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N. 81 - Settembre 2014 (CXII)

Regia Marina e Grande Guerra
L’impresa di Premuda (10 giugno 1918)

di Leonardo Merlini

 

La prima guerra mondiale rappresentò per la Regia Marina un costante e oscuro impegno che fu, con enormi sacrifici, ripagato con la vittoria finale.

 

Pur non tralasciando interventi a fianco dell’Intesa in altri bacini, il grosso della Flotta italiana operò per conquistare il potere marittimo in Adriatico. A fronte della superiorità delle forze navali italiane, l’Austria-Ungheria poteva contare sull’enorme vantaggio geo-strategico costituito dalla conformazione frastagliata e riparata delle coste orientali adriatiche, che potevano dare sicuro e repentino ridosso ai propri mezzi navali.

 

Dal 24 maggio 1915 inizia per la Regia Marina una snervante guerra d’attesa e agguato.

La soluzione prospettata dagli alleati e, successivamente alla loro entrata in guerra anche dagli Stati Uniti d’America, della battaglia navale risolutiva era impensabile, come impensabile era anche destinare il comando delle operazioni navali in Adriatico ad un’altra nazione che non fosse l’Italia.

 

Oltre alla conoscenza minuziosa delle pericolose ed insicure acque adriatiche, l’Italia doveva, una volta per tutte, vendicare la tragica giornata di Lissa (20 luglio 1866).

 

Proprio dell’inopportunità di uno scontro navale in grande stile e di assegnare il comando navale dell’Adriatico ad altre nazioni, ne fu strenuo rappresentante l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, capo di stato maggiore della Regia Marina, che nei vari comitati militari interalleati dovette rigettare ogni tentativo in tal senso.

 

Fra tutti ricordiamo l’Allied Naval Council del 12-14 marzo 1918 a Londra, nel quale fu riproposta un’azione in grande stile che gli americani avrebbero voluto compiere nell’Adriatico con i loro mezzi.

 

Comprendendo quale pericolo sarebbe stato per l’avvenire della Dalmazia se un’altra bandiera, non italiana, avesse sventolato sulla sponda orientale dell’Adriatico, il Revel dichiarò con tutta energia che «ogni questione adriatica era una questione essenzialmente italiana e che qualsiasi azione in Adriatico doveva essere comandata da un marinaio italiano» e, successivamente, che «la questione non ammette il minimo dubbio e perciò io considero ormai l’argomento del Comando in Capo Adriatico, come tassativamente definito. Esso è e deve rimanere italiano com’è stabilito dalle esistenti convenzioni (patto di Londra, 26 aprile 1915, ndr), e prego pertanto di considerare la questione esaurita, evitando ulteriori discussioni alle quali, con mio dispiacere, non potrei partecipare» (cfr Fulvio Vicoli, Il condottiero di una flotta vittoriosa, Edizioni La Prora, Milano, 1934).

 

Grazie alla caparbietà dell’ammiraglio Revel, fino all’armistizio nessuno riuscì nell’impresa di accaparrarsi il comando navale dell’Adriatico e nessuno mise invano a repentaglio la Flotta alla ricerca della battaglia risolutiva.

 

La guerra sul mare venne invece condotta con una snervante attività di vigilanza (svolta dal naviglio leggero, dai Mas, dai sommergibili e dai velivoli) e con una serie di agguati premeditati e casuali (condotti da Mas e sommergibili).

 

I motoscafi antisommergibile (Mas) armati di siluro, in particolare, vennero adibiti costantemente alla vigilanza delle coste nemiche dall’agosto 1917. I loro compiti erano quelli di rimanere dislocati, in sezioni di due, durante la notte, sulle rotte battute dal nemico o su tratte opportunamente riportate da fonti intelligence.

 

Essi attendevano fermi in zona, pronti a sferrare l’attacco decisivo con siluri in caso di avvistamento.

 

L’attività di vigilanza che portò a diversi attacchi contro le navi austriache, unita allo sbarramento del canale d’Otranto, contribuì a sanare lo svantaggio geografico dato dalla morfologia costiera e, con la forza della deterrenza, contribuì a prevenire e impedire in gran parte le scorrerie nemiche. Questa tattica innervosì e preoccupò il comando navale austriaco, il quale intuì che, sebbene protette, le proprie navi iniziavano a non essere più al sicuro.

 

Il giovanissimo e agguerrito contrammiraglio Horty, comandante supremo della Flotta austriaca dal febbraio 1918, animato da spirito fortemente aggressivo, pianificò nel giugno del ’18 un attacco in grande stile allo sbarramento di Otranto.

 

Egli intendeva attaccare le forze mobili dello sbarramento il mattino dell’11 giugno con 2 esploratori e 3 cacciatorpediniere, mentre un secondo gruppo di 2 esploratori e 4 siluranti doveva bombardare gli impianti di Otranto.

 

Contemporaneamente alcuni sommergibili avrebbero preso una dislocazione conveniente e 40 idrovolanti avrebbero dovuto eseguire un bombardamento intenso di Brindisi, Valona, Otranto.

