Carlo Levi:
Il futuro ha un cuore antico, pp. 310, Einaudi,1956.
Anche lui – come
abbiamo visto per gli altri inviati di terza pagina
– non si stacca dal cliché dei visitatori
ufficiali, fra i quali ci sono giornalisti e
scrittori.
C’è la descrizione
della camera d’albergo, del Mausoleo, del Gum, della
Piazza Rossa., ma solo in Levi ho riscontrato una
ingenuità quasi infantile, inattesa.
Appena arriva
all’aeroporto, è preso in consegna da un certo
Stepàn Gheorghievic, che chiama affettuosamente
Stjopa.
Costui gli dice
garbatamente che non bisogna fare domande di un
certo tono. Esempio: “Chiedo a Vania, il bambino,
che mestiere fa suo padre( Stepàn mi fa notare che
è una domanda, a suo avviso, un po’ indiscreta) – Fa
l’autista- mi rispose”(pag. 82).
Chiede cosa mangia un
signore nel ristorante e il nome d’un bacino
minerario nei pressi di Rostov; Stjopa dice di non
saperlo.
L’episodio acquista
toni da melodramma: “A questo punto, con mia grande
sorpresa e infelicità, e, debbo confessarlo,
sgradevole senso di colpa, mi accorsi che Stepàn
Gheorghievic Naumov piangeva, e, mentre le lacrime
gli scendevano dagli occhi, mi diceva: - Le giuro
che non lo so, che non so come si chiama quel
bacino, e soprattutto che, in vita mia, non ho mai
guardato nel piatto di uno che mangia”.
Qual è la sua
reazione? Si sente colpevole, molto colpevole:
“…dico a Stefano di perdonare le mie domande
indiscrete e cerco di consolarlo” (pag. 173).
Cosa sono questi
pianti per domande innocenti? E siamo appena
all’inizio. Come potrà continuare la sua inchiesta?
Io avrei chiesto – con
molto garbo ma molta fermezza- la sostituzione della
guida accompagnatore controllore. O si sentiva – lo
scrittore – membro dell’esercito della salvezza?
Come avrebbe potuto –
con quella guida accompagnatore controllore
–chiedere ad un semplice “compagno operaio “ se si
trovava bene, se era soddisfatto?
Si, il povero Stjopa
sarebbe svenuto.
Seguono incontri
ufficiali, con l’onnipresenza dell’ accompagnatore.
Tranne qualche
eccezione. Quando si tratta d’un personaggio noto
super sicuro, si limita ad accompagnarlo e a
riprenderlo. Così avviene per la visita a Ilija
Ehrenburg: “Stepàn venne fino al pianerottolo,
aspettò con me che io suonassi il campanello…appena
la porta si schiuse, fuggì, per non lasciarsi
vedere, a precipizio per le scale” (pag. 87).
In verità devo dire
che in questo caso l’accompagnatore si comportò
bene.
A me, infatti, capitò
di sbagliare porta. E invece di trovarmi presso la
casa di una ricercatrice dell’Istituto Marxismo
Leninismo, dalla quale ero stato gentilmente
invitato, capitai in un appartamento definito
sistema corridoio:
ogni camera era
abitata da una intera famiglia e i servizi erano
comuni a tutti i nuclei familiari.. Il problema
della cucina era particolare. Si era costretti ad
usare pentole con lucchetti, per evitare che la
vicina arrabbiata e vendicativa vi mettesse un topo.
Io fui molto polemico
con la mia ospite e le feci presente che quel modo
di vita non andava bene. Mi rispose che la vita
sarebbe cambiata, che ogni nucleo familiare avrebbe
avuto un appartamento.
Obiettai candidamente:
ma lei, professoressa, lei che crede in un futuro
migliore per tutti, perché non dà fino a quel
momento un buon esempio e abita come loro, che
magari non hanno una fede così incrollabile?
Ma torniamo al nostro
inviato..
