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N. 72 - Dicembre 2013 (CIII)

La campagna di Guadalcanal
Operazione Watchtower

di Stefano Contini

 

Dopo l’attacco giapponese alla base americana di Pearl Harbor, scattò un’offensiva aerea statunitense contro la capitale nipponica il 18 aprile 1942, offensiva che si rivelò vincente. La difesa della città di Tokyo era stata intensificata con diversi gruppi di velivoli dell’esercito imperiale, ma ciò provocò una diversione di forze che alla lunga pesò sull’effettiva riuscita della campagna giapponese nell’oceano Pacifico.

 

I comandi militari di Tokyo decisero inoltre di intraprendere due operazioni: quella delle Midway e un’altra, vòlta a isolare l’Australia dagli Stati Uniti dopo aver sconfitto la flotta americana. Questa strategia, non sbagliata dal punto di vista politico, portò tuttavia il Giappone a poter schierare una quantità insufficiente di forze e di risorse nelle battaglie del Mar dei Coralli, delle Midway e di Guadalcanal.

 

Gli Stati Uniti si erano assunti la responsabilità di prendere il controllo del Pacifico (ad eccezione dell’isola di Sumatra): la zona sud-ovest fu affidata al generale MacArthur, il resto all’ammiraglio Nimitz. Le isole Salomone erano situate proprio sul confine delle zone di competenza americane e il piano prevedeva l’utilizzo delle forze terrestri di MacArthur e di quelle navali di Nimitz per contrastare le forze anfibie nipponiche.

 

I giapponesi avevano occupato l’Isola di Tulagi nel mese di aprile e avevano costruito degli impianti per l’aviazione a Guadalcanal, con i quali prevedevano di proteggere le isole vicine; gli americani, per non finire immediatamente sotto i bombardamenti nemici, impiegarono del tempo prima di definire precisamente la strategia d’attacco e la direzione delle operazioni.

 

L’esercito imperiale approfittò di questo lasso di tempo per schierarsi sulle isole, spostando alcune truppe dall’isola di Tulagi a Guadalcanal, allestendo inoltre una pista d’atterraggio. I comandi americani temevano, a ragione, che i giapponesi potessero utilizzare tale pista come base per i bombardieri e dovettero rivedere la strategia, ponendo Guadalcanal in cima alla lista degli obiettivi.

 

L’isola di Guadalcanal, vasta più di 5,000 km² e attraversata da montagne alberate, includeva anche diverse zone paludose e numerose caverne.

 

Subito oltre le spiagge si entrava in una fitta giungla, con animali anche molto pericolosi: tutto questo, unito a un clima caldo e umido, non contribuiva a fornire condizioni ottimali per i combattimenti. L’ammiraglio Robert Lee Ghormley ottenne la direzione strategica, mentre quella tattica fu affidata al contrammiraglio Frank Jack Fletcher.

 

Un supporto alle operazioni americane arrivò anche da alcune forze aeree con base a Port Moresby, nel Queensland e nelle isole della zona. Le forze da sbarco (I divisione marines e un reggimento della II divisione marines, per un totale di 19,000 uomini imbarcati su 19 trasporti truppe) erano comandate dal generale di divisione Vandegrift. L’operazione d’attacco alle Isole Salomone prese il nome di “Operazione Watchtower”.

 

Durante la fase di avvicinamento americano all’isola, i giapponesi rimasero silenti; il 7 agosto, iniziò il bombardamento aeronavale statunitense, coordinato agli sbarchi della fanteria avvenuti di mattina. Al tramonto, già 11,000 marines erano sull’isola e riuscirono ad occupare la pista d’atterraggio, poi denominata “Henderson Field”.

 

I giapponesi vennero bombardati dal mare e dal cielo e cominciarono a rifugiarsi nella zona ovest dell’isola. Oltre 2,000 soldati dell’esercito imperiale giapponese erano nascosti nella giungla: alcune segnalazioni dell’intelligence giapponese riferivano che le forze da sbarco americane non fossero in un numero tale da poter creare particolari complicazioni alle truppe nipponiche. Per questo motivo, i giapponesi non articolarono una strategia definita e iniziarono ad inviare contingenti sempre più numerosi, così da rendere una vera e propria campagna quella che doveva essere solo una battaglia per il controllo dell’isola.

