contemporanea
GUADALCANAL 1942-1943
LA SVOLTA DEFINITIVA NELLA GUERRA DEL
PACIFICO?
di Lorenzo Lena
Trovare un punto di svolta in un
conflitto globale durato sei anni, che
si stima abbia causato sessanta milioni
di morti, è esercizio inevitabilmente
arbitrario. La frase attribuita a
Winston Churchill su El Alamein, “Prima
non avevamo mai vinto, dopo non avremmo
più perso”, racchiude una verità: i
momenti di svolta furono numerosi,
legati alle diverse fasi e ai diversi
fronti di guerra. Alcuni sono memoria
collettiva, vedasi lo sbarco in
Normandia che per lo storico Antony
Beevor servì sia a sconfiggere Hitler
sia a tenere Stalin fuori dall’Europa
occidentale. Per il Pacifico, scenario
esotico e lontano, si ricordano Pearl
Harbor, ogni 7 dicembre, e Midway
ogniqualvolta il filone hollywoodiano
torna sull’argomento.
C’è però un’isola, nel Pacifico
meridionale a nord dell’Australia, dove
è avvenuta la svolta più lunga, sette
mesi di battaglia, e meno appariscente
del conflitto. A Guadalcanal si è avuto
lo scontro, decisamente raro nella
storia militare, tra due opposte
iniziative strategiche. L’ultima spinta
verso sud delle forze imperiali
giapponesi, ancora pericolose dopo il
disastro subito a Midway e decise a
isolare l’Australia, e la prima
offensiva americana, ancora con mezzi e
risorse al limite, intesa a mettere in
sicurezza l’alleato e quindi l’intera
regione.
L’importanza di Henderson Field
Ragione dello sbarco americano
sull’isola, così repentino che i
marines del generale Alexander
Vandegrift lasciarono la Nuova Zelanda a
ranghi incompleti, fu la pista di
decollo giapponese da cui sarebbe stato
minacciato il territorio australiano.
Conquistata già il secondo giorno e
ribattezzata in memoria di un pilota
morto a Midway, Henderson Field fu il
fulcro di ogni combattimento successivo,
con gli americani intenti a allargare il
perimetro difensivo e i giapponesi
decisi a riconquistare o neutralizzare
il campo.
L’esercito imperiale riuscì a lanciare
due offensive, entrambe così male
organizzate e prive di supporto
logistico da concludersi in un disastro.
La battaglia passata alla storia come
Bloody Ridge, a metà settembre, e il
tentativo di fine ottobre furono
ostacolati dal maltempo, dall’ambiente
tropicale estremo, ma soprattutto dalla
mancanza di rifornimenti e uomini,
trasportati via nave con il contagocce
sotto costante minaccia aerea americana.
Il circolo vizioso delle forze
nipponiche, l’impossibilità di muovere
una forza sufficiente a neutralizzare
Henderson Field finché Henderson Field
non fosse stato neutralizzato, non poté
essere superato nemmeno con la tattica
del Tokyo Express. Il trasporto
notturno di poche centinaia di soldati
su veloci cacciatorpediniere costò il
lento dissanguamento della
marina, condannando gli uomini sbarcati
a patire la fame senza incidere sugli
eventi.
Il successo americano fu a caro prezzo,
con circa settemila tra morti e feriti,
ma le perdite giapponesi furono quasi
quattro volte più gravi e assestarono un
colpo micidiale all’esercito nipponico.
Anche le forze aeree del Sol Levante ne
uscirono malissimo, impegnate dal primo
giorno in continue sortite dalla troppo
lontana base di Rabaul per distruggere
la Cactus Air Force, la forza
aerea americana sull’isola. I duelli
quotidiani, cui i giapponesi potevano
dedicare solo la residua autonomia di
volo mentre gli americani si
appoggiavano alla pista sottostante, si
risolsero in decine di velivoli persi da
entrambe le parti senza che l’aviazione
nipponica riuscisse a compromettere
l’operatività della pista. Ultima
occasione per i leggendari caccia
Zero di misurarsi con avversari
inferiori prima dell’arrivo delle nuove
generazioni di aerei statunitensi,
Guadalcanal segnò una logorante
sconfitta da cui il potenziale
aeronautico giapponese, sostenuto da
un’industria militare asfittica, non
riuscì a riprendersi.
Per entrambe queste forze, esercito e
aviazione basata a terra (come negli
Stati Uniti, non esisteva un’aeronautica
indipendente, ma aerei assegnati
all’esercito o alla marina) la campagna
delle isole Salomone fu l’ultima
iniziativa strategica di rilievo nel
Pacifico, dopo la quale operarono con
sempre minore efficacia a difesa delle
varie isole di volta in volta investite
dall’avanzata alleata.