A sera, mentre i due
scrittori – Ehrenburg e Levi – stanno conversando,
ecco che Stjopa telefona “per chiedermi se può
mandarmi l’automobile”.
E lo paragona a “una
madre troppo premurosa” (pag. 87).
Bisogna notare che la
casa di Ehrenburg si trova all’altezza del
monumento a Jurij Dolgoruki, che dista solo cinque
minuti di cammino dall’ hotel Metropole,
ma uno straniero in
Russia- soprattutto se si tratta d’un personaggio
famoso –
può avere
degl’incontri poco raccomandabili. Può ricevere
telefonate di anonimi interlocutori che gli chiedono
un incontro riservato. E, infine, potrebbe scoprire
molti aspetti della vita d’ogni giorno che è meglio
tenere nascosti.
Questo – piaccia o no
– è il compito ingrato dell’accompagnatore guida
controllore, sia che l’ospite sia un comunista
ortodosso o un giornalista amico.
Il Levi non l’ha
capito e resta nella sua ingenuità.
Tutto ciò che annota
sulla vita e la soddisfazione dell’uomo sovietico
dipende da incontri selezionati, opportunamente
scelti.
La strategia solita e
collaudata è confondere le idee e far apparire
positiva una realtà negativa.
La vita di quel Paese
gli sembra a volte simile a quella di Torino, a
volte simile a quella della Lucania. Malaparte ha
ironizzato su questa ricerca di analogie li con la
città natale e con la regione dell’ esilio,che gli
diede celebrità.
L’autore si muove dal
Metropole di Mosca all’Astoria di Leningrado, con un
ricco taccuino di visite a monumenti, musei,
incontri con esponenti di associazioni di pittori e
scrittori.
L’Astoria mi ricorda
un episodio che mi piace riferire. Anch’io alloggiai
in quello albergo, durante l’anno accademico presso
l’Università di Mosca.
Ero all’ultimo piano e
verso mezzanotte non si riusciva a dormire, perché
c’erano comitive di russi ed americani che
schiamazzavano allegramente, con molta vodka in
corpo.
Presi un bel secchio
d’acqua, e giù, di botto. A modo mio avevo
collaborato alla coesistenza dei due sistemi. Si
unirono per imprecare a lungo.
E i sovietici? Dov’ è
descritta la loro vita di ogni giorno?
Ecco, bisognerebbe
dargli lo stesso consiglio che riceve nel colcos
Lenin a trenta chilometri da Mosca
:-“La vecchia mi
chiede se io parlo il russo e mi disapprova,
muovendo a rimprovero il dito, quando le dico che
non lo so.
-Studi, studi il
russo, - mi dice – e torni qui quando lo avrà
imparato, così
potremo parlarci
direttamente e ci intenderemo” (pag. 295)
La babushka in due
battute ci ha confermato tutti i limiti di tutti
questi inviati, che non possono avere un filo
diretto con l’interlocutore.
Il volume è ricco di
discorsi retorici con l’intellighenzia di turno e
gruppi di studenti.
Questo è stato –
ritengo – il fallimento del viaggio in Urss di Carlo
Levi.
Lui, che ha scritto di
gente umile e povera, facendoci sdegnare
profondamente,
se ne è andato in giro
fra banchetti e brindisi con gente della nuova
classe.
Gente per cui si dice:
On sidiet, anà idiòt e cioè lui siede, essa va. Essa
si riferisce allo stipendio che arriva puntuale,
ogni mese, mentre lui ozia.
Il suo è stato un
viaggio di riposo, una crociera fatta su una bella
nave.
C’è una certa
civetteria da madame stagionata:
“chissà se avrò tempo
di passare al Gum a comprarmi un cappello di
pelliccia?...mi aspetta l’automobile di Ehrenburg
per portarmi,in tutt’altra direzione, alla sua casa
di campagna”(pag. 296)..”e tornai a sdraiarmi, per
l’ultima volta, dietro le tende di damasco, sotto il
piumino di pizzo” (pag. 297).