 

La prima battaglia navale durante la campagna di Guadalcanal viene chiamata “Battaglia dell’Isola di Savo”. Le formazioni navali di scorta giapponesi avevano una potenza considerevole; la sera del 7 agosto l’ammiraglio di divisione Gunichi Mikawa, comandante in capo a Rabaul, radunò cinque incrociatori pesanti, due incrociatori leggeri e salpò quindi per Guadalcanal. Il giorno seguente le sette navi passarono senza disturbo attraverso lo stretto tra le due catene di isole dell’arcipelago delle Salomone (chiamato “Slot”) e verso sera si avvicinarono all’Isola di Savo; poco prima, Fletcher aveva fatto allontanare dalla zona le portaerei statunitensi, a corto di carburante e con solamente pochi caccia rimasti a bordo. Gli incrociatori e i cacciatorpediniere americani avevano adottato misure di sicurezza per la notte, ma i collegamenti tra le unità e la sorveglianza non furono efficienti.

 

Nelle prime ore del mattino, Mikawa colse di sorpresa il gruppo meridionale e poi quello settentrionale dello schieramento navale americano e meno di un’ora dopo ripercorse lo “Slot” per rientrare alla base. Risultato dello scontro furono quattro incrociatori pesanti alleati (uno dei quali australiano) affondati o sul punto di affondare e uno gravemente danneggiato, mentre le navi giapponesi ne uscirono quasi senza danni.

 

La flotta giapponese si era rivelata superiore nei combattimenti notturni rispetto a quella americana, aiutata da strumenti ottici eccezionali e dall’efficacia dei siluri da 610 mm. Fu, questa, una delle peggiori sconfitte navali inflitte agli americani nel corso della guerra.

 

Mikawa, tuttavia, non portò a termine la propria missione, dal momento che non distrusse le navi destinate al trasporto dell’equipaggiamento e dei rifornimenti, ormeggiate alla foce del fiume Lunga. Egli non era a conoscenza del fatto che le portaerei americane si fossero allontanate e temeva di doversi proteggere subito nei pressi dello Slot per non subire un violento contrattacco aereo, né sapeva del grande numero di forze americane dispiegate per la campagna di Guadalcanal.

 

Le restanti forze navali alleate si diressero poi verso sud e per due settimane i marines rimasero senza appoggio aeronavale. Dopodiché, entrato in funzione campo Henderson, atterrarono delle squadriglie aeree di marines.

 

I giapponesi ancora pensavano che vi fossero 2,000 marines e che 6,000 soldati imperiali sarebbero bastati per sconfiggerli. I primi due distaccamenti giapponesi, in totale 1,500 uomini arrivati a Guadalcanal a bordo di cacciatorpediniere, si lanciarono all’attacco senza attendere l’arrivo del secondo contingente e vennero così neutralizzati dai marines. Il secondo convoglio, formato da circa 2,000 uomini, salpò da Rabaul il 19 con una formazione di scorta che sarebbe servita da esca contro la flotta degli Stati Uniti. La formazione era guidata dalla portaerei Ryujo (anch’essa facente parte dell’esca), seguita da due corazzate e tre incrociatori agli ordini dell’ammiraglio Nobutake Kondō, oltre alle portaerei di squadra Zoikaku e Shokaku, sotto il comando dell’ammiraglio Chūichi Nagumo.

 

Gli “osservatori costieri”, soprattutto ufficiali della Royal Navy del servizio informazioni australiano, fecero da supporto alle operazioni di Ghormley e quest’ultimo riuscì a concentrare a sud-est di Guadalcanal tre formazioni navali con le portaerei Enterprise, Saratoga e Wasp. La portaerei Ryujo venne avvistata la mattina del 24 e affondata nel pomeriggio da aerei decollati dalle portaerei.

 

Una volta avvistate le due portaerei di squadra giapponesi, iniziò l’attacco americano contro di esse, portato dai caccia: degli 80 aerei giapponesi, 70 furono messi fuori uso, mentre gli americani ne persero solamente 17. Entrambe le formazioni si ritirarono durante la notte. In seguito, le forze giapponesi tentarono più volte di raggiungere Henderson Field, provocando però sempre più uccisioni tra le proprie fila; le lacune furono colmate da piccoli distaccamenti portati sull’isola da cacciatorpediniere (il processo, denominato dagli americani “Tokyo Express”, avveniva di notte).

 

Entro settembre i giapponesi avevano 6,000 uomini in più e fra il 13 e il 14 settembre attaccarono i marines in maniera violenta, ma dovettero rinunciare dopo aver perso oltre 1,200 uomini. I sommergibili giapponesi, però, erano nel frattempo riusciti a danneggiare gravemente la portaerei Saratoga e ad affondare la Wasp. La portaerei Enterprise era ancora in riparazione e solo la Hornet era, a questo punto, in grado di provvedere alla copertura aerea. Il 18 settembre il quartier generale giapponese dispose che la campagna di Guadalcanal fosse considerata una priorità rispetto alle operazioni in Nuova Guinea.

