N. 64 - Aprile 2013
(XCV)
LA RIVOLUZIONE LIBERALE DI PIERO GOBETTI
UN INTELLETTUALE CONTRO IL FASCISMO
di Christian Vannozzi
Piero
Gobetti,
nasce
a
Torino
il
19
giugno
1901
e
morì
a
soli
25
anni
in
Francia
a
Neully-sur-Seine
dove
era
stato
costretto
a
rifugiarsi
in
esilio
a
causa
del
suo
manifesto
antifascismo
che
non
lo
faceva
vedere
di
buon
occhio
nella
Penisola
dove
ormai
era
iniziato
il
regime
fascista.
Fu
giornalista
e
noto
antifascista
di
orientamento
liberale,
aderente
a
quella
sinistra
progressista,
nell’ambito
del
liberalismo
italiano,
che
aveva
garantito
l’unificazione
del
Paese.
I
suoi
genitori
gestivano
nella
città
di
Torino
una
drogheria,
e
lavoravano
fino
a 18
ore
al
giorno
per
offrire
al
figlio
la
possibilità
di
poter
vivere
senza
preoccupazioni
economiche
e
poter
studiare.
Nel
1916
inizia
a
frequentare
il
liceo
classico
Vincenzo
Gioberti,
dove
conosce
Ada
Prospero,
che
diverrà
sua
moglie.
Come
insegnate
di
filosofia
ha
Balbino
Giuliano,
che
collabora
come
redattore
alla
rivista
‘L’Unità’
di
Gaetano
Salvemini,
legato
all’ambiente
socialista
e
meridionalista.
Le
lezioni
del
professor
Balbino,
ispirarono
i
sentimenti
patriottici
del
giovanissimo
Piero
Gobetti,
che
nell’estate
del
1918,
un
anno
prima
del
dovuto,
si
diploma
e
parte
volontario
per
La
Grande
Guerra.
Finita
la
guerra
Piero
si
iscrive
alla
Facoltà
di
Giurisprudenza
di
Torino,
dove
si
laurea
con
pieni
voti
nel
giugno
1922.
Tra
i
suoi
professori
c’è
Luigi
Einaudi,
che
sarà
futuro
presidente
della
Repubblica
Italiana
e
che
alimenterà
il
pensiero
liberista
di
Gobetti,
che
vorrebbe
lo
Stato
lontano
dalle
questioni
private
ed
economiche.
Nel
novembre
1918
esce
la
rivista,
da
lui
fondata,
Energie
Nove,
grazie
alla
quale
Piero
desiderava
portare
una
fresca
onda
di
spiritualità
nella
cultura
del
suo
tempo.
La
rivista
riprendeva
sia
le
idee
liberali
e
anti-stataliste
di
Einaudi
che
auspicava
poca
ingerenza
della
stato
nella
vita
economica
e
nella
proprietà
privata.
Gobetti
cercava
con
i
suoi
scritti
di
rendere
una
nuova
linfa
sia
vitale
che
morale
a
un’Italia
che
sembrava
averla
perduta.
La
popolazione
non
era
più
consapevole
della
sua
storia,
della
sua
morale
e
del
suo
genio,
e
occorreva
riformarla,
a
partire
dalla
classe
dirigente,
che
sanciva
il
suo
grande
distacco
dalla
società
culturale,
cosa
che
ormai
non
era
più
plausibile.
Il
Paese
era
intanto
dilaniato
dai
conflitti
tra
operai
e
borghesia,
tanto
che
i
disordini
sociali
sembravano
aver
riportato
l’Italia
alla
condizione
che
aveva
durante
la
guerra.
Nell’aprile
del
1919
Gobetti
si
incontrò
con
Salvemini,
per
dirigere
una
linea
comune
e
unitaria
che
unisse
il
liberalismo
alla
democrazia.
Era
un
tentativo
di
riunire
tutte
le
forze
democratiche
del
Paese,
sotto
la
guida
di
due
scrittori
e
giornalisti
eccellenti,
che
si
stimavano
l’un
l’altro,
come
appunto
Gobetti
e
Salvemini.
Questa
idea
si
trasformo
nella
formazione
politica
‘Lega
Democratica’,
che
però
non
raggiunse
nessun
risultato
elettorale
nelle
elezioni
del
1919.
L’idea
fu
infatti
definita
dai
socialisti
e
dai
liberali
come
qualcosa
di
utopico,
priva
di
fondamento,
a
causa
dell’eccessivo
idealismo
politico
e
sociale
di
Piero,
che
desiderava
rieducare
la
popolazione
italiana
utilizzando
come
strumento
la
politica.
