“Ma quale sia l’origine di ciascuno
degli dèi o se fossero tutti
esistiti da sempre e quali mai
fossero d’aspetto, non era noto fino
a poco tempo fa, fino a ieri per
così dire. Esiodo e Omero infatti io
credo che siano vecchi di me di 400
anni e non di più: sono proprio
questi che hanno composto per i
Greci una teogonia, dato agli dèi i
loro epiteti, ripartito tra loro
onori e prerogative, e indicato il
loro aspetto”.
Nella Teogonia, poema
cosmoteologico, Esiodo, con
l’intento di ordinare l’intricato
coacervo di miti e di divinità,
distingue, nella creazione, una fase
cosmologica e una teologica. La
prima è dominata da entità
demiurgiche e totemaiche. La seconda
è dominata dagli dèi dell’Olimpo
guidati da Zeus. Discendente dalla
stirpe di Urano e di Gaia, ultimo
figlio di Kronos e Rea, Zeus
spodesta il padre e, abbattuti i
Titani, afferma definitivamente la
sua supremazia sul mondo, assegnando
agli dèi le rispettive attribuzioni.
Gli Olimpi (così detti dal monte
sacro Olimpo, situato tra la
Tessaglia e la Macedonia, su cui
sono immaginati collocati) o
Dodekathon (dal “grecoδώδεκα”
e “θεῶν”:
«dodici tra gli dei») sono le dodici
divinità principali: Zeus, padre
degli dei, dio del cielo, del
fulmine e dei fenomeni atmosferici;
Hera, figlia di Kronos e Rea, moglie
e sorella di Zeus, regina degli dei
e protettrice dei matrimoni e della
famiglia; Poseidone, figlio di
Kronos e Rea, dio del mare, dei
terremoti, della navigazione e dei
cavalli; Demetra, figlia di Kronos e
Rea, dea della fertilità e
dell’agricoltura; Apollo, figlio di
Zeus e di Latona, dio delle arti,
della musica e della scienza;
Artemide, figlia di Zeus e Latona,
sorella gemella di Apollo, dea della
caccia e della verginità; Hermes,
figlio di Zeus e della ninfa Maia,
messaggero degli dei e dio del
commercio; Athena, figlia di Zeus,
nata già adulta e armata dalla testa
del padre o dal polpaccio, e
dell’oceanina Metis; Ares, figlio di
Zeus e di Hera, dio della guerra;
Afrodite, figlia di Zeus e della
titanide Dione o, secondo altre
versioni del mito, generata dalla
spuma marina (dal greco “ἀφρός”,
sollevata dal membro di Urano,
evirato da Kronos, finito in acqua),
dea della bellezza e dell’amore;
Efesto, figlio di Zeus e Hera,
fabbro degli dei, dio del fuoco e
della metallurgia; Hestia, figlia di
Kronos e Rea, dea del focolare,
sostituita nel novero dei dodici dei
progressivamente da Dioniso, figlio
di Zeus e della tebana Semele (unico
dio olimpico generato da una madre
mortale), dio del vino e
dell’ebbrezza. A essi si aggiunge
una schiera di divinità minori:
Eolo, dio dei venti, Eos, dea
dell’aurora, Nike, dea della
vittoria, Pluto, dio della
ricchezza, ecc.
Processione dei dodici dei
dell'Olimpo, raffigurati ciascuno
con i propri attributi.
Frammento di rilievo di età
ellenistica (I a.C.-I d.C.), Walters
Art Museum, Baltimora. Da sinistra a
destra: Hestia (scettro), Hermes
(elmo alato e bastone), Afrodite
(velata), Ares (elmo e lancia),
Demetra (scettro e covone di grano),
Efesto (bastone), Hera (scettro),
Poseidone (tridente), Athena
(civetta, elmo e lancia), Zeus
(fulmine e scettro), Artemide (arco
e faretra), Apollo (lira).
Esseri superiori rispetto agli
uomini, gli dei sono immortali,
invulnerabili, invincibili. Non
sono, però, onnipotenti, perché il
loro volere è limitato dalla
Μοῖρα
(«destino»), una forza oscura, alla
cui ferrea necessità obbedisce
l’intero Universo. Nel XVI canto
dell’Iliade (vv. 433 ss.)
persino Zeus, tentato a intervenire
per difendere il figlio Sarpedone da
Patroclo, viene prontamente persuaso
da Hera a non cambiare ciò che è “πεπρωμένον
αἴσῃ”
(«dovuto al destino»).
Perfettamente umanizzati
nell’aspetto e nella più intima
natura, non sono esenti neppure dai
vizi e dalle debolezze terrene:
amano, vanno in collera, invidiano,
tradiscono. Nel XIV canto dell’Iliade
(vv. 315-328) Zeus, per convincere
Hera a credere alla veridicità della
sua passione e a cedere alle sue
profferte amorose, menziona
apertamente le amanti avute in
passato per dimostrare che nessun
sentimento è paragonabile a quello
che ora prova per lei.
Divinità buone e generose, ma al
momento giusto vendicative e pronte
a punire i trasgressori delle leggi
umane e divine, partecipano
attivamente alle vicende umane e ne
influenzano il corso. L’ὄλβος
(«benessere») che non conosce limite
e misura, se degenera in
ὕβϱις
(«tracotanza»), provoca lo
φθόνοςθεῶν
(«invidia degli dei»). Così Aiace,
colpevole di aver ritenuto superfluo
l’aiuto divino (Soph. Ai.
767-769, «Anche un uomo da nulla
può vincere con l’aiuto degli dei;
io ne faccio a meno e confido solo
in me per acquistare gloria»),
viene prontamente punito con la
follia e, accecato da Ate, massacra
con una furia spaventosa greggi,
armenti e guardiani, credendo che
fossero i capi argivi. Tornato,
però, in sé e resosi conto della
ridicola azione compiuta, si
suicida.
A
mano a mano, però, che l’uomo prende
consapevolezza del proprio “io”,
proporzionalmente gli dei vengono
sempre più messi da parte. In linea
con una visione laica e
razionalistica dell’esistenza, si
sfaldano progressivamente i miti
tradizionali. Così nell’Elettra
di Euripide è presente una critica
al dio di Delfi, che, pur essendo
giusto, non ha dato un responso
giusto a Oreste (vv. 1244-1246).
In Erodoto, poi, la complessa
impalcatura politeista viene ridotta
a un unico principio divino che
governa il mondo, indeterminato e
generico, qualificato come
ὁθεός
(«il dio») o ancor più genericamente
τὸθεῖον
(«la divinità») e ciò che distingue
il dio di un popolo da un altro
diventa solo il nome. Il complesso
sistema della religione greca,
risultato della contaminazione di
antiche divinità pre-greche,
pelasgiche, cretesi e micenee con i
nuovi culti portati dai popoli
invasori (Dori), infatti, verrà in
seguito assimilato dalla mitologia
etrusca e latina, con nomi e
attribuiti diversi.