Scenario navale
Buona parte della campagna fu decisa
dallo scontro tra una US Navy
in crescita e incoraggiata dal trionfo
di Midway e una flotta nipponica esperta
e numericamente preponderante, ma reduce
dal disastro che l’aveva privata del suo
gruppo di portaerei di squadra e
afflitta da un’assurda strategia votata
allo scontro decisivo senza comprendere
che la vittoria risiedeva nella
cooperazione interforze.
Delle cinque battaglie di portaerei nel
Pacifico (mar dei Coralli, Midway,
Salomone orientali, Santa Cruz e Leyte)
due avvennero in questo scenario con
esito interlocutorio, ma indicativo
dell’errore di fondo giapponese:
considerare la distruzione della forza
nemica come un fine in sé, invece che un
mezzo per un obiettivo più ampio. Errore
imperdonabile quando si affronta un
avversario dall’enorme capacità
industriale.
Il 24 agosto alle Salomone orientali si
scontrarono un convoglio giapponese, uno
dei numerosi tentativi falliti di
rafforzare la guarnigione, e il gruppo
da battaglia della portaerei
Enterprise, che pur danneggiata
riuscì a decurtare l’aviazione imbarcata
giapponese. Il 26 ottobre a Santa Cruz
gli americani persero la Hornet,
veterana del raid su Tokyo e di Midway,
ma portarono in salvo il grosso delle
forze. In ciascun caso i giapponesi non
riuscirono a infliggere un colpo
definitivo, perdendo anzi forze
insostituibili.
Anche gli Stati Uniti subirono perdite
continue, dall’ultimo grande disastro
navale della guerra (battaglia di Savo,
in agosto), all’affondamento della
portaerei Wasp, fino alla
distruzione della task force del
contrammiraglio Daniel Callaghan,
consapevolmente sacrificata per
intralciare una pericolosa iniziativa
nemica.
L’altissimo rateo di affondamenti spiega
il soprannome di Iron Bottom Sound
dato alle acque attorno all’isola. La
capacità produttiva americana fu però in
grado di rovesciare la situazione,
passando dalla sola portaerei rimasta
operativa in ottobre, l’Enterprise,
alle decine di task forces
dispiegate in tutto il Pacifico pochi
mesi dopo (portando nel contempo avanti
la campagna dell’Atlantico, dall’altra
parte del mondo).
Fu sul mare che i giapponesi ottennero
il più grande trionfo in ottobre, la
quasi completa distruzione di Henderson
Field con un bombardamento navale
rimasto però senza esito, per
l’incapacità di sfruttarlo con una
decisa avanzata a terra, e la più grande
disfatta nella battaglia di novembre,
tra gli ultimi scontri di corazzate e
ultimo tentativo giapponese di ributtare
gli americani in mare.
La distruzione della squadra navale
inviata e del convoglio scortato mise
l’alto comando imperiale davanti alla
realtà dei fatti, sull’impossibilità
militare e industriale di sostenere una
campagna di mesi a cinquemila chilometri
dal territorio metropolitano.
L’espansione giapponese nell’oceano
aveva raggiunto il culmine, ma non
c’erano più le risorse per proseguire e
certo non per invadere l’Australia. Di
lì a pochi mesi sarebbe morto in
un’imboscata aerea americana
l’ammiraglio Yamamoto Isoroku, ideatore
della strategia navale di espansione e
suo alfiere, cui non sarebbe toccato di
vedere l’erosione dell’impero che aveva
contribuito a creare e di cui aveva
previsto la fine, senza però trovare la
forza di opporsi davvero alla guerra.
L’evacuazione via mare dei superstiti in
gennaio e febbraio fu il vero successo
giapponese, con gli americani incapaci
di fermare il deflusso di un nemico
sconfitto ma finalmente passati
all’offensiva, dopo i sei mesi
disastrosi seguiti a Pearl Harbor.
Fu allora un vero punto di svolta?
Parafrasando Churchill, prima di
Guadalcanal i giapponesi avevano sempre
avuto l’iniziativa, dopo poterono solo
reagire all’interno di un perimetro
sempre più stretto e con risorse sempre
più insufficienti. L’intero potenziale
bellico degli Stati Uniti era infine
entrato a regime e l’offensiva si
sarebbe conclusa solo nella rada di
Tokyo, tre anni più tardi.
Riferimenti bibliografici:
Matricardi P., I bombardieri della
seconda guerra mondiale, Mondadori,
Milano 2002.
Matricardi P., I caccia della seconda
guerra mondiale, Mondadori, Milano
2002.
Mueller J. N., Dalla sconfitta alla
vittoria, Osprey Publishing (RBA
Italia), 2009.
Stille M., Guadalcanal, 1942-1943.
Japan’s bid to knock out Henderson Field
and the Cactus Air force, Osprey
Publishing, 2019.
Valzania S., La guerra del Pacifico,
Mondadori, Milano 2020.
Young E.M., F4F Wildcat vs A6M Zero-Sen,
Osprey Publishing, 2013. |