LA GUERRA DEL GOMBE
UN CONFLITTO TRA SCIMPANZÉ PER
RIFLETTERE SULLA VIOLENZA
di Lorenzo Bruni
Una delle sage cinematografiche più
apprezzate degli ultimi anni, sia da
pubblico che critica, capace di
ottenere riscontro positivo sia da
critica che da pubblico, è quella de
Il pianeta delle scimmie.
Ispirata al romanzo dell’autore
francese Pierre Boulle, pubblicato
nel 1963, avrebbe in realtà avuto
inizio già nel 1968, anno in cui
venne prodotto un omonimo film,
diretto da Franklin J. Schaffner,
che ebbe considerevole successo; nel
corso degli anni successivi videro
la luce più seguiti di questo
lungometraggio, ma poco a poco
l’interesse verso il mondo
apocalittico dominato dalle scimmie
andò scemando, finché, nel 2001, Tim
Burton non decise di tentare di
ridare linfa alla storia ideata da
Boulle, dirigendo un film che,
nonostante un cospicuo budget
utilizzato e un cast all’altezza,
ricevette critiche molto negative e
si rivelò un flop al botteghino.
Solo nel 2011, grazie a L’alba
del pianeta delle scimmie,
diretto da Rupert Wyatt e scritto
magistralmente da Rick Jaffa e
Amanda Silver, la saga ha finalmente
trovato la giusta quadra: grazie a
una sceneggiatura solida e trovate
accattivanti, al momento consta di
quattro film, tutti apprezzati e di
successo, e punta a continuare nel
tempo.
Quello che lo scrittore francese non
poteva sapere, all’epoca della
stesura del romanzo, era che il suo
scritto sarebbe andato ad anticipare
degli eventi clamorosi che si
sarebbero verificati, pochi anni
dopo, nel Parco nazionale del Gombe
Stream, una riserva naturale in
Tanzania: una escalation di violenza
senza precedenti che avrebbe portato
a un vero e proprio conflitto… tra
scimmie!
A documentare gli eventi è stata
l’etologa Jane Goodall, i cui studi
sono stati recentemente
digitalizzati e studiati in maniera
approfondita: la ricerca di Goodall,
oltre a testimoniare il conflitto,
sono stati alla base di numerose
teorie riguardo l’ineluttabilità
della violenza negli esseri umani e
sono tutt’oggi materia di
discussione e studio.
Quando l’area tanzana divenne
patrimonio naturale, nel 1968, la
comunità di scimpanzé al suo interno
non era numerosa come lo è al giorno
d’oggi, dato che vi dimorano circa
duecento specie di scimmie. Nel
corso del 1974, però, si erano
andati formando due principali
gruppi distinti: a Sud si trovavano
i Kahama, sei maschi adulti, tre
femmine adulte e i piccoli, tra i
quali il più grande, Sniff, già
adolescente; nella parte centrale,
invece, risiedeva la più numerosa
tribù Kasakela: dodici femmine
adulte e otto maschi adulti.
I due gruppi convivevano in maniera
abbastanza tranquilla: come
riportato da Goodall capitava spesso
che, ricercando da mangiare, si
scontrassero, dando il via a
"teatrini" dove le scimmie battevano
pugni a terra e urlavano per
spaventare gli avversari, ma senza
mai sfociare in veri e propri atti
di violenza che anticipassero ciò
che sarebbe accaduto in seguito.
L’inizio delle ostilità è stato
datato al gennaio 1974, quando sei
membri della tribù Kasakela
attaccarono e assassinarono in
maniera assai brutale Godi, membro
Kahama. Nel corso degli anni
successivi, il gruppo Kahama mise in
atto una missione punitiva,
sembrerebbe guidata dalla vendetta,
assassinando tutti e sei i colpevoli
della morte di Godi.
Ciò però non bastò a sedare il
conflitto: la rabbia dei Kasakela si
manifestò con violente incursioni
nel territorio nemico, nel corso
delle quali le femmine Kahama
venivano stuprate, uccise oppure
fatte scomparire senza lasciare
traccia. Le brutalità continuarono
ad aumentare anche negli anni
successivi: le testimonianze di
Goodall e dei suoi studenti sembrano
indicare che gli scimpanzé, oltre a
uccidere i membri della comunità
nemica, si divertivano a infliggere
loro del dolore, per esempio
strappando loro i genitali, del
tutto o in parte, e prolungando la
sofferenza con morsi e attaccando
con bastoni.
Il conflitto si concluse nel 1978,
quando i Kasakela presero possesso
delle zone in precedenza Kahama,
cacciandoli via; si trattò di una
vittoria senza valore, in realtà,
perché negli anni successivi
dovettero abbandonare le aree a
causa dei continui attacchi della
comunità Kalende, proveniente da
Nord, molto superiore sia in forza
che in numero.