 

Finalmente le 4 unità maggiori, scortate da 5 cacciatorpediniere dovevano affrontare le nostre unità uscite da Brindisi (cfr Comandante Guido Po, La guerra marittima dell’Italia, Edizioni Corbaccio, Milano, 1934).

 

L’ammiraglio Revel non appena apprese del cambio di comando austriaco, presagì gli avvenimenti futuri e il 3 marzo 1918 inviò ai comandi superiori il dispaccio 133 RR P. «(...) il nuovo Comandante in Capo della Flotta desideri di affermarsi con una linea di condotta più attiva e tale che esponga a delle imprudenze, delle quali dobbiamo essere pronti ad approfittare … per attaccare coi sommergibili, cacciatorpediniere, torpediniere e Mas» (cfr Comandante Guido Po, La guerra marittima dell’Italia, Edizioni Corbaccio, Milano, 1934).

 

Stabiliti i relativi accordi con gli alleati francesi in caso di uscita della Flotta austriaca, venne disposta un’aumentata vigilanza del naviglio insidioso soprattutto nel periodo 5-11 giugno (periodo di luna nuova).

 

Le navi da battaglia austriache lasciarono Pola in due gruppi separati, il primo la notte dell’8 giugno (Viribus Unitis, con a bordo l’ammiraglio Horty, e Prinz Eugen) e il secondo - scortato da 7 siluranti - la notte successiva (Szent Istvan e Tegetthoff), gruppi che avrebbero dovuto ricongiungersi in mare all’alba dell’11.

 

Le azioni furono condotte in gran segreto e tale situazione ritardò la partenza del secondo gruppo, a causa di inconvenienti nell’apertura delle ostruzioni del porto dovuti alla mancanza di preavviso.

 

Proprio questo banale inconveniente costringerà il gruppo navale a transitare nottetempo nella zona di agguato dei nostri Mas 15 e 21 al comando rispettivamente dei comandanti Rizzo e Aonzo, usciti da Ancona a rimorchio delle torpediniere 18 e 15 OS.

 

Il naviglio alleato nell’Adriatico, quella notte, era composto da 4 sommergibili e 2 Mas (appoggiati a 2 torpediniere leggere) all’agguato nei pressi di Premuda; 6 sommergibili in centro Adriatico a sud del parallelo di Cattaro; 2 sommergibili nelle zone di Brindisi e Valona; 2 torpediniere costiere a Capo Pali; 2 esploratori leggeri in crociera sulla rotta Durazzo-Brindisi; 10 cacciatorpediniere in crociera di protezione allo sbarramento di Otranto; esplorazioni aeree all’alba.

 

Alle ore 3:15 Rizzo, che comandava la sezione, avvistò una gran nuvola di fumo e, sebbene in dubbio sull’identità dei bersagli, decise per l’attacco. I due Mas invertirono la rotta e diressero contro le unità nemiche alla minima velocità per non palesare la loro presenza.

 

Portatisi all’interno della formazione nemica eseguirono il lancio sulle due unità maggiori, riconosciute come navi da battaglia. I due siluri lanciati dal Mas 15 di Rizzo colpirono la Szent Istvan il primo fra i due fumaioli, il secondo a poppa; quelli del Mas 21 di Aonzo contro la Tegetthoff non raggiunsero il bersaglio.

 

I due Mas, quindi, manovrarono per evitare l’inseguimento nemico e Rizzo prontamente buttò a mare due bombe antisommergibile, una delle quali scoppiò sotto la prora del cacciatorpediniere inseguitore, che desistette.

 

I Mas fecero così rientro incolumi ad Ancona con il tricolore grande a riva, che segnalava l’esito vittorioso della missione.

 

L’agonia della Szent Istvan fu piuttosto lunga, rimase a galla per due ore e mezza e l’equipaggio potè in gran parte salvarsi, ma a nulla servirono tutte le azioni messe in atto dalla gemella Tegetthoff per evitarne l’affondamento.

 

Per ironia della sorte le fasi della tragedia furono riprese da un apparato cinematografico che l’ammiraglio Horty aveva imbarcato sulla Tegetthoff, per immortalare l’impresa austriaca. Lo stesso Horty, constatata la perdita della grande nave da battaglia si vide costretto ad annullare l’operazione.

 

Il fallimento dell’azione austriaca influì negativamente sul morale degli equipaggi austriaci e di fatto pose fine alle ostilità navali poiché non furono più tentati attacchi da parte degli Imperi Centrali.

 

L’azione di Premuda di fatto sancì la vittoria dell’Intesa sull’Adriatico e contribuì notevolmente sulle sorti del conflitto. Premuda significò anche la rivincita sull’infausta giornata di Lissa.

 

Premuda, infine, significò la vittoria della linea d’azione navale italiana e la vittoria particolare dell’ammiraglio Thaon di Revel, che per quella condotta si era battuto strenuamente in ogni consesso e con ogni mezzo.

 

A suggello dell’importanza di Premuda la Marina Militare italiana celebra ancor oggi, proprio il 10 giugno di ogni anno, la propria festa e il Mas 15 di Rizzo è ancora gelosamente conservato al Vittoriano, simbolo dell’abnegazione e dell’eroismo dei nostri antenati, fulgido esempio di virtù e coraggio per le future generazioni.



 

 

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