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N. 42 - Giugno 2011 (LXXIII)

lA GUERRA DEL PELOPONNESO
PARTE I (431-416 a.C.)

di Danilo Caruso

 

La guerra del Peloponneso, combattuta su un ambito geografico più ampio di questa regione greca, rappresenta uno scontro civile di natura egemonica e ideologica non solo nel contesto del dualismo ellenico “Atene / Sparta”, ma significativamente anche alle radici della civiltà occidentale.

 

È il paradosso di come l’antica democrazia dell’alternanza promuova un autodistruttivo duello imperialista e divida la Grecità in due opposti schieramenti di lotta e di pensiero. Allo scoppio, con Sparta e il Peloponneso stavano: le corinzie Ambracia, Anattorio, Leucade; Locri e Megara; i Beoti e i Focesi. Con Atene e i centri del suo impero: Chio, Corcira, Lesbo, Zacinto, Platea, i Messeni profughi a Naupatto e gran parte degli Acarnani.

 

Lo storico ateniese Tucidide, che vi combatté fino al suo presunto esilio (424 a.C.; tutte le date seguenti sono analogamente a.C.), vi dedicò un’opera di ricerca e di analisi. Dopo l’ultima vittoriosa guerra persiana (terminata con la pace del 448) gli Ateniesi, che erano stati contemporaneamente impegnati dal 461 in un conflitto con gli ex cobelligeranti lacedemoni, stipularono con questi ultimi una tregua trentennale nel 445.

 

Benché le clausole fossero eque e garantissero alle due tradizionali rivali città greche la possibilità di mantenere posizioni di forza, la politica espansionistica perseguita dal governo democratico ateniese guidato da Pericle pregiudicò l’equilibrio.

 

Tutto principiò con l’intromissione nel 437 in uno scontro fra la corinzia comunità di Ambracia ed Epiroti, a vantaggio di costoro. L’anno seguente nella corcirese Epidamno era stato abbattuto il regime oligarchico, poi restaurato dopo una sconfitta marittima di Corinto (435), intervenuta a sostegno dei democratici corciresi malgrado l’impegno di Sparta a mediare fra le parti. I timori dei propositi di rivalsa corinzi indussero Corcira ad allearsi con Atene (questi due centri possedevano le più grandi marine militari in Grecia.

 

Il proposito di Corinto di occupare Corcira fallì nel 433. A seguito di ciò aderirono alla Lega navale delio-attica capeggiata dagli Ateniesi: Zacinto, Leontini, Reggio (le ultime due a scapito della corinzia Siracusa).

 

Pericle, che aspirava alle ostilità, pensò di creare un casus belli con l’opposta Lega peloponnesiaca diretta dagli Spartani intimando una serie di atti di sottomissione agli alleati, di origine corinzia, di Potidea. Però questi, contrariamente alle attese, sostenuti dai Macedoni e da Corinto si staccarono dalla Lega navale. Perdicca II di Macedonia, osteggiato in precedenza dagli Ateniesi, provocò la ribellione di altri loro alleati in quella regione. Atene perciò si trovò invischiata in una crisi bellica non prevista.

 

Come conseguenza di quest’errore di valutazione Pericle fece dichiarare l’interdizione commerciale dei Megaresi dal territorio della Lega delio-attica, contravvenendo alle libertà previste dall’accordo del 445.

 

I rappresentanti della Lega peloponnesiaca, riunitisi a Sparta nel 432 dietro sollecitazione di Corinto, riconobbero le infrazioni di Atene, la quale, restia a revocare l’interdizione a Megara, ricevette nel 431 la dichiarazione di guerra lacedemone.

 

Gli Ateniesi partivano col favore della superiorità economica e militare della propria lega di fronte a quella avversaria (il che spiega il ritardo di Sparta ad iniziare le operazioni militari). Non riuscito un tentativo tebano di conquistare Platea, i Peloponnesiaci proseguirono con una manovra a tenaglia: i Beoti da nord ed un esercito da sud invasero l’Attica (la cui popolazione era stata interamente concentrata nella capitale).

 

La risposta ateniese mirò a colpire le coste peloponnesiache. Così per due anni, ma dal 429, dopo la distruzione recata da Pericle l’anno prima nella regione megarese, la situazione cominciò a mettersi male per Atene: il contagio della peste – arrivata nella città dall’Africa nord-orientale – si era allargato alla flotta comandata personalmente da Pericle in rotta verso il Peloponneso, ed agli uomini d’arme impegnati a Potidea.

 

Lo statista, sfumata un’iniziativa ateniese per sospendere la belligeranza, a causa del dilagante malcontento popolare alla fine del 430 era stato privato della conduzione della guerra e sottoposto a processo: venne dichiarato responsabile di gravi colpe nei confronti dello Stato e condannato ad una pena pecuniaria. Alla resa di Potidea seguì per gli Ateniesi la disfatta di Spartolo durante lo sforzo per sconfiggere gli associati rivoltosi calcidesi. Alcuni successi navali e la temporanea desistenza spartana dall’invadere l’Attica, per via della peste, non migliorarono le cose.

