N. 14 - Febbraio 2009
(XLV)
LA
GUERRA DELLE
IMMAGINI
Il conflitto a Gaza
e le sue conseguenze
di Laura Novak
"Attenzione: alcune di
queste immagini possono urtare la vostra sensibilità.”
L’avviso è scritto a piene lettere. Lo sfondo nero ti fa
presagire la sensazione che avrai al termine della
visione. Le parole sono chiare, ma, nonostante la loro
comprensibilità, non riescono ad essere davvero
realistiche. Strana Sensazione.
Annunciare l’orrore non può dunque rendere umanamente lo
shock per l’orrore in sé.
La nostra sensibilità potrebbe essere urtata, potrebbe
rimanere segnata. Quella stessa sensibilità, figlia del
nostro animo, nata dal bombardamento di immagini, suoni
e urla trasmesse dai telegiornali, dalle sillabe lette
nelle cronache nere dei quotidiani.
Ma il “dovere” di conoscenza spinge a scegliere, spesso,
sempre più spesso, di proseguire nella visione.
Il perchè la decisione sia quella di vedere, osservare,
poter commentare è complessa.
Come essere umani, consapevoli della nostra possibilità
intellettiva, siamo costantemente tesi verso la
conoscenza.
O almeno così dovrebbe essere, in ogni campo ed in ogni
tempo.
Ma esiste una sottile differenza tra il dover sapere ed
il voler macabramente sapere, o peggio vedere, quali
voyeur del nefasto?
Comprendere la guerra combattuta strenuamente per il
possedimento della Striscia di terra, più contesa di
sempre, è complesso, ma soprattutto argomento non
puramente storico.
Il mix è esplosivo: religione, società, potenza
politica, equilibrio mondiale, paure e fobie moderne.
La complessità dell’evento conduce poi, come nel caso
della guerra israeliano-palestinese, alla necessità di
una conoscenza importante e approfondita.
Ma la cronaca ed in particolare il suo “dovere”, negli
anni si sono evoluti, trasformandosi, con mutamenti
sottili, in svariate forme contorte.
La modernità dei mass media e la loro velocità di
trasmissione ha condotto l’informazione a essere
miniature dell’evento in sé.
Mancando le basi della fruibilità globale, la nozione
arriva quindi in maniera distorta, e, di conseguenza,
l’idea dello spettatore si formerà distorta nello stesso
modo.
Ed è proprio questa l’impressione nel caso specifico di
Gaza.
Le notizie risultano spesso contraddittorie, dimezzate,
smembrate, selezionate.
Tutto è filtrato dalla razionalità umana e dalla
convenienza che consegue al ragionamento.
Le parole, nonostante il loro valore etimologico
essenziale, possono essere interpretate, spesso
alterate.
E spesso è qui che subentra la necessità delle immagini,
con tutto l’orrore che ne consegue. Colmare lacune di
termini adeguati con istantanee inequivocabili.
Le reazioni alle immagini dei reporter possono essere
varie. La visione rimane pur sempre umana e personale.
Le emozioni immerse nelle lacrime su volti infantili,
trasfigurati dalla paura, sono onde potenti
inarrestabili.
Al termine della visione, in preda agli incubi che
quelle immagini fanno scaturire,
la repulsione per la crudezza della realtà è istantanea.
Se ne può fare a meno, almeno si crede.
Eppure non esiste possibilità di eguagliare quell’immediatezza.
Un concetto esplicito, senza interpretazioni.
Non esistono travisamenti dettate da schieramenti
politici.
E mentre in questi giorni l’impressione reale è che le
vittime abbiano peso e importanza diversa a seconda
della parte della trincea a cui appartengono, la verità
acquista valore oggettivo.
I numeri non possono essere i nomi delle vittime. Per
l’informazione mordi e fuggi a cui ormai siamo abituati
sarebbe troppo prolisso fare di quei numeri una storia
individuale, un ricordo che susciti emozione.
Le foto, allora, illuminano violentemente quello
ambienti, atmosfere, protagonisti e atrocità
inenarrabili.
E se, come in ogni contesto, il limite della decenza
deve in ogni caso resistere, dettato dal senso comune
del pudore, quei volti devono piombare nella
quotidianità borghese della parte del emisfero
fortunato.
Finchè i nostri occhi inorridiranno, allora non esisterà
svendita dell’avvenimento alla routine di un mondo in
costante fermento bellicoso.
Un giorno forse quel confine sottile, oggi sfruttato,
evanescente e spesso impietoso, sarò fatto di giusto
equilibrio tra animo umano e occhi realistici.
In quel momento l’informazione sarà libera.
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