N. 139 - Luglio 2019
(CLXX)
la longa manus di erdoan
a
tre
anni
dal
fallito
putsch
di
Leila
Tavi
Mentre
le
carceri
pullulano
di
persone
che
hanno
l’unica
colpa
di
voler
difendere
i
diritti
fondamentali
in
Turchia,
la
settimana
scorsa
il
presidente
Erdoğan
ha
pronunciato
un
discorso
in
pompa
magna
per
celebrare
il
triennio
dal
tentato
fallimento
del
colpo
di
Stato
del
15
luglio
2016,
evento
che
ha
portato
alle
purghe
politiche
di
un
politico
che
sembra
ormai
in
preda
alla
paranoia
di
essere
destituito
o
dall’interno
o a
causa
di
un
complotto
internazionale.
“Il
15
luglio
ha
rappresentato
un
tentativo
di
sottomettere
la
nostra
nazione
alla
schiavitù”,
ha
dichiarato
Erdoğan.
“Ma
per
quanto
non
smetteremo
mai
di
proteggere
la
nostra
libertà
e il
nostro
futuro,
coloro
che
ci
tendono
trappole
non
cesseranno
mai
i
loro
sforzi”.
Chiaramente
il
discorso
del
dittatore
tende
a
far
convergere
gli
interessi
dello
Stato
verso
i
suoi
interessi
personali,
per
il
mantenimento
del
potere
sine
die.
Dalla
seconda
metà
di
luglio
del
2016
fino
a
oggi
le
persecuzioni
giudiziarie
sono
state
la
misura
preventiva
per
indebolire
la
coscienza
sociale
del
Paese
e
mettere
il
bavaglio
a
intellettuali,
giornalisti,
pubblici
funzionari,
artisti
e
appartenenti
alle
ONG,
nonché
avvocati
e
giudici
stessi
che
non
si
sono
conformati
alle
direttive
del
regime.
Statement
for
the
press
and
answers
to
media
questions
following
Russia-Turkey
talks
-
April
8,
2019
-
Source
Kremlin
Ma
sedici
anni
di
gestione
della
Turchia
come
un
califfato
mostrano
i
segni
di
una
instabilità
economica
e
politica
che
Erdoğan
non
riesce
più
a
nascondere.
Una
prova
tangibile
del
cambiamento
in
corso
è la
vittoria
del
socialdemocratico-kemalista
Ekrem
İmamoğlu
a
sindaco
di
Istanbul.
Il
governo
turco
ha
invalidato
le
elezioni
del
31
marzo
di
questo
anno,
che
avevano
decretato
la
vittoria
del
candidato
di
opposizione
İmamoğlu,
per
ripeterle
il
23
giugno
scorso,
ma
la
consultazione
ha
confermato
il
risultato
di
marzo.
Erdoğan
ha
dovuto
ammettere
la
cocente
sconfitta
e
questo
evento
ha
destabilizzato
in
maniera
evidente
il
suo
governo.
Una
conseguenza
di
tale
destabilizzare
è
stata
un
inasprimento
delle
pene
contro
quelli
che
il
regime
addita
come
“complottisti”,
ovvero
il
tentativo
di
stringere
ancora
di
più
la
morsa
del
terrore
nei
confronti
della
società
civile.
Nello
scacchiere
internazionale
la
Turchia
ha,
nel
corso
del
tempo,
deteriorato
i
suoi
rapporti
con
Egitto,
Grecia,
Israele
e
Arabia
Saudita.
Recente
è la
crisi
con
gli
Stati
Uniti
dovuta
alla
decisione
del
governo
turco
di
acquistare
un
sistema
missilistico
terra-aria
dalla
Russia.
Inoltre
i
già
tesi
rapporti
diplomatici
con
l’UE
a
causa
dei
rifugiati
siriani,
sono
peggiorati
con
l’inizio
del
trivellamento
nel
Mediterraneo
meridionale
alla
ricerca
di
gas,
nonostante
gli
avvertimenti
di
Cipro
a
non
effettuare
operazioni
in
acque
marittime
che
considera
sue.
La
disputa
vista
da
Bruxelles
ha
portato
a
ulteriori
sanzioni
nei
confronti
della
Turchia.