 

Cosicché che la guida delle azioni belliche fu di nuovo assegnata a Pericle, che scampato precedentemente dalla condanna capitale non riuscì a salvarsi dal contagio pestilenziale, e morì nel settembre del 429.

 

Sulla scena politica attica, privata del suo autorevole leader, emersero due figure di opposto raggruppamento: il democratico Cleone (già oppositore di Pericle) ed il conservatore Nicia (cui fu affidata la direzione della guerra, che da questo momento assunse i connotati di scontro ideologico tra l’ideale ateniese di democrazia e quello spartano oligarchico-conservatore).

 

Il biennio 428-429 fu caratterizzato dalle sollevazioni contro Atene a Corcira e Lesbo. La lesbia Mitilene, che era passata al gruppo dei Peloponnesiaci, riconquistata dagli Ateniesi nel 427, rischiò di essere rasa al suolo e la sua gente parte uccisa parte venduta ai mercanti di schiavi. Prevalse infine un orientamento più moderato di quello dei democratici massimalisti rappresentato da Cleone (maggioritario sulla scia della primordiale onda emotiva).

 

In quello stesso anno i Lacedemoni espugnarono Platea distruggendola, e gli Ateniesi restaurarono con la forza il governo democratico corcirese. Questi intervennero inoltre nel 427-426 con successo in Sicilia, dove la guerra coinvolgeva da un lato Siracusa e Locri e dall’altro Reggio e Camarina.

 

Tra altalenanti umori ed aspirazioni alla riconciliazione dei contendenti il conflitto continuò con una rinnovata impresa navale siciliana (425) durante la quale una piccola frazione della flotta fu impegnata in una manovra bellica in Messenia all’isola di Sfacteria.

 

I Peloponnesiaci dopo un iniziale sopravvento – dovuto ai rinforzi – furono battuti in mare a giugno dalle navi nemiche di rientro dalla Sicilia. Poiché tra gli altri finirono assediati anche 180 Spartiati il governo laconico era disposto a concludere la belligeranza pur di liberarli (infatti consegnò temporaneamente dietro richiesta avversaria la propria flotta nel settore al nemico).

 

Tuttavia ad Atene era prevalso sin allora lo schieramento oltranzista di Cleone, favorevole alla guerra, che fece andare a monte le trattative di pacificazione, alle quali era invece favorevole il ricco conservatore Nicia, che dal canto suo – sperando in una disfatta – indusse l’inesperto Cleone a portare avanti le operazioni a Sfacteria. Costui però delegò le sue funzioni sul campo a Demostene (conduttore delle azioni militari precedenti nella zona) ottenendo così la vittoria e una rinnovata domanda lacedemone di tregua (respinta). Lo scontro procedeva.

 

Nicia nel giugno del 424 occupò l’isola di Citera, e pochi mesi dopo gli Ateniesi s’impossessarono pure del porto di Megara a Nisea. Gli Spartani, sollecitati dal generale Brasida, mutarono dunque la loro strategia, e decisero di colpire non più l’Attica, bensì la penisola calcidica, territorio della lega nemica esposto a maggiori contraccolpi per Atene.

 

Brasida, con l’obiettivo di generare l’allontanamento dagli avversari delle città costiere, appoggiato da Perdicca e dalle comunità di Acanto e Stagira, passate alla sua parte, nel 424 conquistò per via di terra Anfipoli.

 

Questo effetto generalizzato fu direttamente prodotto dalla prosecuzione delle azioni navali in Sicilia dato che i Sicelioti – alleati e non – temettero le mire imperialistiche ateniesi al punto di rappacificarsi a giugno. Inoltre il progetto ulteriore di invadere la Beozia, in collaborazione coi democratici dissidenti della regione, fece fallimento miseramente sul campo di battaglia verso la fine di quell’anno.

 

Nel 423 gli animi dei belligeranti, condizionati da un lato da questi ultimi fattori e dall’altro preoccupati del crescente peso interno di Brasida, operarono in favore di un armistizio di 12 mesi, che non ebbe conclusione positiva per il fatto che nella Calcidica la situazione era sfuggita di mano ad Atene: le città associate continuavano a fuoruscire dalla Lega delio-attica. Allora negli ultimi mesi del 422 Cleone si recò nell’area con delle truppe allo scopo di recuperarle all’impero. Ma in un combattimento nei pressi di Anfipoli fu sconfitto trovando la morte similmente a Brasida.

