RIGETTO ANTICOLONIALE ALGERINO
LA "SPORCA" GUERRA d'indipendenza
algerina
di Matteo Liberti
“I francesi sono arrivati d’estate e
ripartiranno con la forza d’estate”.
Così affermò un giorno il poeta e
saggio algerino Cheikh Mohand
ou-Lhocine (1837-1901) rievocando il
traumatico ingresso dei francesi ad
Algeri del 5 luglio 1830, inizio
della loro penetrazione coloniale
nel Paese. Tale affermazione diverrà
celebre per la valenza profetica:
gli algerini guadagneranno infatti
l’indipendenza nell’estate 1962,
festeggiandola proprio il 5 luglio.
Prima che ciò avvenisse, furono
protagonisti di quasi otto anni di
sanguinose lotte con le forze
francesi, in quella che passerà alle
cronache come guerra d’Algeria o –
più correttamente – guerra
d’indipendenza algerina.
I francesi avevano fatto
dell’Algeria una colonia ai tempi di
Carlo X, sovrano che nel 1830
l’aveva strappata agli ottomani.
L’impero coloniale francese si era
quindi esteso ad altri paesi
africani, tra cui Tunisia e Marocco,
mantenendosi in salute fino al
secondo dopoguerra. In Algeria
abitavano al tempo quasi nove
milioni di autoctoni (arabi e
berberi musulmani) e circa un
milione di cosiddetti “francesi
d’Algeria” (coloni europei tra cui
molti ebrei), chiamati anche
pieds-noirs. Nondimeno, Parigi
considerava il Paese nordafricano
“cosa propria”, tanto che nel 1947
ne formalizzò l’unione al territorio
metropolitano francese. Subito dopo
esplose però una vasta crisi di
rigetto anticoloniale e in Algeria
aumentarono i movimenti
indipendentisti, confluiti nel 1954
nel Front de Libération Nationale (FLN),
raggruppamento affiancato da un
esercito di guerriglieri: l’Armée de
Libération Nationale (ALN).
«A segnare l’inizio del conflitto
fu, nella notte tra il 31 ottobre e
il 1° novembre 1954, una serie di
attacchi terroristici contro vari
luoghi del potere coloniale in
Algeria», spiega la storica Caterina
Roggero, autrice del volume
L’Algeria e il Maghreb. La guerra di
liberazione e l’unità regionale
(Mimesis). Dopo tali azioni, il FLN,
segnato da divisioni interne ma
anche da carismatiche leadership
come quella di Ahmed Ben Bella,
coinvolse sempre più la popolazione
nella lotta anti-francese, e la
tensione, già altissima, aumentò
nell’estate 1955, quando nel
Nord-Est del Paese i ribelli
avviarono una sommossa repressa nel
sangue dai francesi (i morti furono
migliaia).
In aiuto dei rivoltosi si erano
intanto attivati i “fratelli”
marocchini e tunisini, e per
riprendere in mano la situazione il
governatore d’Algeria, Robert
Lacoste, concesse all’esercito
poteri eccezionali.
Non bastasse, nel settembre 1956 i
francesi dirottarono ad Algeri un
aereo che portava da Rabat a Tunisi
alcuni capi del FLN, arrestando Ben
Bella e altri quattro leader.
«L’affaire del dirottamento e
l’arresto dei leader del FLN, in
primo luogo di Ben Bella, che era
agli occhi dell’opinione pubblica il
capo della ribellione algerina,
ebbero conseguenze gravissime»,
sottolinea l’esperta. Nei mesi
seguenti crebbero le operazioni di
guerriglia dell’ALN (forte di quasi
50.000 uomini, destinati ad
aumentare) e sui francesi d’Algeria
calò un clima di terrore, tanto che
molti coloni lasciarono le loro
proprietà.
La Francia rispose al FLN con
rastrellamenti violenti, un uso
frequente della tortura e
un’infinità di stupri a danno delle
donne algerine (alcuni coloni
iniziarono inoltre a organizzarsi in
milizie per stanare i ribelli).
Tutto ciò farà presto parlare di
“guerra sporca”, come denuncerà tra
l’altro nel 1966 il film La
battaglia di Algeri, il cui titolo è
legato alla guerriglia urbana che
travolse la capitale algerina tra
1956 e 1957.
A supervisionare la repressione fu
il generale Jacques Massu, che colpì
le strutture del FLN con vere
operazioni terroristiche. I francesi
attaccarono anche i villaggi
sospettati di offrire rifugio ai
ribelli. «L’8 febbraio 1958
bombardarono per esempio un campo
base dell’ALN e un villaggio
tunisino prossimo alla frontiera con
l’Algeria, uccidendo 70 persone, per
lo più civili, tra cui numerosi
bambini», ricorda Roggero. Furono
inoltre erette barriere lungo i
confini con Marocco e Tunisia – da
dove continuava a giungere supporto
ai ribelli – e furono concentrati
milioni di algerini delle aree
rurali in “campi di raggruppamento”
sotto stretta sorveglianza, per
impedirne la collaborazione coi
rivoltosi.