Agli
alleati
occidentali
l’avvicinamento
progressivo
della
Turchia
alla
Russia
sembra
indice
di
inaffidabilità.
D’altro
canto
difficilmente
Erdoğan
riuscirà
ad
affermare
una
posizione
di
potenza
regionale
indipendente
dall’Occidente,
né
l’alleanza
con
la
Russia
è
fondata
su
basi
solide,
considerati
anche
gli
interessi
contrastanti
che
hanno
nel
conflitto
siriano.
Mentre
si
delinea
una
posizione
difficile
della
Turchia
a
livello
internazionale,
al
suo
interno
la
silente
e
pacifica
lotta
civile
va
avanti
nonostante
i
processi
farsa,
tra
cui
segnaliamo
ai
nostri
lettori
alcuni
dei
casi
più
eclatanti
accaduti
nell’ultimo
mese.
Il
primo
su
cui
vogliamo
soffermarci
è il
processo
nei
confronti
di
Çayan
Demirel,
un
regista
noto
e
pluripremiato,
ed
Ertuğrul
Mavioğlu,
un
giornalista
investigativo.
La
sesta
udienza
del
loro
processo
si è
svolta
il
18
luglio
scorso
nel
tribunale
di
Batman,
una
città
della
regione
dell’Anatolia
sud
orientale,
dove
la
seconda
corte
di
assise
ha
condannato
i
due
registi
a
quattro
anni
e
sei
mesi
di
carcere
con
l’accusa
solita
utilizzata
in
occasione
di
questi
processi
farsa:
fare
propaganda
per
un’organizzazione
terroristica.
La
pena,
fondata
sull’articolo
7/2
della
legge
n.
3713
sul
controterrorismo,
era
stata
inizialmente
di
tre
anni,
ma è
stata
successivamente
inasprita
dalla
corte,
perché
considerata
dai
giudici
propaganda
fatta
attraverso
la
diffusione
su
larga
scala
attraverso
un
prodotto
cinematografico.
La
prima
udienza
del
processo
ha
avuto
luogo
il
18
gennaio
2018
nel
tribunale
di
Çağlayan
a
Istanbul,
in
quell’occasione
un
folto
gruppo
di
registi
si è
riunito
fuori
dal
tribunale
per
protestare
contro
l’infamante
accusa
nei
confronti
dei
due
colleghi.
Il
documentario
su
cui
è
stato
basato
il
capo
di
accusa
si
intitola
Bakur
ed è
stato
realizzato
nel
2015
dalla
casa
di
produzione
Surela
Film,
fondata
nel
2008
da
Çayan
Demirel.
La
parola
bakur
significa
nord,
sia
in
curdo
che
nella
lingua
degli
zaza,
un’altra
minoranza
etnica
presente
in
Anatolia.
Il
documentario
tratta
del
lungo
conflitto
che
dura
ormai
da
quarant’anni
tra
forze
armate
turche
e il
PKK
(Partîya
Karkerén
Kurdîstan)
ed è
stato
girato
durante
i
tentativi
di
avviare
un
processo
di
pace
nel
periodo
2013-2014.
Tra
l’estate
e
l’autunno
del
2013
la
troupe
di
Bakur
ha
filmato
per
la
prima
volta
nella
storia
nei
campi
dei
guerriglieri
curdi,
intervistando
uomini
e
donne
che
hanno
aderito
al
movimento
di
rivendicazione
dei
diritti
della
minoranza
curda.
La
maggior
parte
del
materiale
è
stato
girato
nelle
regioni
montuose
nei
pressi
di
Dersim,
Amed
e
Botan,
dove
i
guerriglieri
hanno
alcune
delle
loro
basi
operative.
L’opera
è
stata
presentata
in
importanti
festival
internazionali,
come
DOK
Leipzig,
Visions
du
Réel,
Trento
Film
Festival
e
Montreal
World
Film
Festival,
ma è
stata
censurata
in
patria,
dove
avrebbe
dovuto
avere
la
prima
il 5
maggio
del
2015
all’interno
del
programma
del
34°
Film
Festival
di
Istanbul,
ma
l’İKSV,
la
Fondazione
per
la
Cultura
e le
Arti
di
Istanbul,
ha
cancellato
la
proiezione.