Al giorno d’oggi, quantunque le
ricerche condotte sugli studi di
Goodall da Joseph Feldblum e Anne
Pulsey, studentessa di Goodall ai
tempi della guerra, pubblicati poi
sull’American Journal of Physical
Anthropology, non è possibile
stabilire quale sia stata la
scintilla che ha portato allo
scoppio del conflitto; allo stesso
modo ci è impossibile determinare il
motivo per il quale la comunità di
scimpanzé, nel 1974, si sia divisa
in due sottogruppi in rapporti così
tesi fra loro.
Feldblum, capo ricercatore dietro le
ultime ricerche relative alla
Guerra, ha avanzato più teorie nel
tentativo di rispondere a queste
domande. Innanzitutto lo studioso ha
scartato l’ipotesi secondo la quale
questi gruppi fossero separati già
in partenza e si fossero uniti solo
per la convenienza nel ricevere il
cibo fornito dagli uomini,
definendola molto poco probabile;
anzi, proprio l’assenza di risorse,
e quindi la presenza di alcuni
alberi da frutto più ricchi rispetto
ad altri, e quindi più importanti da
controllare, secondo lui avrebbe
potuto essere elemento fondante
nella nascita delle ostilità.
Feldblum ritiene però che siano
stati due i fattori scatenanti del
conflitto. Per prima cosa, lui e
Pulsey hanno evidenziato come
all’epoca fosse in corso una lotta
al potere della comunità unita, tra
Humprey, il maschio alpha
nonché la scimmia più forte, e i due
fratelli Charlie e Hugh, più piccoli
e deboli ma abituati a combattere in
coppia e, per questo, temuti dal
primo: questa relazione tesa avrebbe
dunque portato ai primi scontri e,
soprattutto, alla nascita delle due
distinte fazioni. In secondo luogo
gli studiosi hanno evidenziato come
a partire dal 1972 la disparità tra
maschi e femmine all’interno del
gruppo si sarebbe andata
accentuando, con una netta
predominanza maschile: proprio tale
condizione avrebbe portato al
montare di malumore interno e di
forte nevrosi tra gli scimpanzé.
Tralasciando la parte storica
dell’evento, è opportuno
sottolineare come la ricerca
condotta da Goodall abbia causato
grande turbamento e fatto nascere
critiche assai divise e divisive: il
fatto che gli scimpanzé studiati
fossero appartenenti alla razza dei
"Pan troglodytes", molto legata
all’uomo e con un antenato in
comune, ha portato la ricerca sul
piano antropologico.
È possibile, dunque, che se la
violenza è innata in questo animale
a noi così vicino, lo sia anche
nell’uomo? Che quindi la nostra
razza sia destinata alla
conflittualità e che sia inutile
cercare di annullare o inibire
guerra e crudeltà, dato che sono
tratti obbligati dalla nostra
natura?
Se per alcuni la risposta è
positiva, non sono molte le
opposizioni alla ricerca di Jane
Goodall, che cercano di evidenziare
come l’elemento esterno sia stato
decisivo per l’aumentare delle
violenze: si sostiene per esempio
che i primatologi avrebbero viziato
il comportamento degli scimpanzé
fornendo loro cibo e di conseguenza
creando squilibri all’interno del
gruppo che, così, sarebbero sfociati
in azioni violente. C’è anche chi
sostiene come in realtà la causa
della rabbia degli animali sia da
ritrovare nella deforestazione
massiccia che in quegli anni aveva
interessato la Tanzania, diminuendo
loro le risorse per sopravvivere e
rendendo quindi il procacciarsi il
cibo più selvaggio e aggressivo.
Al di là di queste ipotesi, bisogna
sottolineare come la guerra del
Gombe sia considerata a tutti gli
effetti un unicum nella
storia: mai si era verificato, sia
allora che in seguito, un simile
conglomerato di violenza e crudeltà,
perpetrato, all’apparenza, con
premeditazione e spirito di
vendetta.
Il pensiero corre quasi
involontariamente a una delle scene
cinematografiche più belle di ogni
tempo: l’inizio di 2001: Odissea
nello spazio. Sebbene girato
prima della guerra del Gombe, non
può che essere curioso come Stalney
Kubrick abbia girato una perfetta
genesi della violenza, quando il
protagonista primate afferra un osso
e, con intuito, riesce a
trasformarlo in un’arma con la quale
attaccherà i suoi simili. Nel Parco
del Gombe, forse, sarebbe accaduta
una cosa simile…