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N. 94 - Ottobre 2015 (CXXV)

Il Gran Capitano dai troppi successi
Chi era Gonzalo Fernández de Córdoba

di Fabio Foria

 

Primo viceré spagnolo di Napoli, proprio da lui riconquistata per diretto volere di re Ferdinando II d’Aragona dopo la breve parentesi di dominazione francese agli inizi del Cinquecento, Gonzalo Fernández de Córdoba rappresenta oggi più che mai la proverbiale figura storica capace di travalicare audacemente le difficoltà del proprio tempo e rovesciare l’insulso destino che sembrava toccargli.

 

In effetti la sua vita era condannata alla mediocrità fin dai primi vagiti. Nato il 1° settembre 1453 a Montilla (Cordoba) dalla nobile casa degli Aguilar, in quanto secondogenito gli sarebbe toccata un’eredità modesta, fatta di qualche indumento e poche armi. Solo la morte prematura del fratello maggiore gli avrebbe consentito di trionfare, ma non fu il suo caso per i meriti, la costanza, l’intelligenza e la forza che dimostrò negli anni.

 

Gonzalo cominciò la sua esperienza militare al servizio della regina Isabella di Castiglia come soldato semplice, di quelli che con la schiavona erano chiamati a uccidere portoghesi e saraceni a testa bassa. Non tardò a mostrare il suo coraggio e le sue doti di comando assumendo autonomamente le redini delle truppe spagnole nella battaglia di Íllora (1486), piccola cittadina andalusa che, nel pieno della Reconquista, strappò ai mori con scarsi mezzi a disposizione e di cui finì per essere nominato sindaco, il primo cristiano.

 

Il suo ingegno emergeva proprio nelle situazioni più disperate, come quando costruì una macchina d’assedio con le sole porte delle case di un paesello, elaborando strategie rivoluzionarie per l’epoca che in nessun momento tralasciavano l’incolumità dei soldati, persino nelle drammatiche ritirate con vittoria ormai compromessa. Fu questo uno dei motivi che portò i suoi uomini ad essergli sempre fedeli e riconoscenti.

 

Il soprannome di Gran Capitano giunse durante la Guerra d’Italia (1499-1504) che oppose Ferdinando II d’Aragona a Luigi XII di Francia per la conquista del Regno di Napoli, caduto in mano francese in seguito al declino irreversibile del ramo napoletano degli aragonesi nella figura di Federico I di Napoli, e che il Fernández de Córdoba condusse brillantemente sul campo di battaglia dall’inizio alla fine delle ostilità. Nello specifico la vittoria di Atella (1502), dopo un durissimo assedio durato un mese, contribuì ad accrescerne a dismisura la fama nelle principali corti europee dove più di un dubbio ancora si insinuava sulle sue reali capacità, nonostante le parole di elogio spese in continuazione dai suoi ufficiali.

 

La sua dote migliore era senza dubbio un’intelligenza ben al di sopra della media. Praticamente da solo, adottando tecniche oggi nel novero dello spionaggio, sottomesse Boabdil, sultano di Granada, e lo costrinse a chiedere pietà ai piedi di Ferdinando (1492, conclusione della decennale Guerra di Granada). Una teoria militare incentrata sulla tattica più estrema e completa, non priva di una piena conoscenza delle debolezze del nemico, che gli valse il trasferimento all’altro lato del Mediterraneo con l’ardua missione di riconquistare Napoli, seppur con un esercito numericamente esiguo ma forte di un’avveniristica combinazione di astuzia e inventiva già sperimentata nelle svariate campagne andaluse.

 

Preparando la battaglia del Garigliano (1503) che avrebbe avuto luogo sotto copiose nevicate, per esempio, comprò tutta la tela bianca in commercio e ordinò ai suoi soldati di usarla per mimetizzarsi così da ingannare i francesi. La sua idea funzionò alla perfezione e lo rese il primo comandante della storia ad aver adottato un abbigliamento mimetico, in pratica quattro secoli prima della sua effettiva introduzione.

 

L’esperienza italiana del Fernández de Córdoba si arricchì di ulteriori novità: degna di nota quella con la quale la fanteria acquisì la stessa importanza della cavalleria, inaugurando di fatto la formazione delle  coronelías (embrione dei futuri tercios) alla base dell’apparato militare rinascimentale, lo stesso che permise alla Spagna di conseguire memorabili successi nei due secoli successivi.

 

Nella vita del Gran Capitano non mancarono comunque le delusioni. Nel 1507, a causa delle accuse di corruzione e malversazione di fondi (mai provate e frutto di invidie per i suoi trionfi, come opportunamente segnalato da diversi storici), re Ferdinando lo esautorò come viceré di Napoli e gli ordinò di tornare in madrepatria per diventare sindaco di Loja, in Andalusia. Nonostante l’umiliazione subita e il risentimento per una decisione vista come un atto immeritato e disconoscente, quella lealtà granitica che aveva sempre riposto nel suo sovrano non venne mai a mancare.

 

A 500 anni esatti dalla sua morte (avvenuta nella stessa Loja il 2 dicembre 1515), la figura di Gonzalo Fernández de Córdoba è tornata prepotentemente d’attualità nel dibattito storico-culturale della società spagnola, desiderosa di uscire dal guado di sconfitte che, nel corso dei secoli, ne hanno ferito l’orgoglio ma non la determinazione di riscoprire i suoi grandi eroi ingiustamente dimenticati e trarre insegnamento dalle loro gesta. Ancor di più se si tratta di personalità eccezionali come il genio militare cordovese che, vittorioso contro un fato avverso, ha contribuito a trascinare la Monarchia Spagnola verso vette di totale magnificenza diventando uno dei demiurghi di quel siglo de oro che ha scritto indelebili pagine di storia in Europa e nel mondo.



 

 

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