, in quanto forma di governo abietta e anticostituzionale. Le lotte tra i guerriglieri e l’esercito reale iniziano a farsi sempre più frequenti e cruenti.

 

Nel 2005 poi il colpo di stato. Gyanendra, per risolvere senza mezzi termini la situazione interna con i gruppi dissidenti, liquida senza tanti pretesti inutili Parlamento e organi costituzionali legittimi, e inizia una serie di clamorosi arresti ai danni dei suoi avversari politici. Da re quindi si trasforma in un tiranno, con un gabinetto alle spalle formato esclusivamente da suoi fedelissimi e con l’emanazione di norme e leggi che limitano profondamente, da quel momento in poi, la libertà del popolo: libertà di espressione, di manifestare, di stampa, di aggregazione politica tutte sospese, annullate, come se non fossero mai esistite.

 

E’ da questo momento che la situazione politica del Nepal, già dal 1996 in balia di disordini e guerriglie urbane chiamata “Guerra del Popolo”, precipita.

 

I maoisti nepalesi che da anni lottano per la formazione di uno stato comunista sulla scia della Cina a loro così vicina, hanno iniziato l’organizzazione di un vero e proprio esercito per contrastare l’ondata di tirannia che Gyanendra ha portato con sé. Giorno dopo giorno eventi violenti, manifestazioni pacifiche trasformate in massacri, sparizioni di uomini politici tradizionalisti che proteggono la monarchia, rapimenti e sevizie, si sono susseguiti creando, secondo un recente rapporto di Amnesty International, una voragine di vite umane perse incalcolabile, considerando anche il fatto che da sempre le donne non hanno diritto alla nascita alla cittadinanza fin dalla nascita, ma la posso ottenere solo in seguito al matrimonio o alla segnalazione di un familiare stretto.

 

In un anno di assolutismo dal 2005 al 2006, la stima dei danni compiuta dalla cosiddetta “guerra del popolo”, iniziata nel 1996 dal Partito Comunista Nepalese Maoista, e inasprita dal colpo di stato di Gyanendra, è enorme. Non solo, infatti, i diritti umani principali sono stati calpestati, ma l’economia è allo sfacelo, e una delle poche certezze economiche del paese, l’afflusso dei turisti, è in costante discesa.

 

Non sono servite a molto le elezioni amministrative indette dal sovrano-tiranno nel febbraio del 2006, in cui quasi 1 milione di persone era chiamata a eleggere il proprio sindaco. Il suo tentativo di legittimare, con elezioni piuttosto velate di sospetto di inganno, il suo potere oppressivo e aggressivo ha rivelato al mondo la sua paura di essere detronizzato e dal risultato farsa ottenuto, una vittoria scontata del suo partito, dopo aver in qualche modo costretto la maggior parte dei suoi avversari al ritiro dalla scena elettorale, si sono accese nuove e violente reazioni popolari.

 

Il partito maoista, e soprattutto il suo leader Prachanda, ha accresciuto in pochissimo tempo il loro consenso popolare, riunendo nella stessa lotta vari strati della società nepalese. I bilanci dei morti nella battaglie tra esercito regolare rimasto fedele al sovrano e guerriglieri è andato ad aggravarsi giorno per giorno: quotidianamente 50, 60 morti, per la maggior parte civili, durante manifestazioni diurne non approvate e oltre il coprifuoco dettato dal regime. Per non parlare poi degli arresti non giustificati, delle sparizioni e delle morti non denunciate per sevizie post arresto.

 

Il 21 aprile 2006 dopo quindici giorni di scontri con il popolo ormai in rivolta piena, il sovrano Gyanendra ha deciso di cedere il potere esecutivo ai partiti. A loro è stato affidato il compito di riunirsi per indicare un nuovo governo e un nuovo primo ministro. La scelta è ricaduta su Girija Koirala che, a capo del maggior dei sette partiti nazionali, il Partito del Congresso Nepalese, ha guidato in prima linea la lotta contro il monarca usurpatore. La situazione è quindi in via di normalizzazione.

 

Il leader Prachanda ha annunciato, subito dopo la notizia della prima seduta del nuovo governo, di voler trovare la strada per una tregua. Secondo Prachanda lo scopo della guerriglia rimane quello di assoluta abolizione della monarchia e detronizzazione del re, per la creazione di una Repubblica Democratica, che rispetti i diritti umani.

