N. 43 - Luglio 2011
(LXXIV)
LA GUERRA DEL PELOPONNESO
PARTE II (416-404 a.C.)
di Danilo Caruso
Nel
416
le
vicende
siciliane
prospettarono
l’opportunità
di
un
nuovo
intervento
militare
ateniese
nell’isola
richiesto
dall’elima
Segesta
assalita
dalla
dorica
Selinunte
(che
aveva
imitato
l’esempio
di
Siracusa
nei
confronti
della
calcidese
Leontini,
attaccata
e
rasa
al
suolo).
Fu
pianificata
una
spedizione,
caldeggiata
da
Alcibiade
che
ne
ambiva
il
comando,
e
favorita
dai
falchi
democratici
e
conservatori,
con
l’obiettivo
di
istituire
in
Sicilia
una
netta
egemonia
attica.
Lo
stesso
Nicia
seppur
apertamente
sostenitore
di
un
previo
consolidamento
nei
territori
traci
ribelli
vedeva
nella
sua
ottica
filolaconica
il
progetto
di
buon
occhio
poiché
i
Lacedemoni
erano
pure
propensi
a
evitare
il
confronto
navale
a
causa
dell’inferiorità
della
loro
marina:
propose
e
ottenne
un
notevolissimo
rafforzamento
dell’invio,
che
passò
da
60
triremi
a
134
(con
un
contingente
di
6.500
uomini).
Il
22
maggio
415
l’euforia
degli
Ateniesi,
speranzosi
di
andare
al
di
là
della
semplice
difesa
degli
alleati
siciliani
attraverso
l’assoggettamento
dell’intera
isola,
fu
turbata
dalla
scoperta
che
le
erme
cittadine
erano
state
tutte
danneggiate.
La
cosa
assunse
una
rilevanza
giuridica
(in
aggiunta
a
essere
considerata
un
presagio
funesto)
e
nello
svolgimento
delle
indagini
Alcibiade
venne
accusato
di
empietà
in
relazione
a un
altro
più
o
meno
credibile
fatto.
Egli
chiese
la
celebrazione
immediata
del
suo
processo
prima
dell’allontanamento
della
flotta
per
l’impresa
siciliana
(alla
cui
guida
era
stato
designato
con
Nicia
e
Lamaco),
ma
ebbe
un
rinvio
sino
alla
conclusione
della
stessa,
data
la
deterrenza
che
esercitava
come
contraccolpo
la
possibile
reazione
dell’esercito
in
partenza.
La
presenza
ateniese
in
Magna
Grecia
e
Sicilia
fu
accolta
tepidamente:
Turi,
colonia
ateniese,
restò
al
di
fuori
della
contesa;
a
Reggio
l’armata
navale
non
poté
insediare
un
punto
di
coordinamento
(cosa
fatta
a
Catania
per
mezzo
di
un’azione
senza
preavviso).
Nella
scelta
della
strategia
bellica
da
adottarsi
all’interno
della
triade
preposta
alla
conduzione
prevalse
il
punto
di
vista
di
Alcibiade
che
prevedeva
di
assalire
innanzitutto
i
centri
più
indifesi,
creare
un
circuito
di
alleanze,
e
quindi
colpire
Siracusa.
Contemporaneamente
in
patria
le
ricerche
degli
ermocopidi
(mutilatori-di-erme)
di
agosto
continuavano
a
prestare
il
fianco
ai
rivali
democratici
e
oligarchici
dell’ambizioso
politico,
cui
fu
ordinato
di
ritornare
ad
Atene:
prelevato
da
un’imbarcazione,
durante
lo
scalo
a
Turi
decise
di
scappare.
Condannato
in
contumacia
e
trasferitosi
a
Sparta
per
sostenerne
le
iniziative
nella
guerra
in
corso,
divenne
un
nemico
della
sua
città.
Intanto
gli
Ateniesi
in
Sicilia
al
termine
dell’anno
condussero
due
vittoriose
comunque
infruttuose
azioni
belliche
a
Segesta
e a
Siracusa.
