N. 70 - Ottobre 2013
(CI)
gEORGE GORDON BYRON
"LE RIVOLUZIONI NON SI FANNO CON L’ACQUA DI ROSE"
di Giovanna D’Arbitrio
Chi era Byron? Un libertino? Un poeta maledetto? Sicuramente
fu
un
ribelle
che
odiò
l’ipocrisia
della
società
inglese
dell’epoca.
Osò
sfidarla
e
per
salvarsi
dovette
fuggire
dal
suo
paese.
In Europa ebbe un grande successo e rappresentò la quintessenza
“du
mal
du
siècle”:
ribellione,
trasgressione,
amore
per
la
libertà,
inquietudine
e
una
sorta
di
ansia
cosmica.
Eroe tormentato e fatale, amorale, scettico e melanconico,
visse
spesso
nel
mondo
come
uno
straniero,
con
una
personalità
fatta
di
un
curioso
miscuglio
di
opposti.
Forse il vero Byron si scopre soprattutto nel suo diario e
nelle
lettere
a
parenti
e
amici,
in
cui
svela,
con
estrema
sincerità,
debolezze,
dubbi,
sofferenze
e
confessioni
riguardanti
la
sua
deformità
fisica
(era
zoppo),
l’infelice
rapporto
con
la
madre,
il
dolore
per
aver
lasciato
il
suo
paese.
Nel suo diario infatti scrisse: “Né il fragore della
valanga,
né
il
torrente,
né
la
montagna,
né
il
ghiacciaio,
né
la
foresta,
né
la
nuvola
hanno
alleviato
per
un
solo
istante
il
peso
che
mi
grava
sul
cuore,
permettendomi
di
annegare
lo
sciagurato
senso
della
mia
identità
nella
maestà
e
nel
potere
e
nella
gloria
di
tutto
ciò
che
mi
sta
intorno”.
Anche nelle opere molti critici riscontrano notevoli contrasti,
distinguendo
in
esse
due
fasi:
nella
prima
(fino
al
1816)
prevale
la
poesia
romantica
mentre
nella
seconda
predomina
quella
eroicomica
e
satirica
che
si
rifaceva
agli
scrittori
settecenteschi.
Nato a Londra nel 1788 da Catherine Gordon, scozzese d’alto
lignaggio,
e
dal
capitano
John
Byron,
detto
Jack
il
pazzo,
ebbe
un’infanzia
molto
infelice
sia
per
la
suddetta
malformazione
fisica,
sia
per
il
carattere
violento
dei
suoi
genitori.
Il padre, donnaiolo, litigioso, giocatore pieno di debiti,
morì
quando
egli
aveva
solo
tre
anni,
la
madre,
stramba
e
isterica,
spesso
lo
maltrattava:
l’equilibrio
psichico
del
bambino
fu
tanto
compromesso
da
sfociare
in
seguito
in
un
irrefrenabile
bisogno
di
trasgressione.
Byron studiò a Harrow e a Cambridge dove pubblicò il suo
primo
volume
di
versi
Hours
of
Idleness
e
una
violenta
satira
English
Bards
and
Scottish
Revewers,
per
reagire
a
un’aspra
critica
di
un
giornale
irlandese
contro
le
sue
poesie.
Nel 1808 prese possesso di Newstead Abbey, un maniero normanno
ereditato
dal
suo
prozio,
William,
un
originale
misantropo
che
aveva
lo
strano
hobby
di
allevare
e
ammaestrare
grilli.
Nel 1809 Byron occupò il suo seggio alla Camera dei Lords e
poi
partì
per
il
Grand
Tour
e,
come
tutti
i
nobili
del
suo
tempo,
visitò
molti
paesi
europei
e
alcuni
paesi
orientali
che
gli
ispirarono
i
primi
due
canti
del
poema
Childe
Harold’s
Pilgrimage.
Era ormai uno scrittore di successo, ben inserito nell’alta
società
sia
per
il
suo
rango,
sia
per
la
sua
relazione
amorosa
con
Caroline
Lamb,
dama
molto
in
voga
nel
gran
mondo.
Tra il 1813 e il 1816 diventò ancora più famoso per la pubblicazione
di
alcune
novelle
in
versi,
come
The
Giaour,
The
Bride
of
Abydos,
The
Corsair,
Lara,
The
Siege
of
Corinth,
Parisina,
che
piacquero
molto
per
i
loro
intrecci
melodrammatici
e
soprattutto
per
il
gusto
dell’esotismo,
allora
dominante.