 

Il governo nel frattempo ha compiuto i suoi primi passi, creando l’Esecutivo, un governo formato da 7 ministri, coprendo tutti e sette i partiti principali nepalesi.

I nuovi ministri hanno tutti, nel maggio di quest’anno, prestato giuramento davanti a Koirala, capo del governo, e non al re. Questo sembra essere un gesto di grande rottura con il passato, considerando il fatto che il re secondo la credenza nepalese è la reincarnazione del dio Vishnu.

 

Un nuovo governo quindi che rappresenti il Nepal in quanto stato autonomo da poteri assolutisti. Il suo lavoro sarà prima di ogni cosa una nuova costituzione che sancisca quei diritti fondamentali inalienabili dell’uomo e che limiti notevolmente l’influenza del re nelle questioni politiche, militari e sociali.

 

I maoisti, prima considerati dalle autorità terroristi, chiedono ora che la monarchia sia in maniera definitiva abrogata e che possano avere anche loro, in qualità di partito, il Partito nepalese Maoista, un ruolo politico di rilievo.

 

Richiesta che dopo innumerevoli trattative ha trovato riscontro nel mese di giugno, quando l’incontro tra Prachanda e Koirala ha portato al redigere un accordo tra le due fazioni di ben otto punti, in cui non solo si organizza un nuovo governo e parlamento, in cui il partito maoista avrà il suo ruolo politico, ma in cui si acconsente anche all’entrata in campo delle nazioni unite per il rafforzamento della pace, a nuove elezioni popolari, a un sistema multipartitico democratico e al ripristino delle libertà fondamentali per il popolo nepalese.

 

Tra il redigere e l’applicare, certo, non manco ostacoli di comunicazione tra i due. Ostacoli che giorno per giorno vengono alla luce, ma che quotidianamente si cerca di risolvere per garantire l’evoluzione di quel processo di dialogo ormai innescato.

 

In questi lunghi anni di lotte intestine e guerriglie, semi nascoste dalla stampa internazionale, il popolo himalayano ha vissuto la solitudine, l’abbandono. Le notizie che provenivano dal paese, soprattutto durante l’assolutismo monarchico, erano frammentarie e distorte dal regime. L’opinione pubblica mondiale ben poco sapeva. Ma di sicuro, come spesso succede per paesi considerati “del sud del mondo” cioè la parte più povera dell’emisfero, non molto ha fatto quell’opinione pubblica per sapere.

Quei raid notturni militari dell’esercito regolare contro sospetti comunisti, quelle spedizioni punitive dei maoisti contro presunti associati al regime, quelle manifestazioni finite nel sangue rimanevano nell’ombra.

Il 28% della popolazione, secondo le organizzazione umanitarie che danno soccorso nella zona, è tossicodipendente e soffre di gravi disturbi psichici. Più della metà dell’intera popolazione vive molto al di sotto la soglia della povertà e l’aspettativa di lunghezza di vita è fino ai 58 anni. I diritti fondamentali dei nepalesi, per la maggior parte pastori o agricoltori, sono stati ignorati per anni da entrambe le fazioni in lotta. I carnefici non stanno sicuramente solo da una parte, mentre purtroppo le vittime sono sempre le stesse. I villaggi distrutti dall’esercito in cerca di maoisti, incendiati, minati dai ribelli per controllare il passaggio dei carri armati militari…e le vittime sempre quelle, donne, bambini e innocenti.

 

Sono stati anni in cui il terrore e la segregazione li ha portati alla perdita della coscienza nazionale e alla disillusione circa una soluzione possibile. Nessuna possibilità di espressione.

 

Ad oggi certo nessuno può prevedere se questa debole speranza di accordo che si sta intravedendo in questi giorni, nonostante si vivano ancora fasi alterne, potrà portare al raggiungimento di una stabilità. Di sicuro c’è che proprio nessuno potrà ridare alle famiglie nepalesi i bambini torturati, i figli scomparsi, gli anni di galera non dovuti, l’isolamento culturale e l’indifferenza mondiale che sono stati i veri protagonisti di questi ultimi anni di storia del Nepal.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

www.sci.italia.it

www.warnews.it

www.testimonianze.org

www.consapevolezza.it

www.lettera22.it

www.db.peacelink.org

www.asianews.it

www.squareplaza.blogspot.com

 

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