Nel
maggio
del
successivo
414
Nicia,
dopo
aver
ricevuto
un’integrazione
del
contingente
con
reparti
(ateniesi
e
siculi)
di
cavalleria
(che
erano
mancati
in
precedenza
per
ottenere
risultati
più
concreti),
provò
nuovamente
a
prendere
Siracusa
assediandola
per
mare
e
per
terra,
cercando
di
isolarla
(in
questa
fase
fu
ucciso
in
battaglia
Lamaco).
Sembrava
che
la
comunità
aretusea
stesse
per
capitolare
quando
ad
agosto
arrivarono
aiuti
–
consigliati
da
Alcibiade
e
sollecitati
dai
Siracusani
–
guidati
dallo
Spartano
Gilippo,
partiti
dall’isola
di
Leucade
su
pochissime
navi
(una
coppia
lacedemone
e
una
corinzia)
ancor
prima
del
completamento
dei
preparativi
della
flotta
peloponnesiaca
(che
prevedeva
altre
13
imbarcazioni
corinzie).
Passando
dallo
stretto
di
Messina
e
approdando
a
Imera,
da
dove
aveva
raggiunto
Siracusa
assieme
a
rinforzi
siculi
e
sicelioti
(imeresi,
selinuntini
e
geloi),
Gilippo
ruppe
l’assedio
ateniese,
facendo
saltare
il
piano
avversario.
Nicia
in
palese
difficoltà
chiese
alla
madrepatria
di
rafforzare
l’impegno
militare
in
Sicilia
e
manifestò
la
volontà
di
rinunziare
alla
direzione
dell’impresa.
Ulteriori
aiuti
pervennero
ai
Siracusani,
e di
due
battaglie
marittime
davanti
alla
città
gli
Ateniesi
persero
la
seconda
subendo
gravissime
menomazioni
navali.
Atene,
che
nel
frattempo
era
intervenuta
nell’Argolide
invasa
da
Sparta
e
aveva
deciso
– in
violazione
del
trattato
di
pace
– di
colpire
le
coste
peloponnesiache,
mandò
all’inizio
del
413
in
due
momenti
dei
sostegni.
Quando
a
primavera
partì
la
seconda
spedizione
navale
ateniese
i
soldati
peloponnesiaci
erano
entrati
nell’Attica
rendendo
difficili
le
comunicazioni
a
nord-ovest.
La
flotta
attica,
comandata
da
Demostene,
non
riuscì
a
risollevare
la
situazione:
egli
indusse
il
restio
Nicia
a
ripiegare
in
ritirata
su
Catania.
Però
il
ritardo
delle
operazioni
consentì
ai
Siracusani
di
serrare
la
via
d’uscita
alla
baia
del
Porto
grande
in
cui
si
trovavano
gli
Ateniesi
e di
vincerli
in
due
scontri
sul
mare,
di
conseguenza
il
ritiro
forzatamente
terrestre,
subiti
pesantissimi
danni
umani
e
materiali,
fu
alla
volta
dell’alleata
Camarina,
ad
ovest.
Inseguiti,
il
gruppo
di
copertura
del
trasferimento
agli
ordini
di
Demostene,
rimasto
troppo
indietro
rispetto
a
quello
di
Nicia,
più
precipitoso,
fu
accerchiato
e
sconfitto,
così
come
accadde
subito
dopo
al
medesimo
Nicia,
all’oscuro
di
quanto
avvenuto,
al
quale
i
Siracusani
sopravanzandolo
sbarrarono
la
strada.
Nicia
e
Lamaco,
catturati,
vennero
uccisi
nonostante
la
contrarietà
di
Gilippo;
quasi
tutti
i
loro
uomini
furono
ridotti
in
schiavitù.
