N. 27 - Agosto 2007
E IL GRANDE INVIATO
ANDò IN RUSSIA
Parte V
di
Arturo Capasso
Lamberti Sorrentino:
Pekino contro Mosca, pp. 302, Aldo
Palazzi, 1960.
L’autore ha potuto
cogliere meglio degli altri la transizione verso
nuovi criteri di sviluppo, con la svolta politica
ed economica.
E’ partito con una
buona dose di ottimismo ed anche lui è stato succube
di accompagnatori controllori guida interpreti nei
numerosi ricevimenti e nelle presentazioni ufficiali
della nomenklatura.
Non comprendo alcune
sue affermazioni:
“La straordinaria
fortuna della Russia è di aver avuto a capo uno dopo
l’altro tre uomini di colossale statura, diversi
l’uno dall’altro e ognuno nel momento giusto: Lenin,
l’uomo della Rivoluzione, Stalin, l’uomo della
Guerra e Kruscev, l’uomo della Pace” (pag. 75).
Non finisce qui, c’è
di più e di peggio. sostiene infatti che Stalin agì
“per rovesciare, quando andava rovesciata, la
politica di Lenin” (pag. 75).
Simili corbellerie
sono inaccettabili.. Non conosce il leninismo
neppure per grandi linee e – peggio – ignora la
situazione alla morte di Lenin. Non accenna a chi
avrebbe potuto sostituirlo e seguire la sua linea.
Glissa la verità
storica e si butta - a capo fitto - ad avallare
l’azione d’un dittatore che accentrò nelle sue mani
tutto il potere, sottraendolo al Partito e al
Proletariato, che pur aveva fatto una Rivoluzione
molto cruenta con una lunga e logorante guerra
civile.
Adoperò il suo potere
come strumento di oppressione indiscriminata, dal
contadino della sua stessa Georgia al migliore dei
collaboratori.
Impresse un indirizzo
errato distorto alla politica industriale ed
agraria, creando perdite incalcolabili nella
tragica fase di passaggio da una economia
tradizionale a quella socialista.
Perché mai la politica
di Lenin doveva essere rovesciata “quando andava
rovesciata” e doveva essere trasformata da Stalin?
Ancora: “Sul quadrante
della vita in Russia, costituito da 360 gradi, il
fatto comunismo incide visivamente sopra una piccola
parte, un settorino” (pag. 46).
Ma perché Sorrentino,
che era amico dell’ambasciatore Luca Pietromarchi,
non s’è servito dell’ambasciata per documentarsi?
Sarebbe bastata
un’occhiata alle trasmissioni della radio- prima,
seconda, terza e quarta rete – e della televisione –
primo e secondo canale.
E sarebbe bastato
altresì ascoltare una decina di giornali radio. Non
parliamo poi degli altri mezzi di comunicazione, i
quotidiani, i periodici, le riviste specializzate di
partito e di associazioni, le proiezioni di film e
cortometraggi, i libri stampati in milioni di copie,
i manifesti, gli striscioni affissi nelle fabbriche,
agli ingressi di colcos e sovcos, nelle Università,
negli uffici postali, nei magazzini di verdura,
salumi, bevande alcoliche e gassate, nei punti dove
si potevano trovare due o tre sovietici.
Tutte novità per chi
viene a vivere in questo enorme Paese e che
all’inizio sembrano una grande infernale baraonda.
Per i primi giorni uno se le sogna, queste cose.
Poi, come del resto fanno tutti i sovietici, c’è una
forma di assuefazione e un rifiuto inconscio ai
messaggi obbligati.
Si leggono giustamente
le gazzette sportive, invece di sorbire i soliti
predicozzi della stampa di regime.
Si trascorrono intere
serate a leggere opere della fantastica
letteratura o semplicemente romanzi gialli, oppure
si beve con gli amici, pochi, fidati.
Ciò non toglie che la
parola comunismo sia il leitmotiv che accompagna
l’intero popolo, nelle grandi città come nelle
contrade isolate.
Ho accennato prima
all’ ambasciatore Pietromarchi. Ora bisogna sapere
che tutti gl inviati – una volta a Mosca –
passavano almeno qualche ora col nostro
rappresentante in quel Paese e annotavano le sue
impressioni, che erano molto acute, giacché egli
conosceva bene la vita sovietica ed era amico
personale di Krescev.
Gli inviati
ascoltavano e scrivevano, molto spesso senza citare
la fonte preziosa. Quando l’ambasciatore tornò in
Italia e cominciò a scrivere di quel Paese, molte
sue annotazioni sembravano di seconda mano, già
fatte dai vari inviati. Cos’era successo? Il nostro
ambasciatore aveva copiato?
Era vero il contrario.
Lui descrisse fatti vissuti in prima persona, ma le
sue osservazioni erano state recepite e pubblicate
in anticipo dai grandi giornalisti.
E torniamo a
Sorrentino.
Annota: “Ogni Ivan
può diventare Jussupof” (pag.40 ), e un po’ oltre:
“per la prima volta dalla notte dei tempi i bambini
sono uguali all’atto della nascita” (pag .146).
All’autore non è
capitato ascoltare un discorso di un padre
moscovita che si lamentava per non poter comprare
del latte a suo figlio, non tanto per mancanza di
soldi, ma per mancanza proprio del prezioso
alimento.
E non gli è capitato
neppure incontrare i rampolli della nuova classe,
che hanno la strada spianata per l’accesso
all’Università, tutte le facilitazioni per restare
in città, trovare un alloggio, acquistare un auto,
avere una dacia, ottenere il passaporto per recarsi
all’estero.
E’ vero, sono poche
persone, alcune migliaia, ed è vero pure che un
ragazzo veramente dotato può riuscire a far carriera
e ad occupare importanti posti.
Ma accanto troverà i
figli della nuova aristocrazia che comunque vanno
avanti.
I punti di partenza
non sono gli stessi.
Come ho accennato.,
solo coloro che dispongono di intelligenza
straordinaria – pur venendo da famiglie di operai o
contadini- riescono ad emergere.
Ho visto
all’Università di Mosca ragazzi di umili origine. Ma
quanti sono?
C’è un fenomeno di
capillarità sociale verso il basso? E’ rarissimo che
il figlio di un professore scelga di fare il
contadino…
La parità di diritti è
sempre e solo utopia. La Rivoluzione che doveva
portare avanti gli interessi del proletariato, ha
creato e rassodato le nuove classi.
Dopo tanti decenni,
tutte le sacrosante rivendicazioni sono un lontano
miraggio.
Qualche volta ho
annotato che i sogni di Tutto il potere ai soviet
e la susseguente Dittatura del proletariato
scomparvero con Lenin e la Rivoluzione
rimase in mani
mediocre.
Ma, a pensarci bene,
quella Rivoluzione era possibile?
Poteva avere una sua
applicazione?
Uno dei messaggi era:
A ciascuno secondo i suoi bisogni.
Quale comitato
infernale avrebbe potuto stabilire i bisogni di
ciascuno di noi?
I bisogni – come si
sa- sono primari, secondari, elastici, anelatici; le
variabili sono infinite.
I miei bisogni, chi me
li stabilisce? E con quale criterio?
Questo era – ed è
stato – il grandissimo limite ideologico : l ‘
impossibile applicazione dell’idea di dare a
ciascuno le cose di cui ha bisogno. |