Era ormai all’apice del successo, quando purtroppo il suo
divorzio
da
Anne
Isabella
Milbanke
(da
lui
sposata
nel
1815)
suscitò
uno
scandalo
per
l’accusa
di
incesto
con
la
sorellastra
Augusta.
Il
25
aprile
1816
fu
pertanto
costretto
a
lasciare
l’Inghilterra
e
andò
in
Svizzera.
Qui Byron incontrò il poeta inglese P.B.Shelley che gli
presentò
sua
cognata,
Claire
CLairmont,
di
cui
egli
s’innamorò
e
dalla
quale
ebbe
anche
una
figlia,
Allegra.
In
Svizzera
scrisse
il
3°
canto
del
Childe
Harold
e il
dramma
Manfred,
ispirato
dal
Faust
goethiano.
Viaggiò poi molto in Italia e si stabilì a Venezia, dove
condusse
una
vita
molto
licenziosa
e
incontrò
Teresa
Guiccioli,
sorella
del
conte
Pietro
Gamba,
uno
dei
capi
della
Carboneria,
che
lo
introdusse
nella
famosa
società
segreta.
Falliti
i
moti
del
1821,
Byron
seguì
i
Gamba
a
Pisa
dove
visse
in
grande
amicizia
con
Shelley
e
altri
inglesi.
Nel 1820-21 egli pubblicò i drammi Marino Faliero(ispirandosi
alle
tragedie
dell’Alfieri),
Sardanapalus,
The
Two
Foscari,
Cain,
nei
quali,
pur
superando
in
tal
campo
altri
scrittori
romantici
inglesi,
non
dimostrò
tuttavia
di
essere
un
grande
drammaturgo.
Il
suo
capolavoro
fu
forse
Don
Juan,
un
poema
incompleto
in
sedici
canti,
scritto
tra
il
1818
e
1823,
in
cui
prevale
il
tono
sarcastico,
irriverente
e
sprezzante
in
cui
egli
eccelleva.
Nel 1823 diventò membro del Comitato per l’indipendenza
greca
e si
recò
in
Grecia
per
partecipare
direttamente
alla
lotta,
ma
morì
di
febbre
malarica
a
Missolungi
il
19
aprile
1824.
Senza dubbio la vita privata di Byron fu segnata non solo
da
amore
per
la
libertà,
ma
anche
da
trasgressione,
stravaganze
e
follie
per
cui
di
lui
si
raccontano
tanti
strani
episodi.
Si
dice
che
nell’antica
abbazia
di
Newstead,
dimora
di
Byron,
un
giorno
in
giardino
riaffiorarono
un
cranio
umano
e
delle
ossa
dei
monaci,
antichi
abitatori
del
luogo.
Il
poeta
fece
lucidare
il
teschio
e lo
trasformò
in
una
coppa
per
il
vino
sulla
quale
incise
dei
versi,
in
cui
il
morto
stesso
esprimeva
la
sua
soddisfazione
di
essere
adibito
“a
contenere
l’uva
spumeggiante
piuttosto
che
l’immondo
popolo
dei
vermi”.
Patologicamente superstizioso, Byron credeva nei
talismani,
odiava
il
nero,
non
viaggiava
di
venerdì
e
non
sopportava
i
pipistrelli
perché
secondo
lui
annunciavano
sciagure.
Sovente
si
ostinava
ad
attribuire
valore
di
segni
o di
presagi
ai
fatti
più
banali
e
insignificanti.
Amava tutti gli animali, non solo quelli domestici. Quando
era
a
Cambridge,
aveva
adottato
un
orso
e lo
portava
a
spasso
per
le
vie
della
città.
Nella
sua
casa
veneziana
circolavano
pavoni,
scimmie,
cani,
gatti,
pappagalli
e un
corvo.
Amò moltissimo il suo cane, Boatswain, e quando esso morì,
scrisse
sulla
sua
tomba
“Boatswain
possedeva
la
bellezza
senza
la
vanità,
la
forza
senza
l’insolenza,
il
coraggio
senza
la
ferocia,
e
tutte
le
virtù
dell’uomo
senza
i
suoi
vizi.”
Una conclusione piuttosto amara da parte di un personaggio
tormentato
e
pieno
di
contrasti
che
comunque
amò
molto
la
libertà
e
morì
giovane
combattendo
per
essa.
E indubbiamente aveva ragione quando affermò in una lettera
“le
rivoluzioni
non
si
fanno
con
l’acqua
di
rose”.