L’eco
della
sconfitta
della
grande
armata
ateniese
diede
vigore
ai
nemici
e
provocò
nella
città
un
moto
d’opinione
favorevole
agli
oligarchici:
similmente
succedeva
in
diversi
centri
alleati
che
passavano
alla
parte
dei
Lacedemoni,
i
quali
conclusero
il
conflitto
con
Argo.
Malgrado
tutto
Atene
disponeva
al
momento
di
risorse
economiche
e di
una
forza
tali
da
permetterle
di
fronteggiare
energicamente
l’unione
tra
Peloponnesiaci
e
Persiani
che
si
era
costituita
per
sfruttarne
lo
stato
di
debolezza.
Alcibiade
a
Sparta
aveva
imbeccato
i
suoi
recenti
amici
ad
avvicinarsi
alla
Persia,
manovra
nella
quale
aveva
mediato
fra
le
due
parti
nella
metà
del
412.
In
cambio
del
sostegno
e
della
partecipazione
bellica
persiana
i
Lacedemoni
riconoscevano
la
signoria
sulla
Ionia
(con
l’eccezione
delle
isole
Sporadi)
agli
alleati,
che
miravano
ad
applicare
una
politica
di
sfruttamento
tributario
sulla
regione.
Già
dal
413
gli
Ateniesi
avevano
perso
molti
alleati
dopo
l’occupazione
nemica
di
Decelea
nell’Attica:
Clazomene,
Eritre,
Lebedo,
Mileto,
Teo,
nella
Ionia;
le
lesbie
Metimna
e
Mitilene;
Bisanzio;
e le
isole
di
Chio,
Eubea
e
Rodi.
Il
precipitare
delle
cose
fu
l’occasione
per
i
conservatori
di
prendere
il
governo
della
città
tramite
la
creazione
di
una
decarchia
(10
probuli)
posta
al
di
sopra
degli
altri
organi
amministrativi.
Con
l’oligarchia
ateniese
intratteneva
rapporti
Alcibiade,
fiducioso
in
una
riabilitazione:
garantiva
di
sganciare
Sparta,
da
cui
in
seguito
a
discordie
si
era
allontanato,
dall’alleanza
persiana
e di
legare
i
Persiani
a
un’Atene
nella
quale
auspicava
l’istituzione
di
un
chiaro
regime
oligarchico.
Al
principio
del
411
la
capitale
dell’Attica
aveva
perso
quasi
tutta
la
Ionia,
a
dispetto
di
un
contenimento
operato
militarmente
delle
disassociazioni
dalla
Lega
navale.
In
questo
frangente
l’ex
democratico
Pisandro
recatosi
da
Samo
–
sede
della
marina
attica
– ad
Atene,
d’intesa
con
un
paio
di
probuli
sospese
il
sistema
democratico:
il
numero
dei
probuli
fu
elevato
a
30;
i
diritti
politici
furono
circoscritti
a
5.000
abitanti,
che
dovevano
essere
individuati
da
un’assemblea
di
400
membri
cui
furono
trasmessi
tutti
i
poteri
statali;
fu
stabilita
la
gratuità
dei
pubblici
incarichi
e
abolito
il
diritto
di
accusa.
Un
colpo
di
mano
simile
attuato
dai
conservatori
samii
fallì:
i
democratici
di
quest’isola
si
affidarono
dunque
ad
Alcibiade
per
resistere
a
Spartani
e
Persiani
da
un
canto
e
agli
oligarchici
ateniesi
dall’altro.
Il
controverso
allievo
di
Socrate
colse
l’opportunità
di
condizionare
gli
eventi
a
suo
vantaggio,
e
s’impegnò
a
non
far
entrare
in
conflitto
Samo
e
Atene:
sollecitava
la
prosecuzione
ateniese
della
guerra
contro
Sparta,
la
definizione
concreta
dei
5.000
cittadini
della
sua
città
aventi
diritti
politici
e il
restauro
della
soppressa
assemblea
amministrativa
di
500
membri
(bulè).