Il
20
luglio
scorso
il
Beyoğlu
Sineması,
uno
storico
cinema
di
Istanbul,
ha
organizzato
una
conferenza
stampa
di
solidarietà
per
i
due
registi
accusati
ingiustamente,
ma
la
polizia
ha
minacciato
il
proprietario
del
locale
di
gravi
conseguenze
se
la
conferenza
stampa
avesse
avuto
luogo,
così
i
partecipanti
sono
stati
costretti
all’ultimo
momento
a
spostarsi
nell’albergo
Taksim
Hill,
dove
è
stato
rilanciato
per
i
social
network
lo
slogan
Sinema
Yargilanamaz!
(Tenete
i
film
fuori
dal
tribunale!).
Ertuğrul
Mavioğlu
ha
dichiarato
a
proposito
di
Bakur:
“L’unica
propaganda
che
si
può
ritrovare
nel
nostro
documentario
è
quella
per
la
pace”.
Una
scena
del
documentario
Bakun
Si
tratta
del
primo
caso
di
nella
storia
recente
della
Turchia
in
cui
è
stata
intentata
una
causa
per
una
produzione
cinematografica.
Il
secondo
caso
giudiziario
di
cui
vogliamo
parlare
è
quello
che
riguarda
l’accusa
di
terrorismo
mossa
contro
Erol
Önderoğlu.
Dopo
tre
anni
di
persecuzioni,
il
rappresentante
di
RSF
(Reporters
Sans
Frontières
-
Reporters
Without
Borders)
in
Turchia
è
stato
rilasciato
in
questi
giorni
insieme
ad
altri
due
giornalisti,
anche
se a
suo
carico
pende
un’altra
accusa
e
quindi
dovrà
presentarsi
davanti
alla
corte
di
nuovo,
in
un
altro
processo
che
dovrebbe
iniziare
il 7
novembre,
per
il
suo
recente
coinvolgimento
in
una
petizione
pacifica
promossa
da
un
gruppo
di
studenti.
Qual
era
il
capo
di
accusa
da
cui
è
stato
assolto?
Una
campagna
di
solidarietà
in
cui
Erol
Önderoğlu,
insieme
ad
altri
cinquanta
personaggi
noti
con
i
quali
l’esponente
di
RSF
è
simbolicamente
alternato,
a
metà
del
2016,
come
“redattore
per
un
giorno”
del
quotidiano
curdo
di
opposizione
Özgür
Gündem,
i
cui
giornalisti
sono
stati
vittime
di
persecuzioni
giudiziarie.
Nessuna
buona
notizia
invece
sul
fronte
del
processo
del
filantropo,
attivista
dei
diritti
umani
e
mecenate
Osman
Kavala,
uno
degli
accusati
per
le
proteste
di
Gezi
del
2013.
Il
18
luglio
la
corte
ha
rigettato
con
la
maggioranza
dei
voti
la
richiesta
della
difesa
di
scarcerazione.
La
detenzione
di
Kavala
è
disumana
e
arbitraria,
senza
nessuna
prova
o
fondamento.
Questo
lungo
ed
estenuante
processo
e
l’ingiusta
carcerazione
preventiva
di
ventuno
mesi
di
Kavala
sono
esempi
di
come
il
sistema
giudiziario
in
Turchia
sia
manipolato
dal
governo
autocratico
al
potere,
che
utilizza
i
processi
come
strumento
di
intimidazione
per
scoraggiare
le
proteste
pacifiche
dei
cittadini.
Una
pagina
web
dedicata
al
movimento
#OccupyGezi,
con
un
archivio
fotografico
e
gli
aggiornamenti
su
tutti
i
processi
in
cui
sono
stati
finora
coinvolti
i
partecipanti
alla
protesta
del
2013,
è
stata
oscurata
il
22
luglio
scorso,
in
esecuzione
di
una
decisione
del
tribunale
di
Ankara
del
16
luglio.
La
personale
e
coraggiosa
sfida
di
Kavala,
un
uomo
solo
contro
un
intero
regime
per
la
tutela
dei
diritti
umani
proseguirà
l’8
e il
9
ottobre
nel
tribunale
della
prigione
di
massima
sicurezza
di
Silivri.
.
Gezi
Trial
-
July
18,
2019
-
Osman
Kavala
- ©
Zeynep
Özatalay