 

I nipponici sottovalutarono nuovamente l’entità delle forze dei marines a Guadalcanal, pensando non vi fossero più di 7,500 uomini e inviarono quindi una divisione, supportata dal già previsto intervento della flotta unita.

 

La seconda battaglia navale della campagna di Guadalcanal avvenne durante le operazioni per il trasporto del primo contingente di rinforzo giapponese (Battaglia di Capo Esperance). Le perdite non furono consistenti e nel complesso l’esito fu favorevole agli Stati Uniti e al morale delle truppe americane. Nel corso della battaglia, sbarcarono i rinforzi giapponesi, che arrivarono così a registrare 22,000 soldati sull’isola; gli americani contavano 23,000 unità a Guadalcanal, più altre 4,500 a Tulagi.

 

Tra il 13 e il 14 ottobre due corazzate giapponesi bombardarono Henderson Field, riducendo da 90 a 42 il numero di aerei americani sull’isola e distruggendo diversi depositi di carburante; i bombardieri pesanti americani furono così costretti a rientrare alle Nuove Ebridi. Nei giorni successivi, si verificarono continue incursioni dei bombardieri giapponesi. Gli americani furono tuttavia in grado di riparare in poche ore la base e poterono così far atterrare degli aerei di rinforzo, i quali il giorno seguente bombardarono un convoglio nipponico e distrussero tre navi da trasporto.

 

Il 24 ottobre scattò un’offensiva terrestre giapponese, già ritardata dalle forti piogge e dal fatto di doversi addentrare in una giungla molto fitta e insidiosa. L’attacco venne sferrato da sud, ma i marines erano ben appostati e grazie all’appoggio dell’artiglieria riuscirono a resistere: il Giappone perse 2,000 uomini, gli americani poche centinaia. I giapponesi, seguendo gli ordini del comandante Harukichi Hyakutake, entro il 26 si ritirarono.

 

Questa era la formazione della flotta unita di Isoroku Yamamoto: 2 portaerei di squadra, 2 portaerei leggere, 4 corazzate, 14 incrociatori e 44 cacciatorpediniere. La formazione era arrivata a nord-est delle Isole Salomone, aspettando la notizia della caduta di Henderson Field.

 

Per gli Stati Uniti, arrivarono la nuova corazzata South Dakota e parecchi incrociatori (la flotta americana rimase numericamente inferiore a quella giapponese, che contava circa il doppio delle unità navali). Una volta riparata, la portaerei Enterprise venne affiancata alla Hornet, il tutto mentre Ghormley veniva sostituito dall’ammiraglio Halsey.

Il 26 ottobre ci fu una battaglia navale conosciuta come “Battaglia delle Isole di Santa Cruz”: si trattava di uno scontro tra la flotta di Yamamoto e quella di Halsey. La portaerei Hornet venne affondata, l’Enterprise danneggiata, la Shokaku e la portaerei leggera Zuiho furono gravemente danneggiate; entrambi gli schieramenti si ritirarono il 27 ottobre.

 

I giapponesi avevano perso 70 aerei solo nello battaglia e nei dieci giorni precedenti la stessa.

 

Gli Stati Uniti ricevettero rinforzi quasi subito: arrivò il resto della seconda divisione marines, parte della divisione Americal e 200 aerei.

 

I giapponesi ricevettero rapporti stranamente ottimistici sull’entità dei danni inflitti al nemico: dopo aver ricevuto rinforzi, il Giappone si sentì in condizione di riprendere gli scontri.

 

L’alba di venerdì 13 novembre vide svilupparsi la Battaglia navale di Guadalcanal: Yamamoto fornì all’esercito 11 navi da trasporto per lo sbarco di 7,000 uomini sull’isola, ben equipaggiati. Inviò inoltre un incrociatore, 11 cacciatorpediniere e le navi Kirishima e Hiei (a bordo della quale si trovava il comandante delle due navi, il viceammiraglio Hiroaki Abe) con lo scopo di bombardare Henderson Field e distruggere i velivoli americani.

 

Gli americani intercettarono le navi nipponiche; la formazione statunitense era guidata dal contrammiraglio Daniel Callaghan (poi deceduto in battaglia), che disponeva di 2 incrociatori pesanti, 3 incrociatori leggeri e 8 cacciatorpediniere.