Tramontata
ad
Atene
la
prospettiva
di
un
avvicinamento
alla
Persia
per
mezzo
di
Alcibiade,
l’ala
conservatrice
più
estremista
si
preparava,
al
fine
di
restare
al
potere,
a
concludere
anche
un
accordo
sfavorevole
con
i
Peloponnesiaci.
Ciò
causò
delle
tensioni
e
delle
reazioni
di
massa.
L’amico
di
Socrate
era
più
vicino
agli
oligarchici
moderati;
quasi
tutti
gli
esponenti
di
primo
piano
di
quelli
radicali
fuggirono
presso
i
Laconici:
tra
quelli
restati
qualcuno
andò
sotto
processo,
e
non
mancarono
durante
questa
fase
delle
uccisioni
(Frinico,
ex
democratico,
assassinato
per
strada;
Antifonte,
condannato
alla
pena
di
morte).
L’operato
del
probulo
Teramene
(soprannominato
“coturno”,
una
calzatura
ambidestra)
scansò
il
pericolo
di
una
guerra
intestina:
venne
ripristinata
la
bulè
e
abolita
l’assemblea
dei
400,
la
base
politica
ateniese
dai
5.000
previsti
fu
elevata
a
9.000.
Il
ritorno
del
regime
democratico
rimise
in
sintonia
Atene
e
Samo.
Nel
corso
del
411
gli
Ateniesi
avevano
continuato
a
indietreggiare:
alle
sottrazioni
territoriali
precedenti
si
sommavano
l’Eubea
e l’Ellesponto.
I
Lacedemoni
minacciavano
direttamente
l’Attica
e
controllavano
i
Dardanelli
da
Abido,
la
marina
persiana
era
inoltre
pronta
a
invadere
l’Egeo
da
sud.
La
ritrovata
unità
con
i
quadri
navali
samii
produsse
l’esito
di
tre
vittorie
marittime
ai
Dardanelli
contro
i
Peloponnesiaci:
due
consecutive
a
settembre,
e
una
nel
marzo
del
410
(in
questo
caso
era
giunto
con
rinforzi
Teramene
da
Atene).
Incoraggiati
gli
Ateniesi
cercarono
il
combattimento
con
gli
Spartani,
che
erano
nelle
vicinanze
della
capitale
attica,
ma
questi
desistettero
perché
l’occupazione
dell’Ellesponto
garantiva
ormai
degli
introiti
utili
per
una
ripresa
economica,
e
presentarono
un
progetto
di
pace
agli
avversari
rianimati:
prevedeva
il
ritiro
reciproco
dagli
altrui
territori
occupati
e
l’acquisizione
spartana
di
regioni
della
Lega
delio-attica.
Il
nuovo
leader
democratico
ateniese
Cleofonte,
artefice
della
restaurazione
completa
della
democrazia
ateniese
(attraverso
la
reintroduzione
del
diritto
universale
di
accusa,
spinse
i
concittadini
a
rifiutarlo.
Nella
prosecuzione
delle
ostilità
il
suggerimento
di
Alcibiade
(cui
era
stata
consentita
la
facoltà
di
ritornare
ad
Atene)
di
entrare
in
rapporto
con
la
Persia
per
staccarla
dai
Lacedemoni
non
ebbe
continuazione:
Trasibulo
e
Trasillo,
responsabili
delle
azioni
marittime
ateniesi,
si
mossero
nel
senso
opposto
raccogliendo
un
grave
insuccesso
al
largo
di
Efeso.
All’inizio
del
409
Trasillo
e
Alcibiade
intrapresero
un’iniziativa
per
riprendere
due
centri
sulle
rive
opposte
all’imbocco
meridionale
del
Bosforo
(Bisanzio
e
Calcedone)
costringendo
i
Persiani
a
una
tregua
e ad
acconsentire
a
un’ambasciata
ateniese
alla
corte
di
Dario
II.
Sugli
altri
fronti
Atene
subiva
la
perdita
di
Nisea
e
Pilo,
e la
fuoruscita
dalla
Lega
navale
di
Corcira,
alleviate
dal
ritiro
delle
forze
nemiche
di
Siracusa,
allarmata
dall’attacco
in
Sicilia
di
Cartagine
(che
aveva
già
distrutto
Selinunte).