Con
i
disordini
operai
e i
sentimenti
traditi
degli
ex
combattenti,
spinti
soprattutto
dall’estrema
destra
nazionalista
e
dal
poeta
D’Annunzio,
che
sognavano
una
vittoria
molto
più
grande
di
quella
che
c’era
stata
nella
Grande
Guerra,
certamente
un
ideale
filosofico
come
quello
che
voleva
portare
la
‘Lega
Democratica’,
poteva
sembrare
anacronistico
e
non
interessava
ne
la
popolazione
che
era
alla
fame,
ne
gli
ex
combattenti
che
sognavano
nuova
gloria,
ne
gli
operai,
che
sognavano
riforme
o
addirittura
una
rivoluzione
marxista.
Si
stava
infatti
sviluppando
in
Russia
la
rivoluzione
bolscevica,
fenomeno
interessante
che
Gobetti
non
perse
occasione
di
studiare,
vedendo
come
gli
operai
venivano
spinti
dall’ideale
marxista,
al
quale
Piero
si
avvicinò,
anche
se
solo
culturalmente.
Per
questa
ragione
iniziò
a
studiare
il
russo,
e a
frequentare
intellettuali
comunisti,
come
Antonio
Gramsci,
di
cui
ebbe
una
grandissima
stima.
Rifiutato
l’incarico
che
gli
aveva
affidato
Salvemini
di
prendere
la
guida
della
rivista
L’Unità,
riprende
la
stesura
di
Energie
Nuove
cercando
di
sviluppare
alcuni
temi
che
gli
erano
molto
a
cuore,
come
appunto
il
risveglio
culturale
nel
segno
dell’antipositivismo
idealistico,
il
passaggio
dall’industria
di
guerra,
ormai
desueta,
all’industria
di
pace,
l’antiprotezionismo,
l’antigiolittismo
e
l’antistatalismo.
Auspicava
una
riforma
scolastica
e
sociale,
citando
più
volte
il
pedagogista
Lombardo
Radice,
che
sognava
una
formazione
scolastica
di
stampo
molto
più
incentrato
sul
cittadino
come
abitante
e
agente
della
polis
che
come
persona
che
deve
rispettare
le
leggi
e
saper
scrivere,
leggere
e
far
di
conto.
I
suoi
scritti
si
muovevano
continuamente
tra
liberalismo
progressista
e
socialismo,
fu
sempre
molto
sensibile
alle
tematiche
legate
ai
lavoratori,
e
ammirava
l’Unione
Sovietica,
dove
i
proletari
avevano
sviluppato
una
“coscienza
di
classe”
e si
erano
adoperati
per
governare
loro
stessi
la
nazione
e le
fabbriche
in
cui
lavoravano.
Era
quella
che
si
poteva
definire
un
passaggio
all’età
adulta
di
una
popolazione
che
era
sempre
stata
sottomessa
a
leggi
inique.
Da
un
punto
di
vista
amministrativo,
si
dimostrò
contrario
al
regionalismo,
auspicando
però
in
maggiori
poteri
delle
provincie
e
dei
comuni,
gli
enti
che
erano
più
vicini
ai
cittadini,
in
quanto
conoscevano
più
approfonditamente
i
cittadini
che
amministravano
al
contrario
dello
stato
unitario
che
dalla
capitale
Roma
spesso
non
conosceva
le
realtà
presenti
in
Italia
meridionale,
in
Sicilia
e in
Sardegna.
Durante
il
1921
inizia
a
collaborare
con
Ordine
Nuovo,
il
giornale
della
fazione
comunista
del
partito
socialista,
scrivendo
di
teatro
e
continuando
il
rapporto
di
amicizia
con
Gramsci
che
continuava
ad
ammirarlo
come
scrittore.
Nel
febbraio
del
1922
esce
il
primo
numero
del
suo
nuovo
settimanale,
“Rivoluzione
Liberale”,
che
riprende
i
temi
di
“Energie
Nuove”,
cercando
di
riunire
insieme
la
borghesia
progressista
e il
movimento
operaio.
La
rivista
divenne
uno
degli
organi
di
maggior
diffusione
antifascista,
suscitando
le
ire
dello
squadrismo
e
delle
frange
più
estreme
del
regime
che
non
mancarono
occasione
di
mostrare
la
loro
ostilità
facendo
ricorso
anche
alla
forza.
Nel
frattempo
si
laurea
nel
giugno
del
1922
a
pieni
voti
in
giurisprudenza
all’Università
di
Torino,
approfondendo
i
temi
di
economia
e di
filosofia
politica
con
una
tesi
su
La
filosofia
politica
di
V.
Alfieri,
discussa
con
Solari
e
pubblicata
nel
1923.
Con
l’avvento
al
potere
del
regime
fascista,
dopo
la
messa
in
scena
del
colpo
di
stato
e
della
marcia
su
Roma
del
28
ottobre
1922,
iniziò
il
disfacimento
del
vecchio
Stato
liberale.