 

I servizi segreti americani vennero a conoscenza della volontà giapponese di attaccare e si decise di inviare un convoglio di marines e due battaglioni dell’esercito (la cosiddetta Task Force 67), oltre a diversi cacciatorpediniere: il convoglio riuscì, nonostante gli attacchi aerei giapponesi, a portare i soldati a destinazione.

 

L’esito della battaglia vide due incrociatori americani affondati (uno era l’Atlanta) e la corazzata giapponese Hiei riportò danni talmente gravi che dovette poi essere auto-affondata dal proprio equipaggio il giorno seguente (si trattava della prima corazzata persa dai giapponesi in guerra).

Fu, inoltre, affondato un cacciatorpediniere giapponese.

 

Nella notte tra il 14 e il 15 novembre, i giapponesi tentarono di far arrivare 11,000 uomini con un convoglio scortato da una grossa formazione di cacciatorpediniere, comandata dal contrammiraglio Raizō Tanaka e protetta da unità pesanti dell’ammiraglio Kondo.

 

Sette delle navi da trasporto furono affondate durante l’avvicinamento a Guadalcanal, altre quattro arrivarono vicino alle spiagge ma furono distrutte in mattinata con un’incursione aerea. Stessa sorte toccò all’incrociatore Kinugasa.

 

Quattromila soldati giapponesi del convoglio si salvarono, ma ai loro commilitoni sull’isola arrivarono comunque pochissimi rifornimenti. Durante questi ultimi scontro i cacciatorpediniere americani furono duramente puniti, mentre la corazzata Kirishima fu messa fuori combattimento (affondata da 3 cacciatorpediniere che subirono il cannoneggiamento avversario).

 

La Washington e la South Dakota subirono gravi danni, mentre l’ammiraglio Abe fu destituito dopo la distruzione per via aerea delle navi da trasporto. Kondo decise di ritirarsi, nonostante non avesse ancora bombardato Henderson Field.

 

Gli Stati Uniti erano in vantaggio con i rifornimenti e ne approfittarono per allargare il proprio perimetro sull’isola. Entro la fine del mese gli aerei americani a Guadalcanal erano quasi 200, ma il Giappone non inviò più rinforzi né rifornimenti particolari: solo a dicembre vennero inviati rifornimenti tramite dei sommergibili. La Marina da Guerra giapponese esortava a lasciare Guadalcanal, ma i capi dell’esercito, una volta radunati a Rabaul 50,000 uomini, contavano di inviare altri rinforzi per aiutare i 25,000 sull’isola. Entro il 7 gennaio 1943 le forze americane erano salite a più di 50,000 uomini con abbondanti rifornimenti.

 

I giapponesi avevano un terzo della razione normale (e questo li portava ad essere affamati, a nutrirsi di quello che trovavano, a contrarre malattie sempre più gravi), si difendevano tenacemente, ma comunque non riuscivano ad attaccare. Il 4 gennaio il Giappone decise di evacuare gradualmente Guadalcanal. Ignari, gli Usa continuarono a sviluppare con accortezza la propria offensiva: i giapponesi evacuarono in tre fasi tra il 1° e il 7 febbraio, perdendo solo un cacciatorpediniere.

 

In tutto, il Giappone perse 25,000 uomini (9,000 solamente per fame o per malattie), da aggiungere ai 600 aerei andati distrutti negli scontri ed ai relativi equipaggi. Circa un migliaio di giapponesi cadde prigioniero degli americani.

 

La battaglia delle Midway aveva rappresentato un freno per l’avanzata giapponese nel Pacifico sud-occidentale.

 

La conquista dell’isola di Guadalcanal fu la prima operazione anfibia della guerra; per gli Stati Uniti, perdere il controllo dell’isola significava consentire un attacco generale alle navi americane in tutto il Pacifico meridionale.

 

Lo storico Bix richiama la pressione fatta dall’Imperatore Hirohito per effettuare lo schieramento della potenza aerea nella campagna di Guadalcanal, insistendo anche contro il parere dello Stato Maggiore nipponico.

 

La sconfitta giapponese fu dovuta in modo particolare dalle forze aeree: il Giappone aveva perso quattro portaerei a Midway, diverse unità da guerra e due corazzate a Guadalcanal, compromettendo l’uso di centinaia di aeroplani. Gli Stati Uniti potevano contare su una fornitura continua di aerei e navi, mentre le unità da guerra giapponesi, una volta abbattute, non sarebbero state degnamente rimpiazzate.

 

In più, gli americani si rivelarono superiori nello scontro sulla terraferma, non solo per la potenza di fuoco, ma anche perché il Giappone non rifornì adeguatamente le truppe di terra, né impedì le operazioni di rifornimento americane.



 

 

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