N. 89 - Maggio 2015
(CXX)
Giulio Valerio Maggioriano
L'imperatore che tentò di far rinascere Roma
di Andrea Contorni
Romolo
Augusto,
detto
l’Augustolo,
l’imperatore
bambino,
chiuse
terribilmente
male
la
storia
della
parte
occidentale
dell’Impero
Romano
nel
476
d.C.,
quando
venne
deposto
e
imprigionato
dal
generale
foederatus
Odoacre.
In
realtà
le
sorti
del
millenario
impero
erano
rette
in
quegli
anni
difficili
dal
padre
del
piccolo,
Oreste,
altro
generale
di
origine
barbarica
il
quale
aveva
spodestato
dal
trono
l’effettivo
imperatore,
Giulio
Nepote
che
nel
480
d.C.
sarebbe
morto
assassinato
in
Dalmazia
nel
mentre
cercava
di
scendere
in
Italia
per
riprendersi
quella
porpora
che
era
sua
di
diritto.
Per
questa
ragione,
molti
storici
considerano
proprio
nel
480,
l’epilogo
dell’Impero
Romano
d’Occidente.
Tornando
indietro
nel
tempo
dal
quel
476,
scorrono
le
repentine
esistenze
di
imperatori
quali
Glicerio
(473),
Olibrio
(472),
Procopio
Antemio
(472),
Libio
Severo
(465)
che
governarono
poco
e
male
e
sparirono
dalla
faccia
della
terra
o
per
presunte
malattie
o in
seguito
a
congiure
ordite
dal
bieco
Ricimero,
il
famelico
e
potente
generale
barbaro
a
capo
dell’esercito.
Questo
losco
figuro
determinò
l’ascesa
e
decise
la
fine
anche
di
colui
che
stimo
essere,
l’ultimo
vero
imperatore
romano,
quel Giulio
Valerio
Maggioriano che
eroicamente,
dal
457
al
461,
si
adoperò
per
arrestare
la
caduta
di
un
impero
totalmente
allo
sbando,
un
personaggio
recentemente
rivalutato
dalla
critica
storica,
riportato
alla
ribalta
e
persino
rivisitato
in
chiave
romantica
e
leggendaria.
Ma
quali
sono
i
motivi
che
spinsero
Maggioriano
a
lottare
contro
un
sistema
marcio
e
decadente
invece
di
adattarsi
allo
stesso
come
molti
dei
suoi
predecessori
o
come
l’intera
società
romana
di
allora?
Devo
per
forza
aprire
una
piccola
parentesi
sulla
tanto
decantata
crisi
del
V
secolo;
nel
457,
l’Impero
Romano
d’Occidente
versava
in
condizioni
penose
sia
dal
punto
di
vista
economico
in
cui
latifondismo,
inflazione
e
povertà
ne
facevano
da
padrone,
sia
dal
punto
di
vista
giuridico
ed
amministrativo
dove
la
macchina
burocratica
romana
risultava
miseramente
arenata
e
sostituita
in
molti
settori
dalle
istituzioni
ecclesiastiche
della
Chiesa
di
Roma,
in
altri
direttamente
dalla
corruzione
e
dall’inefficienza
per
non
parlare
poi
della
cronica
carenza
di
cittadini
in
armi.
Questo
ultimo
problema
si
ricollegava
in
parte
allo
stravolgimento
religioso
avvenuto
nella
società
romana
tra
il
III
e il
V
secolo,
quando
la
religione
del
Dio
Cristiano
si
era
gradualmente
sostituita
a
quella
degli
antichi
dei,
un
processo
che
non
evitò
al
già
rabberciato
impero,
i
traumi
e le
profonde
fratture
tipiche
di
ogni
passaggio
epocale;
l’uomo,
cittadino
romano
del
V
secolo,
a
differenza
di
quello
dei
secoli
passati,
non
vedeva
più
nello
stato,
un’entità
in
grado
di
proteggerlo,
di
rassicurarlo,
di
farlo
sentire
parte
di
un
tutto
universale,
questo
ruolo
ora
apparteneva
alla
Chiesa
di
Roma,
simbolo
dell’unica
vera
religione
sacrosancita
dagli
atti
teodosiani
nel
391/92.
