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N. 88 - Aprile 2015 (CXIX)

IL GOBBO DEL QUARTICCIOLO
STORIA DELLA FIGURA PIÙ CONTROVERSA DELLA RESISTENZA ROMANA

di Filippo Petrocelli

 

A settant’anni dalla Liberazione, un libro così ci voleva. Non tanto per celebrare la lotta partigiana in sé o i gesti di eroismo che l’hanno accompagnata, quanto per restituire quella dimensione umana che Walter De Cesaris chiama nella prefazione del libro la “carnalità” della Resistenza: insomma il suo essere stato, non senza contraddizioni, movimento popolare fino in fondo.

 

E così a settant’anni dalla fine della Resistenza Il Gobbo del Quarticciolo e la sua banda nella Resistenza, pubblicato da Massimo Recchioni e Giovanni Parrella ed edito da Milieu edizioni assume un significato duplice: da un lato racconta una storia poco conosciuta su cui bisogna fare luce, dall’altro evita di incorrere e incappare in quella “agiografia” da Resistenza che ha nuociuto al fenomeno partigiano tanto quanto il revisionismo storico.

 

La storia poco conosciuta è quella di Giuseppe Albano, giovane emigrato calabrese diventato partigiano a 17 anni nella Roma occupata dai nazisti.

 

Nel libro si parla delle sue gesta contro i tedeschi e del famoso bando tedesco che ordinava l’arresto di tutti i gobbi di Roma. Ma si racconta anche del quadrante sud-est di Roma, del Quadraro, di quanto Albano sia stato un “bandito sociale” – povero e desideroso di riscatto – istintivo e irascibile, riottoso e ostile alla disciplina.

 

Sullo sfondo quella Roma partigiana, poco conosciuta: capitale della resistenza capillare e spontanea, dei sabotaggi e degli attentati ai tedeschi, delle bande autorganizzate e diffuse ma soprattutto di una Resistenza sociale e popolare o meglio “popolana”, prodotta insomma dalle difficilissime condizioni materiali dell’occupazione nazista a Roma.

 

E nella narrazione si incontrano e scontrano ritagli di giornale, testimonianze d’epoca e ricostruzioni a posteriori: immagini che aiutano a restituire anche un po’ di verità a una storia che per troppo tempo ha vissuto sospesa in una sorta di limbo, fra mito e realtà.

 

Gli autori del testo Recchioni e Parella non raccontano solo la storia del Gobbo, ma la decostruiscono, la contestualizzano arrivando quasi a purificarla. La umanizzano, facendo uscire fuori con forza le contraddizioni, gli errori ma anche i grandi gesti di altruismo.

 

Perché la parabola del Gobbo finisce come era iniziata, con un endemico grido di ribellione, contro il presente traditore. Perché dopo la liberazione di Roma, Albano torna “criminale”, bandito sociale che non manda giù niente, che esasperato si arrabbia di nuovo nell’unico modo che conosce: alzando la canna di un fucile.

 

Così il Gobbo si ribella un’altra volta prima contro i fascisti, poi per il “pane e le rose”, quando capisce che anche a liberazione avvenuta, poco è cambiato, perché gli sfruttati sono sempre più sfruttati.

 

Ed è con questo grande slancio che il protagonista del libro finisce nel primo torbido mistero italiano, sfruttato, usato e manipolato dai suoi vecchi (e nuovi) nemici: da Umberto Salvarezza e dalla reazione, ma anche dalla sua irrefrenabile arroganza e voglia di riscatto, perché Albano è uno che fa da sé nelle difficoltà, col il coltello fra i denti. Ma è anche uno che non frena, che per coerenza non si volta indietro: vittima e carnefice di se stesso.

 

Perché forse in fondo l’esistenza di Giuseppe Albano è sempre stata su un crinale, alla Jules Bonnot: “in ogni caso nessun rimorso”.



 

 

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