 

Senza i leaders delle fazioni interne fautrici del conflitto panellenico, Sparta e Atene raggiunsero nell’aprile del 421 un accordo cinquantennale di non belligeranza («pace di Nicia»): sulla sua base sarebbero tornate, su un versante, Citera e Pilo (coinvolta nei fatti di Sfacteria) ai Laconici, sull’altro, Anfipoli con gli altri centri dissociatisi antecedentemente agli Ateniesi (i quali avrebbero mantenuto il controllo di Nisea e perduto Platea a beneficio dei Beoti).

 

Alla conclusione di questo primo periodo (431-421), denominato guerra archidamica (dal nome del re lacedemone Archidamo, morto nel 427), Sparta aveva perso autorevolezza presso i propri alleati ed Atene si ritrovava in crisi socioeconomica a causa dei danni del conflitto (le finanze, la produzione agricola, il tasso demografico – anche per la peste – ne avevano riportato pesantissime conseguenze).

 

Le comunità della Tracia meridionale restituite agli Ateniesi si ribellarono. In più la delusione provocata dalla pace stipulata da Nicia, che mirava a non recare offesa aggiuntiva agli Spartani, spinse Atene a trattenere momentaneamente i 120 Spartiati superstiti presi a Sfacteria ed a fare durare l’occupazione di Citera e Pilo.

 

Le difficoltà dei Lacedemoni proseguivano con l’ostilità verso il trattato degli alleati beoti, corinzi, megaresi ed elei, cosicché la capitale laconica stipulò un’alleanza difensiva cinquantennale con Atene (a essa era garantita l’immunità dai Beoti, e in contropartita rinunziava alle zone controllate con l’eccezione di Citera, che avrebbe abbandonato dopo il recupero dei territori calcidici).

 

Un altro timore per i Laconici in quei momenti proveniva da Argo, città con cui scadeva una tregua trentennale al principio del 420, e con la quale in seguito a quest’ultima fase si coalizzarono Corinto, Mantinea, l’Elide e diversi centri calcidici. Intanto al termine del 421 i sostenitori spartani dello scontro primeggiavano sullo scenario politico cittadino, e Sparta rafforzava l’intesa coi Beoti.

 

Pure nella capitale attica il recente indirizzo politico moderato era mutato di segno col ritorno al potere dei democratici massimalisti, dentro al cui gruppo si sviluppava la dialettica per la leadership tra Alcibiade – di indole aristocratica, amico del filosofo Socrate – ed Iperbolo. A partire dal 420 il primo si adoperò per legare in funzione difensiva la sua città all’Elide, Mantinea ed Argo, creando nel nord della penisola peloponnesiaca un asse antispartano.

 

Ciò preoccupò Corinto che si riavvicinò a Sparta. Nel 419 un tentativo argivo, sostenuto militarmente dagli Ateniesi, di conquistare Epidauro non andò in porto. Questo episodio principiò il riacutizzarsi delle tensioni fra Delio-attici e Peloponnesiaci, ritornati per l’occasione a scontrasi in campo. Alcibiade, che accusò i Lacedemoni di aver trasgredito gli impegni bilaterali, finì ad Atene in secondo piano di fronte alla ripresa dei conservatori guidati da Nicia.

 

L’intenzione laconica di attaccare Argo causò comunque la partecipazione ateniese in opposizione a Sparta, la quale nell’agosto del 418 durante questa contesa ebbe la meglio con la battaglia di Mantinea, per il cui effetto Argo, sciolta l’intesa con Atene, fu costretta ad unirsi agli Spartani, e Mantinea e l’Elide entrarono anche nella sfera d’influenza di questi: l’intero Peloponneso cadeva sotto la supremazia laconica. Alcibiade, che aveva sollecitato gli Argivi a reagire davanti a Sparta, si ritrovò in discredito presso l’opinione pubblica ateniese, come Nicia, che aveva fatto ritardare l’intervento armato di supporto.

 

Cercò di approfittarne Iperbolo per sbarazzarsi dei due rivali politici con lo strumento dell’ostracismo, ma Alcibiade ottenuto l’appoggio del leader conservatore determinò invece l’esilio dello stesso Iperbolo.

 

D’ora in poi l’intento di Nicia fu quello di rivolgere l’espansionismo attico ad aree fuori dell’influenza spartana per evitare il risorgere della guerra. Così facendo invogliò Atene (che si ritrovò contro anche Perdicca, ripassato ai Lacedemoni) a insistere nella riconquista di Anfipoli.

 

Questa strategia venne meno quando nel luglio del 417 ad Argo i democratici, dopo aver cacciato dal governo gli oligarchici, ottennero la riconferma della precedente coalizione con Atene, la quale l’anno successivo s’impadronì inoltre della dorica isola di Melo, formalmente neutrale, ma legata a Sparta, senza che quest’ultima rispondesse paventando di essere sconfitta sul mare.



 

 

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