La
dottrina
in
questione,
inoltre
cozzava
con
quelli
che
erano
stati
i
capisaldi
degli
antichi
culti,
tra
peccati
e
peccatori,
demoni
e
dannazioni
eterne,
la
maggioranza
dei
nuovi
romani
sembrava
aver
perso
quello
spirito
che
aveva
prima
reso
grande
e
poi
fatto
sopravvivere
Roma
nei
secoli
passati.
Da
un
lato
masse
povere
e
timorose
bivaccavano
nelle
città
o
coltivavano
aridi
pezzi
di
terra,
dall’altra
mercanti,
senatori
e
uomini
di
potere
si
facevano
i
loro
affari
ben
chiusi
in
ville
fortificate
con
eserciti
privati
al
soldo.
E
così,
nel
mentre
l’Oriente
romano,
levatosi
di
torno
il
canceroso
gemello,
arroccato
nella
fortezza
naturale
di
Costantinopoli,
si
barcamenava
tra
concili
religiosi
e
ricchi
commerci,
governato
da
sovrani
con
un
minimo
di
perspicacia,
l’Occidente
se
ne
andava
a
rotoli.
Come
se
non
ciò
non
bastasse
già
a
far
la
frittata,
Maggioriano
ereditò
un
impero
che
aveva
subito
per
trenta
lunghi
anni
(425-455),
il
regno
incontrastato
di
Valentiniano
III,
imperatore
di
dinastia
teodosiana,
della
madre
matrona
di
lui,
Gallia
Placidia,
e
del
Magister
militum
Flavio
Ezio.
Su
questo
ultimo
mi
sento
di
spendere
due
parole
di
incoraggiamento.
Ezio
fu
un
eccellente
funambolo
che
si
barcamenò
tra
alleati,
mercenari
e
foederati,
garantendo
all’impero
mezzo
secolo
di
agonia,
o se
vogliamo
chiamarla
di
vita
in
più.
Ma
proprio
la
questione
dei
popoli
foederati
segnò
un’altra
tappa
dell’imminente
rovina;
la
crescente
pressione
di
diversi
popoli
ai
confini
nel
IV e
V
secolo,
costrinse
sempre
più
spesso
il
potere
imperiale
di
Roma,
ad
accogliere
all’interno
dei
propri
territori
di
frontiera
intere
comunità
e
popolazioni
con
il
compito
di
difendere
quegli
stessi
confini
dalle
invasioni
di
altri
popoli
ancora.
Terra
in
cambio
di
miliziani
da
affiancare
alle
sempre
più
scarne
legioni.
Sta
di
fatto
però
che
una
volta
insediato,
l’ospite
iniziò
a
farla
da
padrone
e
ben
presto
quelli
che
erano
di
nomina
dei
foederati
sottoposti
alla
volontà
romana,
presero
a
considerare
quelle
terre
come
proprie
e
cosa
ancor
più
grave
i
territori
circostanti
come
facili
conquiste.
Ezio,
fino
alla
data
della
sua
morte
(454),
fu
impegnato
in
un’immane
lotta
contro
i
mulini
a
vento,
conseguendo
si
numerose
vittorie
ma
non
riuscendo
ad
evitare
la
conquista
dell’Africa
romana
da
parte
dei
Vandali,
l’abbandono
della
Britannia
e la
perdita
di
gran
parte
della
penisola
iberica
e
delle
Gallie.
Il
suo
capolavoro
rimase
però
la
vittoria
nella
grande
battaglia
dei
Campi
Catalaunici
(451),
alla
testa
di
un
esercito
di
visigoti,
alani
e
burgundi
contro
Attila
e la
sua
orda
di
Unni.
Pochi
anni
dopo
il
grande
generale
venne
trucidato
dall’imperatore
stesso.
Qualcuno
con
coraggio
disse
al
furente
Valentiano:
“Imperatore,
hai
tagliato
la
tua
mano
destra
con
la
sinistra”.
Credere
nell’Impero
a
tutti
i
costi
Giulio
Valerio
Maggioriano
nipote
del
magister
militum
di
Teodosio
I,
figlio
del
tesoriere
di
Ezio,
era
un
fiero
esponente
dell’aristocrazia
italica,
attendente
a
sua
volta
del
grande
generale,
con
una
notevole
esperienza
militare
maturata
sui
campi
di
battaglia.