Alcibiade
ritornò
ad
Atene
nel
giugno
del
408:
tutti
i
provvedimenti
punitivi
a
suo
carico
erano
stati
annullati;
si
presentò
come
il
salvatore
della
patria,
tale
fu
acclamato,
e il
potere
politico
finì
sostanzialmente
nelle
sue
mani.
Nella
seconda
metà
dell’anno
egli
riprese
in
Asia
Minore
la
gestione
bellica:
le
sue
aspettative
furono
frustrate
per
il
fatto
che
i
Persiani
erano
fermamente
decisi
a
mantenere
l’alleanza
con
gli
Spartani,
guidati
da
Lisandro,
in
funzione
antiateniese.
L’ammiratore
di
Socrate
cercò
invano
lo
scontro
con
le
triremi
del
navarca
antagonista
ancorate
a
Efeso,
rassegnandosi
inoltre
a
notevoli
defezioni
tra
le
proprie
file
quando
questo,
che
si
era
adoperato
a
insediare
governi
oligarchici
nei
centri
fuorusciti
dalla
Lega
attica,
offrì
uno
stipendio
più
alto
ai
marinai.
Nel
primo
periodo
del
407
Alcibiade
si
trasferì
insieme
alla
flotta
ateniese
dalla
zona
di
Efeso
nell’Ellesponto,
dove,
diversamente
dalle
sue
disposizioni
gli
Ateniesi
avevano
dato
battaglia
in
mare
col
risultato
di
una
pesante
sconfitta.
Con
le
navi
rimaste
e
quelle
al
suo
seguito
Alcibiade
fece
ritorno
a
Efeso,
ma
nel
mentre
il
suo
prestigio
ad
Atene
si
era
convertito
in
antipatia
popolare.
Non
riconfermato
al
comando
delle
operazioni
abbandonò
il
suo
incarico
direttivo
prima
della
scadenza
naturale
e si
allontanò
esule
nell’Ellesponto:
gli
succedette
Conone
che
inizialmente,
avvantaggiato
dalla
sostituzione
di
Lisandro
alla
testa
dei
Peloponnesiaci
(ritenuto
ambizioso
e
fuor
di
luogo
aperto
all’ingerenza
persiana),
ottenne
dei
successi.
Callicratida,
successore
di
quest’ultimo,
non
fu
gradito
dai
Persiani,
che
ridussero
il
loro
impegno
finanziario
per
la
guerra.
I
Laconici
volendo
rafforzare
la
propria
marina
militare
dovettero
rimediare
autonomamente.
Le
triremi
raccolte
a
Mileto
sotto
la
guida
di
Callicratida
partirono
allora
per
la
conquista
di
Lesbo.
Conone
raggiunto
nei
primi
tempi
del
406
si
batté
con
lui
di
fronte
a
Mitilene
e
subite
considerevoli
perdite
si
ritirò
nel
porto
cittadino.
Atene
si
sobbarcò
di
allestire
navi
che
lo
liberassero
dall’assedio
dando
fondo
a
tutte
le
ricchezze
residue
disponibili,
e
alle
Arginuse
gli
Ateniesi,
ulteriormente
potenziatisi
di
passaggio
a
Samo,
sconfissero
Callicratida
che
gli
si
era
fatto
incontro
trovandovi
la
morte.
Tuttavia
l’annegamento
di
una
parte
dei
marinai
ateniesi,
dovuta
a
naufragio
per
il
maltempo,
sollecitò
nella
capitale
un’esagerata
ripercussione.
Agli
otto
comandanti
della
flotta
fu
inflitta
nell’ottobre
del
406
la
pena
capitale:
due,
Protomaco
e
Aristogene,
fuggitivi,
si
salvarono;
tra
i
condannati
un
omonimo
figlio
di
Pericle.
