[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

165 / SETTEMBRE 2021 (CXCVI)


contemporanea

GUADALCANAL 1942-1943

LA SVOLTA DEFINITIVA NELLA GUERRA DEL PACIFICO?

di Lorenzo Lena

 

Trovare un punto di svolta in un conflitto globale durato sei anni, che si stima abbia causato sessanta milioni di morti, è esercizio inevitabilmente arbitrario. La frase attribuita a Winston Churchill su El Alamein, “Prima non avevamo mai vinto, dopo non avremmo più perso”, racchiude una verità: i momenti di svolta furono numerosi, legati alle diverse fasi e ai diversi fronti di guerra. Alcuni sono memoria collettiva, vedasi lo sbarco in Normandia che per lo storico Antony Beevor servì sia a sconfiggere Hitler sia a tenere Stalin fuori dall’Europa occidentale. Per il Pacifico, scenario esotico e lontano, si ricordano Pearl Harbor, ogni 7 dicembre, e Midway ogniqualvolta il filone hollywoodiano torna sull’argomento.

 

C’è però un’isola, nel Pacifico meridionale a nord dell’Australia, dove è avvenuta la svolta più lunga, sette mesi di battaglia, e meno appariscente del conflitto. A Guadalcanal si è avuto lo scontro, decisamente raro nella storia militare, tra due opposte iniziative strategiche. L’ultima spinta verso sud delle forze imperiali giapponesi, ancora pericolose dopo il disastro subito a Midway e decise a isolare l’Australia, e la prima offensiva americana, ancora con mezzi e risorse al limite, intesa a mettere in sicurezza l’alleato e quindi l’intera regione.

 

L’importanza di Henderson Field

 

Ragione dello sbarco americano sull’isola, così repentino che i marines del generale Alexander Vandegrift lasciarono la Nuova Zelanda a ranghi incompleti, fu la pista di decollo giapponese da cui sarebbe stato minacciato il territorio australiano. Conquistata già il secondo giorno e ribattezzata in memoria di un pilota morto a Midway, Henderson Field fu il fulcro di ogni combattimento successivo, con gli americani intenti a allargare il perimetro difensivo e i giapponesi decisi a riconquistare o neutralizzare il campo.

 

L’esercito imperiale riuscì a lanciare due offensive, entrambe così male organizzate e prive di supporto logistico da concludersi in un disastro. La battaglia passata alla storia come Bloody Ridge, a metà settembre, e il tentativo di fine ottobre furono ostacolati dal maltempo, dall’ambiente tropicale estremo, ma soprattutto dalla mancanza di rifornimenti e uomini, trasportati via nave con il contagocce sotto costante minaccia aerea americana.

 

Il circolo vizioso delle forze nipponiche, l’impossibilità di muovere una forza sufficiente a neutralizzare Henderson Field finché Henderson Field non fosse stato neutralizzato, non poté essere superato nemmeno con la tattica del Tokyo Express. Il trasporto notturno di poche centinaia di soldati su veloci cacciatorpediniere costò il lento dissanguamento della marina, condannando gli uomini sbarcati a patire la fame senza incidere sugli eventi.

 

Il successo americano fu a caro prezzo, con circa settemila tra morti e feriti, ma le perdite giapponesi furono quasi quattro volte più gravi e assestarono un colpo micidiale all’esercito nipponico.

 

Anche le forze aeree del Sol Levante ne uscirono malissimo, impegnate dal primo giorno in continue sortite dalla troppo lontana base di Rabaul per distruggere la Cactus Air Force, la forza aerea americana sull’isola. I duelli quotidiani, cui i giapponesi potevano dedicare solo la residua autonomia di volo mentre gli americani si appoggiavano alla pista sottostante, si risolsero in decine di velivoli persi da entrambe le parti senza che l’aviazione nipponica riuscisse a compromettere l’operatività della pista. Ultima occasione per i leggendari caccia Zero di misurarsi con avversari inferiori prima dell’arrivo delle nuove generazioni di aerei statunitensi, Guadalcanal segnò una logorante sconfitta da cui il potenziale aeronautico giapponese, sostenuto da un’industria militare asfittica, non riuscì a riprendersi.

 

Per entrambe queste forze, esercito e aviazione basata a terra (come negli Stati Uniti, non esisteva un’aeronautica indipendente, ma aerei assegnati all’esercito o alla marina) la campagna delle isole Salomone fu l’ultima iniziativa strategica di rilievo nel Pacifico, dopo la quale operarono con sempre minore efficacia a difesa delle varie isole di volta in volta investite dall’avanzata alleata.