Sidonio
Apollinare
e
Procopio
di
Cesarea
sono
le
nostri
fonti
di
riferimento,
ma è
bene
precisare
che
molti
aspetti
dell’esistenza
di
Maggioriano
sconfinano
nella
leggenda
con
connotazioni
di
indubbio
fascino;
per
esempio
ai
Campi
Catalaunici
sarebbe
attestato
il
suo
impegno
nella
conquista
prima
e
nella
difesa
poi
di
quella
famosa
collinetta
“strategica”
che
sovrastava
il
campo.
In
ogni
caso
Ezio
temendo
di
essere
scalzato
dal
giovane
nobile
rampollo,
lo
fece
allontanare
dalla
corte.
Gli
eventi
che
dal
454
al
457
travolsero
Roma
come
un
fiume
in
piena,
in
rapida
successione
l’assassinio
del
Magister
militum,
la
fine
di
Valentiano
III,
la
conseguente
ascesa
al
soglio
imperiale
prima
di
Petronio
(morto
nel
sacco
di
Roma
perpetrato
da
Genserico,
re
dei
Vandali),
poi
di
Avito
(deposto
da
Ricimero),
permisero
a
Maggioriano,
con
il
necessario
appoggio
dell’esercito,
di
prendere
la
porpora.
Chi
però
pensava
di
aver
messo
sul
trono
l’ennesimo
fantoccio
nelle
mani
dei
poteri
forti
si
sbagliava
di
grosso.
Maggioriano
si
dimostrò
fin
dal
primo
giorno
di
regno,
un
imperatore
che
credeva
fermamente
nel
ruolo
della
civiltà
romana.
Soffriva
della
inesorabile
decadenza
della
macchina
amministrativa
statale.
Non
vedeva
di
buon’occhio
le
eccessive
ingerenze
della
Chiesa
di
Roma
nelle
faccende
di
governo.
Meditava
propositi
di
riconquista
di
tutti
quei
territori
che
riteneva
romani
di
diritto.
Egli
si
circondò
di
gente
fidata,
licenziando
tutti
gli
inutili
codazzi
di
cerimonieri
di
palazzo,
servi
e
profittatori.
Ottenne
la
fedeltà
del
grande
generale
Marcellino
che
nell’Illirico
si
era
ritagliato
una
sorta
di
regno
indipendente.
Rielesse
l’Urbe
centro
del
potere
amministrativo
ed
imperiale.
Ingaggiò
nuovi
mercenari
per
rendere
competitivo
l’esercito.
Decise
di
inseguire
con
tutto
se
stesso
quell’ideale
di
rinascita
e
ritorno
agli
antichi
fasti
e
per
farlo
non
trascurava
di
passare
intere
giornate
e
nottate
chiuso
nel
suo
ufficio
a
legiferare
e
far
quadrare
i
conti.
Uomo
estremamente
colto
e
dotato
di
umorismo
fuori
del
comune,
dimostrava
un’innata
propensione
al
comando
militare.
Gli
eserciti
da
lui
guidati
respinsero
i
Vandali
in
Campania
e i
Visigoti
in
Gallia,
la
cui
fiera
aristocrazia,
seppur
inizialmente
riluttante
nel
riconoscerlo
imperatore,
fu
accolta
nella
macchina
statale
dell’Impero,
risultandone
una
determinante
componente.
In
campo
amministrativo,
sfornò
una
serie
interminabile
di
provvedimenti,
molti
dei
quali
non
trovarono
mai
applicazione
pratica
per
via
dei
logorroici
percorsi
burocratici
romani.
Instituì
la
figura
del
defensor
civitatis,
una
sorta
di
magistrato
che
avrebbe
dovuto
tutelare
il
popolo
dai
soprusi
e
dirimere
le
piccole
controversie,
compito
stabilmente
in
mano
a
vescovi
e
prelati.
Proibì
alle
donne
in
età
fertile
di
prendere
i
voti,
in
quanto
era
ormai
consuetudine
che
la
maggior
parte
delle
donne
di
famiglia
si
facesse
suora
con
grave
danno
per
la
procreazione
di
una
nuova
generazione
che
potesse
risollevare
l’impero.
Emanò
una
serie
di
provvedimenti
atti
a
salvaguardare
gli
antichi
edifici,
dai
templi
alle
statue
che
oltre
ad
essere
cadute
nel
degrado
più
assoluto
erano
i
bersagli
preferiti
di
invasati
cristiani
in
cerca
di
idoli
da
distruggere.