Da sempre restii a trattare con gli
insorti, i politici francesi
iniziarono pian piano a cambiare
atteggiamento, ma a quel punto si
scatenò la rabbia dei coloni più
oltranzisti, detti ultras, che il 13
maggio 1958, assieme agli ambienti
militari, avviarono ad Algeri una
rivolta che sfociò in un colpo di
Stato, con tanto di assalto al
palazzo del governatore. «Per tutto
il mese i francesi furono sull’orlo
della guerra civile: le possibilità
che l’esercito s’impadronisse del
potere erano concrete, e alla fine
il presidente René Coty chiese
l’intervento della sola persona
individuata dalla popolazione come
possibile risolutore della crisi,
Charles de Gaulle», racconta la
storica.
La candidatura del carismatico
generale, eroe della resistenza
contro i nazisti e già capo del
governo provvisorio della Repubblica
francese (1944-1946), fu approvata
dal parlamento il 29 maggio sotto la
minaccia dei golpisti di colpire
Parigi, e già il 4 giugno de Gaulle
si recò in Algeria, dove ravvivò gli
umori di tutti i francesi al grido
“Vive l’Algérie française”. A
seguire fu promulgata una nuova
costituzione (4 ottobre 1958) che
mandò in pensione la Quarta
Repubblica francese (nata nel 1946)
dando vita alla Quinta; quella
odierna. Il testo, oltre a un
ampliamento dei poteri
presidenziali, prevedeva alcune
aperture verso gli algerini, a cui
De Gaulle concesse anche nuovi
diritti elettorali. Non bastò però a
placare le ire del LFN, che instaurò
anzi un governo provvisorio della
Repubblica algerina, con sede
nell’esilio di Tunisi.
Nonostante l’efficacia delle
campagne militari, in Francia e
nella comunità internazionale
aumentò l’opposizione al conflitto,
sia per il gran numero di soldati
coinvolti (più di 400.000) sia per
le rivelazioni sulle torture e sia
per la diffusa idea che gli algerini
avessero in fondo diritto a
scegliersi il loro destino, cosa che
pensava anche l’ONU. Lo stesso de
Gaulle, divenuto presidente della
Repubblica, si aprì a nuove
prospettive.
«Il 16 settembre 1959 tenne uno
storico discorso – trasmesso alla
radio e alla TV – in cui, per la
prima volta, fu contemplato il
principio di autodeterminazione per
il popolo algerino», rivela Roggero.
Militari, coloni e ambienti della
destra francese si sentirono traditi
e nel gennaio 1960 organizzarono
violente proteste ad Algeri. De
Gaulle si appellò però alla lealtà
dei soldati e la rivolta sfumò.
Alcuni intellettuali francesi
firmarono poi un famoso documento,
il Manifeste des 121, che rimarcava
il diritto all’autodeterminazione
dei ribelli, ma servì a poco: i
colonialisti più estremisti,
confluiti nell’OAS (Organisation de
l’Armée Secrète), ripresero le
azioni terroristiche, anche su suolo
francese. Nell’aprile 1961 alcuni
generali ordirono quindi un nuovo
golpe, occupando vari centri
logistici di Algeri. De Gaulle, in
TV, ammonì: “un potere
insurrezionale si è installato in
Algeria [...], proibisco a ogni
francese e soprattutto a ogni
soldato di eseguire qualsiasi dei
loro ordini”.
L’appello funzionò e il “putsch dei
generali” ebbe fine. I francesi
accelerarono poi i colloqui con i
rappresentanti del FLN e il 18 marzo
1962, nella cittadina francese di
Évian-les-Bains, le due parti
firmarono i cosiddetti “accordi di
Évian”: la guerra, dopo aver mietuto
quasi un milione di vittime,
soprattutto algerine, era finita.
Gli accordi affidarono il futuro
dell’Algeria a un referendum
popolare. Il voto, svoltosi l’8
aprile in Francia e confermato da
una votazione del 1° luglio 1962 in
Algeria, sancì l’indipendenza del
Paese (i pieds-noirs tornarono in
massa in patria e l’anno seguente
Ben Bella divenne il primo
presidente della neonata Repubblica
d’Algeria). La storica dichiarazione
d’indipendenza, pur riconosciuta da
de Gaulle il 3 luglio, fu
ufficialmente festeggiata dagli
algerini il giorno 5, per rievocare
appunto la conquista coloniale
francese. Una “vendetta simbolica”
covata fin da quella lontana estate
del 1830.