N. 24 - Maggio 2007
E IL GRANDE
INVIATO ANDò
IN RUSSIA
Parte I
di
Artuto Capasso
Era una specie di pellegrinaggio, un
viaggio necessario.
I
più blasonati giornalisti di terza pagina andavano a
Mosca e qualcuno si spingeva fino a Leningrado.
soggiornavano una quindicina di giorni, tornavano e
puntualmente scrivevano un libro, convinti di avere
capito tutto.
Ne
rileggiamo alcuni, a futura memoria.
Luigi Barzini jr Mosca Mosca , pp.224,
Mondadori 1960.
Ci
sono decine di accostamenti con quanto avviene a Roma,
New York, Parigi, Londra, con vecchi stili e modi di
abitare, vivere.
Tutto questo per dimostrare che “La Russia è Russia”.
L’autore scrive:
“
Per molte ragioni, quando il viaggiatore ignorante
conversa con un cauto funzionario, con un esperto, o
un uomo di cultura, la nebbia ideologica si disperde.
Si parla faticosamente una lingua straniera, che il
russo conosce a mala pena. Oppure si filtrano
concetti, domande e risposte attraverso l’interprete,
che non sempre afferra l’intenzione di ciò che si sta
dicendo e parafrasa alla meglio, usando parole sue…
Ci
si riduce all’essenziale anche perché, guardandosi in
viso, per una inevitabile pudicizia umana, si evitano
i discorsi polemici” (pag. 26 e 27).
Se
non discute, perché è andato in quel Paese?
Forse per scrivere una nuova guida turistica, visto
che la sua era del 1897…
Su
questo leitmotiv va avanti, per oltre duecento pagine.
“La
sera si va a teatro. Non c’e nulla di meglio…Sono
quindi andato a teatro due sere su tre” (pag. 68).
E,
invece, proprio a sera ci sono aspetti della vita che
non appaiono di giorno.
Donne che arrivano spedite e tutte imbacuccate nei
quartieri residenziali dopo il turno pomeridiano nel
negozio e nella fabbrica. Hanno fra le mani la solita
reticella con qualcosa comprata in fretta al
mercatino o facendo la coda.
Si
esce di casa sempre con la rete per la spesa.
Improvvisamente può arrivare in un negozio qualcosa
che mancava da tempo, come la carta igienica.
Negli angoli, sotto i portoni, ci sono ubriachi
distesi, privi di conoscenza Preferiscono la sera per
non essere portati via dalla polizia . Hanno scelto le
ombre della notte come complici.
Qualche volta mi è capitato di aiutarli, dando loro un
bel ceffone e spruzzando acqua fredda sul volto. Il
metodo era ed è infallibile e i passanti che s’erano
fermati a guardare se ne rallegravano.
Si
va nei quartieri di periferia, dove sono sorti enormi
scatoloni per sopperire all’esigenza di alloggi. Si fa
di tutto per restare nella capitale : matrimoni,
separazioni, intrallazzi di ogni genere.
La
gente per strada è scarsa, restano i ragazzi a giocare
con le piccole slitte.
Dalle finestre filtra una luce fioca, trattenuta dalle
tende orlate che custodiscono la privacy , alla quale
il russo è giustamente attaccato.
A
sera si fanno incontri con gente ancora più anonima,
perché i volti non si vedono.
Parlano, parlano a lungo, fino alle prime luci
dell’alba, anche se fa freddo – con molti gradi
sottozero – o se fa caldo.
Basta sedersi su una panchina ed attendere, Parlano e
stanno a raccontare per tutta la notte la loro vita, i
timori, le aspirazioni represse, le speranze che si
fanno sempre più flebili.
Incontri donne che conducono gli ultimi tram, che
spazzano le strade con grossi camion, che tengono
sotto braccio i loro uomini cascanti.
Quante, quante altre nei pesanti cappotti a fare la
guardia l’intera notte.
E,
se sono all’interno, le vedi raccolte su un tavolo,
senza neppure una coperta.
Sono
dure, più del legno che le accoglie.
Parli e ti raccontano che furono partigiane…uccisero
dei tedeschi…lavorarono in campagna al Nord.
Guadagnano pochi rubli , appena sufficienti per un
pezzo di pane.
E
torniamo al nostro inviato.
La
lettura scorre fra la descrizione di alberghi e
ristoranti, di via Gorkij e del colore dei calzini
portati dai camerieri.
Non
mancano spunti finali di critica teatrale.
Il
nostro autore osserva che la “società è divisa in
classi sociali” (pag. 103 ).
Parla di classi, ma glissa l’argomento, senza cercare
ci capire che tipo di stratificazione sociale è venuto
a formarsi.
Un
giovane economista dirigente industriale gli dice:
“Lei non ha capito nulla dell’ Unione Sovietica, oggi”
(pag. 105 )
Come
dargli torto?
Tratta Kruscev come dittatore liberale, facendolo
apparire un sovrano illuminato.
E’
vero che i sovietici vedono una diminuzione della
tetra cappa, ma sanno pure che il nuovo capo del
Cremlino s’è fatto avanti in punta di piedi, ha
consolidato la sua posizione con una strategia ben
definita, facendo passare per traditore e revisionista
al servizio dell’imperialismo chi non segue la sua
linea.
Il
Barzini non riesce ad entrare nello spirito dei russi,
non comprende i loro problemi. Né si rende conto che
il ventilato ritorno alla base per decisioni
collegiali è un vuoto sofisma
La
dittatura del proletariato se l’è portata Lenin nella
tomba, anzi nel Mausoleo
Ma
fin dai suoi tempi il sistema dimostrò crepe paurose,
che poi avrebbero fatto collassare l’intero impero.
Tralasciamo alcuni abbagli presi nell’esposizione
dottrinaria e nell’uso del frasario russo.
Ma
per alcuni non possiamo transigere.
Scrive a pag. 17 : “Le donne attraversano impavide le
fasi contraddittorie della rivoluzione permanente”
Intanto, le donne sono stanche, stanchissime, del
sistema e poi la rivoluzione permanente è figlia del
trotzkismo, con buona pace del leninismo e dello
stalinismo.
Si
ferma a lungo su un proverbio russo: “Cto Russkomu
zdorovo, Niemtsu smert” e traduce: “Ciò che è la
salute per i russi può essere la morte per gli
stranieri” (pag. 155 ).
Invece, l’esatta traduzione è: Ciò che per il russo è
salute, per il tedesco è morte. Il contrasto è fra il
russo e il tedesco, e non fra i russi e tutti gli
stranieri.
Ancora: “La stessa parola “ Soviet” è antica” (pag.
183 )
Sarebbe come dire che la parola sputnik è antica.
Infatti, significa compagno di viaggio e la si trova
abbondantemente nella letteratura russa
dell’Ottocento.
Il
termine Soviet ( consiglio) fu applicato per la prima
volta da Lenin per dare un nuovo significato al
potere: si trattava di soviet di operai, di contadini,
di soldati.
E’
un reportage da leggere senza attenzione, stando
seduto in poltrona e dando una sbirciatina alla
televisione.
Non
solleva problemi, tratta il tutto con agganci alla
vita occidentale, non vuole scuotere il lettore.
Il
tutto è soft, molto soft. Perciò gli hanno dato un
premio. |