 

Scenario navale

 

Buona parte della campagna fu decisa dallo scontro tra una US Navy in crescita e incoraggiata dal trionfo di Midway e una flotta nipponica esperta e numericamente preponderante, ma reduce dal disastro che l’aveva privata del suo gruppo di portaerei di squadra e afflitta da un’assurda strategia votata allo scontro decisivo senza comprendere che la vittoria risiedeva nella cooperazione interforze.

 

Delle cinque battaglie di portaerei nel Pacifico (mar dei Coralli, Midway, Salomone orientali, Santa Cruz e Leyte) due avvennero in questo scenario con esito interlocutorio, ma indicativo dell’errore di fondo giapponese: considerare la distruzione della forza nemica come un fine in sé, invece che un mezzo per un obiettivo più ampio. Errore imperdonabile quando si affronta un avversario dall’enorme capacità industriale.

 

Il 24 agosto alle Salomone orientali si scontrarono un convoglio giapponese, uno dei numerosi tentativi falliti di rafforzare la guarnigione, e il gruppo da battaglia della portaerei Enterprise, che pur danneggiata riuscì a decurtare l’aviazione imbarcata giapponese. Il 26 ottobre a Santa Cruz gli americani persero la Hornet, veterana del raid su Tokyo e di Midway, ma portarono in salvo il grosso delle forze. In ciascun caso i giapponesi non riuscirono a infliggere un colpo definitivo, perdendo anzi forze insostituibili.

 

Anche gli Stati Uniti subirono perdite continue, dall’ultimo grande disastro navale della guerra (battaglia di Savo, in agosto), all’affondamento della portaerei Wasp, fino alla distruzione della task force del contrammiraglio Daniel Callaghan, consapevolmente sacrificata per intralciare una pericolosa iniziativa nemica.

 

L’altissimo rateo di affondamenti spiega il soprannome di Iron Bottom Sound dato alle acque attorno all’isola. La capacità produttiva americana fu però in grado di rovesciare la situazione, passando dalla sola portaerei rimasta operativa in ottobre, l’Enterprise, alle decine di task forces dispiegate in tutto il Pacifico pochi mesi dopo (portando nel contempo avanti la campagna dell’Atlantico, dall’altra parte del mondo).

 

Fu sul mare che i giapponesi ottennero il più grande trionfo in ottobre, la quasi completa distruzione di Henderson Field con un bombardamento navale rimasto però senza esito, per l’incapacità di sfruttarlo con una decisa avanzata a terra, e la più grande disfatta nella battaglia di novembre, tra gli ultimi scontri di corazzate e ultimo tentativo giapponese di ributtare gli americani in mare.

 

La distruzione della squadra navale inviata e del convoglio scortato mise l’alto comando imperiale davanti alla realtà dei fatti, sull’impossibilità militare e industriale di sostenere una campagna di mesi a cinquemila chilometri dal territorio metropolitano. L’espansione giapponese nell’oceano aveva raggiunto il culmine, ma non c’erano più le risorse per proseguire e certo non per invadere l’Australia. Di lì a pochi mesi sarebbe morto in un’imboscata aerea americana l’ammiraglio Yamamoto Isoroku, ideatore della strategia navale di espansione e suo alfiere, cui non sarebbe toccato di vedere l’erosione dell’impero che aveva contribuito a creare e di cui aveva previsto la fine, senza però trovare la forza di opporsi davvero alla guerra.

 

L’evacuazione via mare dei superstiti in gennaio e febbraio fu il vero successo giapponese, con gli americani incapaci di fermare il deflusso di un nemico sconfitto ma finalmente passati all’offensiva, dopo i sei mesi disastrosi seguiti a Pearl Harbor.

 

Fu allora un vero punto di svolta? Parafrasando Churchill, prima di Guadalcanal i giapponesi avevano sempre avuto l’iniziativa, dopo poterono solo reagire all’interno di un perimetro sempre più stretto e con risorse sempre più insufficienti. L’intero potenziale bellico degli Stati Uniti era infine entrato a regime e l’offensiva si sarebbe conclusa solo nella rada di Tokyo, tre anni più tardi.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Matricardi P., I bombardieri della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 2002.

Matricardi P., I caccia della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 2002.

Mueller J. N., Dalla sconfitta alla vittoria, Osprey Publishing (RBA Italia), 2009.

Stille M., Guadalcanal, 1942-1943. Japan’s bid to knock out Henderson Field and the Cactus Air force, Osprey Publishing, 2019.

Valzania S., La guerra del Pacifico, Mondadori, Milano 2020.

Young E.M., F4F Wildcat vs A6M Zero-Sen, Osprey Publishing, 2013.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]