Questo
convinse
Gobetti
a
orientare
la
sua
rivista
in
chiave
antifascista
avvicinando
tutti
i
militanti
dell’area
laico-democratica.
Questo
suo
movimento
si
contrappose
a
quello
di
coloro
che
si
ritirarono
in
un
assoluto
silenzio,
non
volendo
prendere
parte
alle
violenze
dello
Stato
fascista
e
non
volendo
neanche
combatterlo
ne
con
la
stampa
ne
con
le
armi.
Di
questa
frangia
faceva
parte
l’intellettuale
democratico
Prezzolini,
che
all’inizio
aveva
collaborato
con
Gobetti,
ma
se
ne
discostò
a
causa
di
questa
sua
presa
di
posizione.
Piero
Gobetti
fece
invece
sentire
la
sua
voce
il
23
novembre
del
1922
pubblicando
l’articolo
Elogio
della
ghigliottina,
dove
denunciava
il
fatto
che
il
fascismo
aveva
introdotto
un
fossato
incolmabile
tra
libertà
e
tirannia
reazionaria.
Di
questo
doveva
essere
consapevole
la
popolazione,
che
non
doveva
credere
alla
falsa
demagogia
populista
del
regime,
ma
verificare
cosa
questo
realmente
aveva
intenzione
di
fare.
In
questa
maniera
Gobetti
auspicava,
che
come
in
Russia,
la
borghesia
progressista
e il
mondo
operaio
e
contadino,
riuscissero
ad
acquisire
la
loro
coscienza
politica,
in
modo
da
non
farsi
schiacciare
dalle
false
promesse.
Scrisse
provocatoriamente:
“Chiediamo
le
frustate
perché
qualcuno
si
svegli,
chiediamo
il
boia
perché
si
possa
veder
chiaro”.
L’11
gennaio
del
1923
Piero
Gobetti
si
sposa
con
il
suo
amore
fin
dai
tempi
del
liceo,
cioè
Ada,
con
la
quale
viaggio
per
l’Italia
instaurando
forti
collaborazioni
con
i
circoli
antifascisti,
in
modo
da
formare
una
rete
che
potesse
contrastare
il
regime.
Il 6
febbraio
Piero
viene
però
arrestato,
a
causa
della
sua
collaborazione
con
il
giornale
comunista
Ordine
Nuovo
e
per
attività
che
vengono
definite
dai
fascisti
antinazionali.
Da
quel
momento
la
sede
di
Rivoluzione
Liberale
fu
sempre
controllata
e
gli
scrittori
visti
con
sospetto
dalla
prefettura
torinese
che
era
stata
incaricata
direttamente
da
Benito
Mussolini
di
rendere
la
vita
difficile
a
Gobetti
e ai
suoi
collaboratori.
Nel
giugno
del
‘24,
con
la
scomparsa
del
segretario
del
Partito
Socialista
Unitario,
il
giornale
di
Piero
Gobetti
divenne
la
punta
della
lancia
che
colpiva
al
fianco
il
regime
fascista,
ritenuto
responsabile
di
ciò
che
era
capitato
al
povero
segretario
socialista.
La
colpa,
secondo
il
giornale,
era
tutto
da
imputare
a
Mussolini
e al
regime
fascista,
e
Piero
non
perse
l’occasione
per
metterlo
per
iscritto
su
Rivoluzione
Liberale.
Da
quel
momento
però
Gobetti
diventa
il
nemico
numero
uno
del
regime
fascista,
e
gli
squadristi
non
mancarono
occasione
di
fare
irruzione
nella
sede
del
giornale
per
pestarlo
a
sangue
lasciandolo
quasi
in
fin
di
vita.
Non
valse
a
niente
il
suo
esilio
forzato
in
Francia,
in
quanto
i
colpi
subiti
gli
furono
fatali
a
causa
della
malattia
cardiaca
che
aveva
contratto.
Una
delle
menti
più
geniali
d’Italia
se
ne
andava,
a
causa
di
un
regime
che
non
permetteva
opposizioni
e
non
voleva
degli
intellettuali,
ma
dei
sudditi,
che
non
si
opponevano,
non
parlavano,
ma
solo
osannavano
Mussolini
e il
fascismo.
Quando
oggi
pensiamo
quindi
al
regime
fascista,
pensando
a
cosa
di
buono
ha
fatto
per
l’Italia,
non
scordiamoci
di
tutti
coloro
che
furono
uccisi
dai
sicari
fascisti,
menti
che
avevano
fatto
della
politica
attiva
e
del
giornalismo
la
loro
missione
in
chiave
sociale,
per
andare
al
di
là
del
semplice
liberalismo
o
comunismo
e
formare
una
cultura
civica
che
avrebbe
potuto
rendere
grande
il
nostro
Paese
come
furono
grandi
le
poleis
Atene
e
Sparta.
Pensiamo
quindi
a
Piero
Gobetti.