N. 124 - Aprile 2018
(CLV)
Il pensiero filosofico di Giulio Canella
I PRIMI STUDI PUBBLICATI - PARTE I
di Raffaele Pisani
La
grande
notorietà
del
personaggio
non
è
legata
in
primo
luogo
alla
filosofia,
ma
al
caso
di
cronaca,
seguito
da
una
serie
di
vicissitudini
giudiziarie,
passato
alla
storia
come
la
vicenda
dello
Smemorato
di
Collegno.
Il
capitano
Giulio
Canella
era
sparito
dalla
scena
nel
1916,
a
Monastir
in
Macedonia
durante
il
primo
conflitto
mondiale,
combatteva
nella
brigata
Ivrea.
Nel
1926,
vicino
a
Torino
fu
arrestato
un
uomo
per
un
piccolo
furto,
era
in
stato
confusionale
e
non
ricordava
il
proprio
nome,
per
questo
venne
rinchiuso
in
un
istituto
psichiatrico.
Un
anno
dopo,
al
fine
di
poter
accertare
la
sua
identità,
furono
pubblicate
delle
foto
sulla
stampa
nazionale,
la
moglie
di
Canella
lo
riconobbe
e
anche
lui
pian
piano
reagì
positivamente
agli
affetti
e ai
ricordi,
riconoscendosi
come
marito
della
signora
Giulia.
Si
stava
per
ricreare
una
vita
familiare
normale,
quando
esplose
la
notizia
che
lo
smemorato
non
era
il
professor
Giulio
Canella,
nato
a
Padova
nei
primi
anni
Ottanta
dell’Ottocento
e
residente
a
Verona,
ma
il
tipografo
Mario
Bruneri
di
Torino,
di
qualche
anno
più
giovane.
Seguirono
processi,
ricorsi,
giudizi,
finché
nel
1931
la
Corte
d’appello
di
Firenze
stabilì
in
via
definitiva
che
si
trattava
di
Bruneri.
Il
sedicente
Canella
si
trasferì
in
Brasile
con
la
signora
Giulia
e i
figli,
dove
rimase
fino
alla
morte
avvenuta
nel
1941.
Se
dal
punto
di
vista
giuridico
la
faccenda
poteva
dirsi
chiusa,
ben
diverso
rimane
il
discorso
dal
punto
di
vista
umano;
i
familiari
di
Canella
continuarono
a
rivendicarne
l’identità
e
pure
in
anni
a
noi
vicini
se
ne è
discusso
ampiamente
sulla
stampa
e
anche
nella
nota
trasmissione
televisiva:
Chi
l’ha
visto?,
senza
comunque
poter
mettere
un
sigillo
con
la
parola
fine
sulla
vicenda.
Comunque
sia,
Giulio
Canella
produsse
un
certo
numero
di
scritti
di
filosofia,
nel
1909
fondò
insieme
a
padre
Agostino
Gemelli
la
Rivista
di
filosofia
neo-scolastica,
anche
se,
per
contrasti
sulla
conduzione,
se
ne
distaccò
ben
presto.
Negli
anni
Trenta
del
Novecento
con
il
nome
di
Giulio
Canella
vennero
pubblicati
degli
scritti
volti
a
difendere
l’identità
dell’autore
e
con
lo
stresso
nome
comparve
anche
un
saggio
su
Erasmo
da
Rotterdam,
steso
nel
1941
poco
prima
della
morte.
Il
dizionario
biografico
Treccani
non
annovera
quest’ultimo
scritto
fra
le
opere
di
Canella,
il
nipote
Julio,
nato
in
Brasile
nel
1947,
in
un
lungo
articolo
pubblicato
nel
2009
su
L’Arena
di
Verona,
nota
invece
la
coerenza
ideologica
e
stilistica
tra
gli
scritti
filosofici
composti
prima
dell’amnesia
e
quest’ultima
opera.
A
questo
punto
è
nostra
intenzione
rispolverare
un
po’
questi
testi,
almeno
quelli
che
riusciremo
a
reperire.
La
sua
posizione
di
cattolico
legato
alla
tradizione
lo
portò
ad
inserirsi
nel
movimento
di
rinascita
della
Scolastica,
promosso
da
Leone
XIII
con
l’enciclica
Aeterni
Patris.
Canella
cercò
nella
filosofia
medievale
scolastica
quelle
risposte
circa
l’oggettività
del
sapere
che,
a
suo
dire,
la
filosofia
moderna
da
Cartesio
in
poi
non
sarebbe
stata
più
in
grado
di
fornire.
Egli
spiega
che
il
pensiero
moderno
è
legato
all’idea
di
un
io
che
rimane
prigioniero
di
se
stesso,
per
il
quale
la
realtà
esterna
non
importa
più
di
tanto,
nel
senso
che
non
ha
rilevanza
ontologica.
Gli
esiti
estremi,
vale
a
dire,
l’idealismo
e il
sensismo,
suggellano
l’impossibilità
di
uscire
dal
fatto
psichico
per
cogliere
la
realtà
delle
cose;
il
tentativo
kantiano
di
distinzione
tra
il
fenomenico
e il
noumenico
porta
secondo
Canella
a un
nuovo
scetticismo.
