N. 111 - Marzo 2017
(CXLII)
GNAEUS
NEVIUS
PARTE
I -
Un
POETA
E
DRAMMATURGO
CAMPANO
di
Daniela
Maria
Graziano
Poeta
e
drammaturgo
campano,
nacque
probabilmente
a
Capua
tra
il
275
e il
270
a.C.
Primo
letterato
romano
inserito
nelle
vicende
storico-politiche
del
suo
tempo,
partecipò
come
soldato
alla
prima
guerra
punica
(264-241
a.C.).
Successivamente
si
trasferì
a
Roma,
dove
nel
235
a.C.
rappresentò
per
la
prima
volta
le
sue
fabulae.
Anno
deinde
post
Romam
conditam
quingentesimo
undevicesimo…Cn.
Naevius
poeta
fabulas
apud
populum
dedit,
quem
M.
Varro
in
libro
de
poetis
primo
stipendia
fecisse
ait
bello
Poenico
primo
idque
ipsum
Naevium
dicere
in
eo
carmine,
quod
de
eodem
bello
scripsit.
Gell.,
Noct.
Att.
XVII,
21,
44-45
«Nell’anno
519
dalla
fondazione
di
Roma…
Gneo
Nevio
presentò
al
popolo
le
sue
rappresentazioni
teatrali,
e
Marco
Varrone
nel
I
libro
Dei
poeti
dice
che
Nevio
prese
parte
alla
prima
guerra
punica,
e lo
afferma
il
poeta
stesso
nel
poema
che
compose
su
tale
guerra».
Di
origine
plebea,
a
differenza
di
Livio
Andronico,
schiavo
affrancato,
era
un
civis
Romanus
sine
suffragio
(«cittadino
romano
senza
diritto
di
voto»).
Poté,
dunque,
esprimersi,
senza
riserve,
senza
alcun
obbligo
di
sudditanza
nei
confronti
di
un
patronus.
La
fierezza
del
suo
spirito
libertario
è
ben
espressa
in
un
frammento
di
un’opera
comica:
Libera
lingua
loquemur
ludis
Liberalibus
(Incertarvm
fabvlarvm
fragmenta,
fr.5,
«Con
lingua
libera
ci
esprimeremo
durante
i
ludi
in
onore
di
Libero»).
Non
cercò,
infatti,
la
protezione
dei
nobili,
anzi
vi
si
oppose
apertamente.
È
noto
il
suo
scambio
di
invettive
con
la
potente
famiglia
dei
Metelli,
alla
quale
indirizzò,
in
occasione
dell’elezione
al
consolato
nel
206
a.C.,
un
verso
tagliente
Fato
Metelli
Romae
fiunt
consules
(«Per
la
rovina
o
per
destino
di
Roma
i
Metelli
sono
diventati
consuli
a
Roma»),
giocando
sul
doppio
significato
di
fatum.
La
risposta
dei
Metelli
non
tardò
ad
arrivare
con
un
verso
minaccioso
Malum
dabunt
Metelli
Naevio
poetae
(«La
mala
sorte
daranno
i
Metelli
al
poeta
Nevio»).
Dictum
facete
et
contumeliose
in
Metellos
antiquum
Naevii
est:
fato
Metelli
Romae
fiunt
consules.
Cui
tunc
Metellus
consul
iratus
versu
responderat
senario
hypercatalecto,
qui
et
Saturnius
dicitur
“dabunt
malum
Metelli
Naevio
poetae”.
Cic.,
Verr.
I,
10,
29
«È
famoso
un
detto
antico
di
Nevio
rivolto
a i
Metelli
con
arguzia
e in
modo
oltraggioso:
“Per
la
rovina
o
per
destino
di
Roma
i
Metelli
sono
diventati
consuli
a
Roma”.
E a
lui
allora
il
console
Metello
irato
aveva
risposto
con
un
verso
in
senario
ipercatalettico,
che
è
detto
anche
Saturnio,
“La
mala
sorte
daranno
i
Metelli
al
poeta
Nevio”».
In
osservanza
alle
Leggi
delle
XII
Tavole
che
punivano
i
mala
carmina,
carmi
irriverenti
e
oltraggiosi,
Nevio
fu,
dunque,
imprigionato
con
l’accusa
di
diffamazione.
Ed è
probabilmente
proprio
a
lui
che
si
riferisce
Plauto
nell’atto
II
del
Miles
gloriosus.
Nam
os
columnatum
poetae
esse
iudicavi
barbaro
quoi
bini
custodes
semper
totis
horis
occubant.
Miles
gloriosus,
vv.
211--212
«Perché
ho
sentito
di
un
poeta
non
greco
che
ha
un
puntello
sotto
la
testa
e
due
custodi
che
gli
stanno
addosso
senza
tregua».
Notizia,
peraltro,
confermata
da
Gellio,
da
cui
apprendiamo
che
in
carcere
compose
le
commedie
Hariolus
e
Leon,
con
le
quali
cercò
di
riscattarsi
dalle
offese
recate.
