N. 6 - Giugno 2008
(XXXVII)
gomorra e dintorni
Vivi Napoli e puoi muori
di Laura Novak
Sono usciti quasi insieme due film senza precedenti, per certi aspetti.
Matteo Garrone descrive la sua scelta
di regia nell'ultimo film, Gomorra (tratto
dal best seller italiano di Roberto Saviano), con
queste parole: “Ho cercato di essere invisibile”.
I luoghi, le storie sotterranee di Scampia parlano
senza bisogno di merletti stilistici.
La potenza espressiva è nella crudezza della realtà.
E’ il 2005, solo 3 anni fa. A Secondigliano,
periferia a nord di Napoli, ghetto d’Italia, dove
gli occhi sono chiusi e le bocche rimangono cucite,
è in atto la guerra tra gli scissionisti e il clan
che, da anni, detiene l’egemonia su uomini e
territorio a Napoli, il clan dei Di Lauro.
Ogni ciclo produttivo dell’economia a Napoli, come
nella Campania, è sorvegliato da una rete intricata
di guardiani, sorveglianti, spacciatori, tossici e
cavie umane, trafficanti, contabili, imprenditori,
segretari e riscossori.
Un
Sistema.
Il Sistema chiamato più comunemente la
Camorra.
Ogni ciclo produttivo, dalla sartoria sotterranea
per l’alta moda, allo spaccio di eroina, cocaina,
pasticche, tagliate poco, molto o moltissimo,
passando per il business dei rifiuti di tutta
Italia, di cui Napoli ed il suo sottosuolo ne è
custode segreto e contaminato.
Napoli muore lentamente nella sua dignità e salute
tra la spazzatura, e con lei, ciascun aspetto della
vita di ogni giovane napoletano di periferia,
condannato, per luogo di nascita, all’isolamento
sociale e alla violenta cecità.
Ogni settore di produzione viene usato, consumato,
lacerato e annientato dal suo interno.
E con esso le mani e il sudore della merce più
preziosa, la manovalanza a basso costo- massimo
sfruttamento.
La guerra, nel 2005, esplode nella sua veemenza
ossessiva come una caccia alle streghe senza
precendenti. I traditori sono ovunque, così come i
fedelissimi del boss di Lauro.
Tra le “vele” dei fatiscenti monolocali di Scampia,
la sovrana Camorra uccide, tortura, fracassa
coscienze e teste di uomini e di donne, alcuni
consapevoli della loro scelta di vita, altri vittime
del Sistema, che si alimenta di esempi sacrificali
per ottenere potenza ed egemonia.
Matteo Garrone ha deciso due anni fa il percorso più
rischioso.
Non era un compito facile portare alla vita, con
immagini ed intrecci di dialoghi, le pagine del
romanzo scandalo degli ultimi anni, “Gomorra”.
La versione cinematografica è un incredibile
ritratto di una Napoli soggettiva, amorale e scura.
La Napoli di singoli individui, di napoletani è
vero, ma che potrebbero anche non esserlo. Perché i
soggetti sono sempre e comunque animali sociali che
agiscono con il loro status nella loro zona. Ma a
Napoli (e non solo) purtroppo si agisce e mai si
reagisce.
Lontana dalla capitale partenopea generalista della
cronaca nera e degli scandali sociali; la vera
Napoli trasuda dalla lucidità giornalistica di
Saviano e dalle capacità visive di Garrone come una
città sensibilmente abbandonata nella morsa di una
legalità trasformista e sui generis, manipolata e
connivente all’illegalità ramificata.
Garrone, interseca bene e con classe stilistica i
tessuti corposi del libro con le immagine crude del
film, che diventa realisticamente documentario e
sentimentalmente lungometraggio di commozione.
La sua regia, così nuda, scarna, giocata sulle
ombre, grondante di inquadrature ravvicinatissime,
dai chiaro scuri labili e senza spessore, è scelta
calibrata e umile per dare spazio nello spettatore
al rifiuto intimista, sociale e civile.
Nessuna spettacolarizzazione, nessuna esagerazione o
caricatura dei luoghi e dei personaggi. Solo Scampia,
secca e al margine, con i suoi disgraziati alle
catene. Il film si distacca dal libro nella
progettazione e nel risultato ultimo. Ma,
straordinariamente, ne diviene compensazione,
rifinitura, ulteriore veicolo comunicativo.
L’incredibile inchiesta, i numeri, le date, i nomi e
cognomi presenti nel libro di Saviano, vengono
lasciati da parte per dare spazio agli uomini ed ai
loro errori/orrori.
Lo struggimento nel racconto di Saviano, che ha
pagato con la sua libertà di vita e di normalità il
suo coraggio di cronista, è irriproducibile.
Se, dall’immersione tra le righe del libro, ne esci
inorridita, sconvolta e lucidamente cosciente
dell’immensa carenza di informazione, dalla visione
del film ne esci amareggiata.
Perché le più buie immagini che, mentre le pagine
scorrevano, si sono fatte largo con violenza nella
mente del lettore, trovano aspetto e connotazione
reale.
Ed i luoghi, le persone, i loro intrecci e le loro
esistenze disperate, a cui Saviano ha dato
un’esistenza alla luce del sole, lontano dall’omertà
e dall’ignoranza, appaiono nella loro incredibile
veridicità di solitudine sociale.
Il film ed il libro, per questo diventano
complementari.
Un unico progetto di cultura del realismo e della
verità. |