Tutte
queste
azioni
gli
attirarono
addosso
le
ire
della
Chiesa
di
Roma
che
vedeva
sminuito
il
proprio
ruolo
in
un
momento
cruciale
nel
quale
la
stessa
iniziava
a
percorrere
i
primi
passi
verso
quel
primato
temporale
oltre
che
spirituale
che
avrebbe
ottenuto
nel
Medioevo
e di
Ricimero
che
chiuso
nella
fortezza
di
Ravenna,
eroso
dalla
rivalità
con
Marcellino,
si
mordeva
le
mani
per
quel
pazzo
imperatore
sfuggito
al
suo
controllo.
Talmente
pazzo
da
recarsi
a
Cartagine,
alla
corte
del
re
vandalo
Genserico,
travestito
da
ambasciatore
tanto
per
rendersi
conto
della
situazione
in
Africa.
Proprio
la
riconquista
dell’Africa
romana,
fu
l’ultimo
grande
sogno
di
Maggioriano;
allestita
una
flotta
di
oltre
300
navi
per
trasportare
le
sue
legioni
sulle
coste
africane,
dopo
essersi
ripreso
la
penisola
iberica
dai
Visigoti,
l’imperatore
giunse
a
Portus
Illicitanus
(Carthago
Nova),
per
vedere
la
sua
flotta
andarsene
in
fumo
in
seguito
al
tradimento
orchestrato
da
Genserico,
forse
con
l’aiuto
dello
stesso
Ricimero.
Tornando
mestamente
in
Italia,
via
terra,
poco
prima
di
giungere
in
quel
di
Tortona
licenziò
la
sua
fidata
scorta
per
essere
accolto
da
Ricimero
stesso
che
lo
decapitò
dopo
averlo
preso
prigioniero
e
torturato.
Correva
l’anno
461.
La
fine
di
un’epoca
La
morte
di
Maggioriano
segna
la
fine
dell’Impero
Romano
d’Occidente.
Gli
imperatori
a
venire
sarebbero
tornati
ad
essere
semplici
marionette
nelle
mani
dei
generali,
senza
un
barlume
di
carisma
né
ideali.
Non
si
comprende
la
ragione
per
cui
la
scorta
che
avrebbe
potuto
proteggerlo
fu
licenziata
poco
prima
di
giungere
alla
fatidica
meta.
Quello
che
invece
è
chiaro
fu
il
ruolo
di
Ricimero
nella
congiura.
Isolato
in
quel
di
Ravenna,
a
capo
di
una
forza
militare
non
utilizzata
dall’imperatore,
il
potente
generale
barbaro
aveva
raccolto
intorno
a
se,
negli
anni,
tutti
coloro
che
manifestamente
o
meno,
si
dichiaravano
scontenti
dinanzi
alla
politica
del
nuovo
imperatore;
dagli
esponenti
del
clero
che
avevano
visto
ridotti
privilegi
e
prerogative
all’aristocrazia
italica
e
senatoriale,
costretta
a
dividersi
oneri
e
onori
con
la
più
attiva
nobiltà
provinciale,
passando
persino
per
i
ceti
medi,
dagli
esattori
ai
decurioni
(una
sorta
di
consiglieri
cittadini),
sottoposti
a
controlli
e
non
più
liberi
di
delinquere
sulle
imposte
e
fino
ai
religiosi
ferventi
che
vedevano
il
seme
del
paganesimo
in
quella
passione
per
la
storia
e
per
i
monumenti
tanto
coltivata
dall’imperatore.
La
compromessa
società
romana,
era
espressione
di
un
passaggio
epocale
inarrestabile.
Dalla
caduta
dell’Impero
Romano
d’Occidente
in
poi,
il
mondo
non
sarebbe
stato
più
lo
stesso.
Gli
usi,
i
costumi,
i
valori,
le
leggende,
le
credenze,
gli
dei,
ogni
cosa
fu
abbattuta
sia
fisicamente
che
mentalmente
per
procurare
lo
spazio
vitale
alla
nuova
società
che
ne
sarebbe
scaturita:
migliore,
peggiore,
non
ha
importanza.
L’imperatore
Giulio
Valerio
Maggioriano
non
poteva
farne
parte.
Egli
apparteneva
al
mondo
degli
antichi.