La
trattazione
del
tema
degli
Universali,
teoreticamente
considerato,
e il
suo
svolgimento
storico
da
IX
al
XIV
secolo
aveva
lo
scopo
di
fornire
i
necessari
strumenti
per
affrontare
quei
problemi
filosofici
e
religiosi
che
caratterizzavano
i
primi
decenni
del
Novecento.
Già
nel
1904
aveva
trattato
di
Guglielmo
d’Occam
nella
sua
tesi
di
laurea
all’Università
di
Padova,
per
la
quale
aveva
ricevuto
parole
di
elogio
dal
professor
Roberto
Ardigò,
illustre
positivista,
che
riconobbe
magnanimamente
il
pregio
di
un
discorso
contrario
alle
sue
posizioni.
Tre
anni
dopo
pubblicò
Il
nominalismo
e
Guglielmo
d’Occam:
studio
critico
di
storia
della
filosofia
medievale
(IX
al
XIV
secolo).
È
una
trattazione
ampia
e
sistematica
nella
quale
si
esprime,
talvolta
in
prima
persona,
al
singolare
o al
plurale,e
talvolta
in
forma
impersonale,
questo
a
seconda
che
tratti
di
punti
di
vista
strettamente
propri,
condivisi
più
o
meno
ampiamente,
o di
realtà
storiche
per
quanto
possibile
universalmente
accettate.
Il
problema
degli
universali
e
quello
del
nominalismo,
pur
non
coincidendo
in
toto,
si
richiamano
l’un
l’altro
e
insieme
conviene
che
siano
trattati.
Si
chiede
l’autore:
«Ora
possiamo
veramente
ammettere
un’unità
di
dottrina
per
la
soluzione
della
controversia
[degli
universali,
n.d.r.]
che
passarono
sotto
l’epiteto
di
nominalismo
nella
storia
della
filosofia
medievale?
E
quale
fu,a
volerlo
determinare
esattamente,
il
valore
del
cosiddetto
nominalismo
presso
i
suoi
vari
propugnatori?».
Se
la
prima
questione
fa
già
intravedere
una
risposta
negativa,
la
seconda,
per
poter
essere
data,
richiede
invece
un
accurato
studio
storico.
La
trattazione
parte
dalla
Rinascenza
carolingia
per
passare
al
periodo
della
Dialettica
e
della
controversia
sugli
Universali,
accenna
appena
alla
Scolastica
del
periodo
aureo,
non
perché
non
sia
importante,
ma
per
la
ragione
che
in
quegli
anni
la
questione
degli
universali
era
praticamente
risolta
in
quello
che
si
definisce
il
realismo
moderato.
Si
dilunga
invece
sulla
decadenza
della
Scolastica,
individuando
cause
esterne
e
interne
che
ne
hanno
minato
la
struttura.
Il
pensiero
medievale
cristiano
– si
chiede
Canella
– ha
prodotto
il
nominalismo,
con
tutte
le
relative
conseguenze
negative?
L’analisi
critica
del
pensiero
di
Guglielmo
d’Occam
permette
di
poter
dare
questa
risposta.
Il
rigoroso
procedimento
gnoseologico
del
filosofo
medievale
inglese,
fedelmente
riportato
nei
suoi
tratti
principali
da
Canella,
ci
porta
ad
affermare
che
Occam,
inesorabile
verso
il
realismo
esagerato,
sia
statato
invece
molto
cauto
nella
critica
del
realismo
moderato,
con
l’intenzione
di
correggere
piuttosto
che
di
demolire.
Quindi
si
può
escludere
che
Occam
sia
nominalista,
egli
infatti
basa
la
conoscenza
umana
sul
terminus
conceptus,
che
viene
colto
tramite
l’intuizione
intellettuale
direttamente
dalle
cose
ed è
quindi
segno
naturale,
ben
distinto
dalla
parola,
che
è
invece
convenzionale.
E
più
avanti
ribadisce:
«Dunque
più
che
nominalista,
noi
dovremo
dire
Guglielmo
d’Occam
un
concettualista»,
certamente,
viene
da
aggiungere
osservando
l’insieme
della
trattazione,
un
concettualista
ben
inserito
nella
tradizione
scolastica.
Il
Nostro
non
nega
che
il
pensiero
occamistico
abbia
dato
fiato
a
quelli
che
a
lui
si
sono
riferiti
per
un
nuovo
modo
di
far
filosofia,
esaltato
da
tanti
come
deciso
progresso
del
pensiero
umano,
ma
visto
invece
come
decadenza,
confusione
e
scetticismo
da
chi
come
lui
è
ben
legato
al
pensiero
tradizionale.
La
scolastica
secondo
Canella
è
ancor
oggi
più
che
mai
strumento
di
ricerca
della
verità.
Conclude
con
una
sorta
di
incitamento:
«Ora
io
credo
appunto
che
non
sia
già
da
ricercare
una
via
d’uscita,
dopo
il
decadimento
del
positivismo,
nell’escogitare
nuovi
sistemi
più
o
meno
soggettivistici
ed
astrusi,
e
tutti
basati
sullo
stesso
male
originario:
l’agnosticismo;
ma
che
alla
rigenerazione
del
pensiero,
e
infine
anche
di
tutta
la
vita
individuale
e
sociale,
arriveremo
solo
ritornando
coraggiosamente
ad
una
filosofia
dogmatica».