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N. 25 - Giugno 2007

E IL GRANDE INVIATO ANDò IN RUSSIA

Parte II

di Arturo Capasso

 

Curzio Malaparte: Io,in Russia e in Cina, pp. 350, Vallecchi 1958.

 

L’autore aveva visitato Mosca già nel lontano 1929.

 

Era il periodo del primo piano quinquennale, della lotta per il potere.

 

Ed era il tempo della carestia nelle campagne, della corruzione e della depravazione.

 

Da  allora il popolo sovietico ne ha fatti, di progressi.

 

Pare che volutamente si attardi a descrivere come erano le cose allora, per poi mettere in risalto le grandi trasformazioni.

 

L’analisi è condotta con un metodo di retrospettiva, proprio come fanno i sovietici: Voi dovevate vedere come era qui la vita trenta  anni fa e, peggio, dopo la guerra. Ora stiamo meglio, molto meglio.

 

E’ un raffronto che vuole ottenere un effetto immediato.

 

Ma chi ricorderà  i sacrifici di milioni di operai, contadini, soldati e intellettuali?

 

E’ questo il punto. In Urss coloro che hanno avuto la possibilità di andare all’estero, si sono resi conto che con i sacrifici di anni ed anni dovrebbero stare meglio, molto meglio.

 

Malaparte sembra giustificare lo stalinismo e il suo terrore

 

Forse non ricorda che Trotzkij  s’era fatto sentire quando era Commissario alla guerra, viaggiava su un treno blindato con una guardia di tiratori scelti. C’erano vetture con telegrafi, tipografie per stampare giornali, manifesti, proclami. Pretendeva cieca obbedienza; i trasgressori erano fucilati  immediatamente, senza alcun processo.

 

C’era però questa differenza: Trotzkij era l’erede spirituale di Lenin, come i suoi scritti dimostrano ancora oggi.

 

Lui ascoltava la voce del Partito, cercava di realizzare le idee per le quali il popolo aveva fatto la rivoluzione e si era messo sotto la guida di Lenin

 

Con Stalin la storia ebbe un corso diverso. La concentrazione del potere nelle sue mani  portò ad una degenerazione del sistema, con perdite enormi di uomini e mezzi. E, soprattutto, con la perdita della speranza in un mondo migliore.

 

“ Nelle strade, nei teatri, nei ristoranti, la donna  non è un semplice ornamento. Fa parte della folla. E’ un elemento sociale, non un elemento decorativo” (pag. 53). C’ è in lui quasi un piacere nel vedere le donne attive, inserite nel ciclo produttivo, anche se vestite dimessamente, alla buona.

 E sembra volerle preferire alle donne che passano il mattino a farsi belle per passeggiare  lungo le strade alla moda, perdendo il loro inutile tempo e sciupando il danaro in cose ancora più inutili.

 

Ma l’autore non ha visto (o non ha voluto vedere?) la vera realtà della donna in Urss. Non c’è dubbio che ha acquistato una forte emancipazione e la Costituzione le garantisce uguali diritti, ma è troppo spesso impiegata in lavori pesanti, non adatti alla sua natura.

 

Una donna muratore, una donna che va giù in miniera  o che è alle prese con un bulldozer l’intero giorno, che femminilità può conservare?

 

E questo vuole significare parità di diritti?

 

L’otto marzo si festeggia  la giornata della donna; ci sono messaggi su intere pagine di giornali. Si acquistano fiori, regalini, tutto per loro. E’ la festa attesa per un anno intero.

 

Quel giorno tutti pensano in modo diverso – tenero – all’altra metà del cielo.

 

Ma l’indomani si ricomincia come al solito.

 

Ho visto donne scavare trincee con grossi compressori  ad aria compressa anche con una temperatura molto rigida. E gli uomini che avrebbero dovuto lavorare con loro stavano più in là, a cuocere la zuppa  e a scaldarsi.

 

Ho visto povere vecchie montare la guardia a un negozio per una notte intera, senza neppure una tazza di tè.

 

Ma ho visto pure donne della nuova classe, della nuova aristocrazia, viaggiare ben vestite in aereo, andare all’estero, avere il tempo di farsi belle e trascorrere delle ore in piacevole compagnia, al di fuori del vincolo familiare.

 

Malaparte scrive: “Di fronte al mio albergo, ieri mattina, ho visto ferme davanti alla vetrina di un negozio due donne in stivali, col fazzolettone in testa, che portavano in spalla una grossa trave. Davanti alle vetrine dei negozi di Rue de la Paix  o di Via Veneto, quelle due donne, oggi stonerebbero. A Mosca stonerebbero le belle frequentatrici di Via Veneto o di Rue de la Paix” (pag.54).

 

Ma perché non è uscito dall’accogliente albergo ed ha chiesto ad una di loro: quanto guadagni?  Sei contenta di questo lavoro?

 

E’ rimasto in albergo e quindi non ha visto (o non ha voluto vedere?) ciò che succede verso le dodici in via Gorkij : le mogli – o amiche – di alti burocrati, artisti, professori,  politici,  alti livelli della Nomenklatura si  attardano a fare shopping.

 

 No, non sono le code proletarie, lunghe decine di metri. Qui è tutta altra musica; infatti, queste belle signore, che troppo spesso tradiscono una origine molto umile coi gesti, il trucco marcato, la voce, vanno nei negozi di pellicceria, antiquariato, oggetti preziosi. E lì si paga in valiut, cioè in dollari. Sono accettate anche altre monete forti, ma si preferisce il green.

 

Questa – piaccia o no – è la realtà, piena di triste stridente contrasto.

 

E giustamente la donna proletaria si lamenta: Come si fa, sempre code dopo che ho lavorato tante ore? Torno a casa, devo pulire, cucinare, rassettare, accudire marito e figli.

 

E’ il grosso disagio della donna sovietica, che non lo racconta certo al primo venuto.

 

Parlando di  “quel mare di terra” Malaparte si lascia prendere da un entusiasmo

vivo, giovanile, per l’immensità e continuità della terra. E’ una esperienza indimenticabile.

 

Visita le nuove città, è la giovane Unione Sovietica che  vi ripone  molte speranze, è una scommessa sul futuro del Paese.

 

Si entra nelle viscere della terra e si prendono metalli rari, si regolano corsi di fiumi e si costruiscono dighe enormi per produrre energia, sorgono nuovi complessi industriali, colcos, sovcos, villaggi, città.

 

L’autore – ancora una volta – ha visto solo una faccia della luna.

 

Non sono capitate sotto il suo acuto sguardo le piccole izbe, le povere capanne disseminate nei vecchi centri  o lungo le rive, con iscrizioni anteriori alla Rivoluzione. Non ha visto i contadini – e i cittadini – che aspettano ore ed ore lungo la strada ferrata  o il molo in legno del fiume per comprare  pane, uva in pacchetti di cellophane, o scambiare  mele, patate, cetrioli.

 

Non ha visto i lunghi vagoni trasformati in abitazioni e le izbe cariche di gente ed animali.

 

Tutto procede per il meglio, giacché “ Dopo la morte di Stalin, la sua politica d’industrializzazione e di trasformazione agraria della Siberia è stata potenziata al massimo dall’attuale Governo collegiale sovietico” (pag. 66).

 

Siamo allora in presenza di un governo collegiale, non c’ è più assolutismo.

 

Bene, ha visto tutto, ha visto bene (Con gli occhi chiusi?). Tanto vero che in meno di un anno il suo libro ebbe una decina di edizioni.

 

Un vero trionfo.

 

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