Venne
così
liberato
dai
tribuni
della
plebe,
ma
fu
costretto
ad
allontanarsi
da
Roma.
Sicuti
de
Naevio
quoque
accepimus
fabulas
eum
in
carcere
duas
scripsisse,
Hariolum
et
Leontem,
cum
ob
assiduam
maledicentiam
et
probra
in
principes
civitatis
de
Graecorum
poetarum
more
dicta
in
vincula
Romae
a
triumviris
coniectus
esset.
Unde
post
a
tribunis
plebis
exemptus
est,
cum
in
his,
quas
supra
dixi,
fabulis
delicta
sua
et
petulantias
dictorum,
quibus
multos
ante
laeserat,
diluisset.
Noct.
Att.,
III,
3,
15
«Come
anche
abbiamo
appreso
su
Nevio
che
egli
aveva
scritto
due
commedie
in
carcere,
L’Indovino
e
Il
Leonino,
essendo
stato
messo
in
catene
a
Roma
dai
triumviri
per
la
continua
maldicenza
e le
parole
offensive
verso
i
nobili
della
città
secondo
l’uso
dei
poeti
greci.
Da
dove
fu
poi
liberato
dai
tribuni
della
plebe,
avendo
riscattato
in
queste
commedie,
che
ho
detto
sopra,
le
sue
colpe
e le
ripetizioni
dei
testi,
con
cui
prima
aveva
offeso
molti».
Il
suo
spirito
mordace
non
risparmiò
neppure
Scipione
l’Africano,
al
quale
indirizzò
dei
versi
diffamatori
sui
suoi
trascorsi
giovanili.
Etiam
qui
res
magnas
manu
saepe
gessit
gloriosae
cuius
facta
viva
nunc
vigent,
qui
apud
gentes
solus
praestat,
eum
suus
pater
cum
pallio
unod
ab
amica
abduxit.
Incertarvm
fabvlarvm
fragmenta,
fr.
3
«Anche
colui
che
compì
gloriosamente
col
braccio
grandi
imprese,
le
cui
durevoli
azioni
ora
hanno
vigore,
colui
che
solo
primeggia
presso
le
genti,
suo
padre
lo
portò
via
dall’amante
col
solo
mantello».
Morì
probabilmente
a
Utica
nel
201
a.C.,
come
riferisce
san
Girolamo
(Chronicon,
nelle
note
all’anno
201
a.C.):
Naevius
comicus
Uticae
moritur
pulsus
Roma
factione
nobilium
ac
praecipue
Metellis
(«Il
commediografo
Nevio
morì
a
Utica,
cacciato
da
Roma
ad
opera
della
fazione
nobiliare,
soprattutto
dei
Metelli»).
Cicerone,
invece,
colloca
la
morte
nel
204
a.C.,
mentre
Varrone
la
posticipa
di
qualche
anno.
His
enim
consulibus,
ut
in
veteribus
commentariis
scriptum
est,
Naevius
mortuus
est;
quamquam
Varro
noster
diligentissimus
investigator
antiquitatis
putat
in
hoc
erratum
vitamque
Naevi
producit
longius.
Cic.,
Brut.,60
«Egli
infatti
morì
sotto
il
consolato
di
costoro
[Marco
Cornelio
Cetego
e
Publio
Sempronio
Tuditano],
come
sta
scritto
nelle
antiche
memorie;
sebbene
il
nostro
Varrone,
scrupolosissimo
indagatore
di
antichità,
ritenga
che
in
ciò
vi
sia
un
errore,
e
faccia
durare
più
a
lungo
la
vita
di
Nevio».
Il
fatto,
però,
che
proprio
in
quegli
anni
Annibale
fosse
stato
sconfitto
a
Zama
(202
a.C.)
e
che
Cartagine
fosse
subordinata
al
dominio
romano,
potrebbe
indurre
a
pensare
che
non
si
trattò
di
un
esilio
forzato
in
Africa,
ma
di
un
allontanamento
volontario.
Celebre
è l’epitafio
che
il
poeta
compose
per
il
suo
sepolcro,
pieno
di
«superbia
campana».
Epigramma
Naevi
plenum
superbiae
Campanae,
quod
testimonium
iustum
esse
potuisset,
nisi
ab
ipso
dictum
esset:
inmortales
mortales
si
foret
fas
flere,
fierent
divae
Camenae
Naevium
poetam.
itaque
postquam
est
Orcho
traditus
thesauro,
obliti
sunt
Romae
loquier
lingua
Latina.
Noct.
Att.,
I,
24,
2
«Un
epigramma
di
Nevio
pieno
di
superbia
campana,
che
sarebbe
potuto
essere
una
giusta
testimonianza,
se
non
fosse
stato
pronunciato
da
lui
stesso:
Se
agli
immortali
fosse
lecito
piangere
dei
mortali,
le
divine
Camene
piangerebbero
la
morte
del
poeta
Nevio.
Pertanto
da
che
egli
fu
consegnato
al
regno
dell’Orco,
a
Roma
si
sono
dimenticati
di
parlare
in
latino».