La
città
continuava
a
perdere
per
un
motivo
o
per
un
altro
i
suoi
migliori
uomini,
e il
democratico
massimalista
Cleofonte
la
esortava
a
rifiutare
una
proposta
spartana
di
rappacificazione.
La
caparbietà
ateniese,
sostenuta
dalla
possibilità
di
resistere,
persuase
nel
405
i
Persiani
a
sollecitare
ai
Lacedemoni
la
restituzione
della
navarchia
a
Lisandro
e a
finanziarne
la
ricostruzione
dell’armata
navale.
Lisandro
–
che
effettivamente
fu
luogotenente
a
causa
della
non
reiterazione
dello
scorso
mandato
–
quindi
si
diresse
nell’Ellesponto,
una
fonte
degli
approvvigionamenti
attici,
e
prese
Lampsaco
allo
scopo
di
bloccare
questa
via
di
rifornimento.
Le
triremi
ateniesi
conseguentemente
si
concentrarono
nei
Dardanelli,
nei
pressi
di
Egospotami,
dove
attesero
per
quattro
giorni
con
l’intento
di
combattere.
Ma
le
navi
laconiche
non
uscirono
da
Lampsaco,
e
ciò
convinse
il
quinto
giorno
gli
Ateniesi,
che
non
tennero
conto
degli
ammonimenti
di
Alcibiade,
a
sbarcare
in
cerca
di
provviste.
Il
navarca
peloponnesiaco
ne
approfittò
e
con
pochissimo
sforzo
catturò
quasi
tutta
la
flotta
rivale.
Conone
riuscì
a
sfuggire
solamente
con
1/9
delle
triremi,
3.000
Ateniesi
fatti
prigionieri
furono
uccisi
a
Lampsaco
per
vendetta
degli
eccessi
nemici.
Ottenuta
la
resa
di
Sesto,
Bisanzio
e
Mitilene,
i
Lacedemoni
si
volsero
verso
Egina,
e
presala
si
presentarono
al
Pireo.
Parallelamente
il
re
spartano
Pausania
II
assieme
al
collega
Agide
II
arrivò
a
mettere
sotto
assedio
Atene
sulla
terra
ferma.
A
gennaio
del
404
l’ennesima
offerta
spartana
di
riconciliazione,
sebbene
le
cose
precipitassero,
fu
respinta
su
incitazione
di
Cleofonte,
giustiziato
qualche
mese
più
tardi.
Teramene
grazie
a
questo
vuoto
poté
far
accettare
nella
comunità
il
desiderio
di
resa
delle
fazioni
ateniesi
più
moderate.
Recatosi
a
Sparta,
gli
furono
esposte
le
condizioni
di
pace
(successivamente
ratificate):
Atene
non
sarebbe
stata
distrutta
a
differenza
di
quanto
auspicato
da
Tebe
e
Corinto,
però
era
costretta
ad
allearsi
con
Sparta,
a
demolire
le
fortificazioni
del
Pireo
e le
Lunghe
Mura,
e
perdeva
i
suoi
domini
lontano
dall’Attica.
Concluse
le
ostilità
Lisandro
entrò
nel
Pireo,
pochissimo
tempo
dopo
si
arrese
anche
Samo
che
ancora
resisteva.
I
governi
degli
alleati
greci
dei
Lacedemoni
furono
modellati
sullo
stampo
oligarchico,
e
alcuni
sostenuti
con
lo
stanziamento
di
truppe
a
difesa,
il
cui
pagamento
era
a
carico
di
tutti
(analogamente
ad
altri
tributi
versati
a
Sparta).
noltre
i
lotti
di
terra
assegnati
in
passato
a
cittadini
ateniesi
in
territorio
straniero
(cleruchie)
furono
restituiti,
salvo
qualche
eccezione,
agli
originari
possessori.
Ad
Atene
Teramene
ripristinava
l’ordine,
e
iniziava
l’amministrazione
di
quelli
che
passeranno
alla
storia
come
i
Trenta
Tiranni.