N. 40 - Aprile 2011
(LXXI)
giubileo d'italia
i festeggiamenti del 1911
di Benedetta Rinaldi
Tra
gli
eventi
più
rilevanti
messi
in
campo
per
celebrare
i
primi
50
anni
del
Regno
d’Italia
certamente
il
primato
è
detenuto
dalle
esposizioni
internazionali
allestite
a
Roma
e a
Torino.
In
precedenza
anche
Firenze,
in
qualità
di
ex-capitale,
ospitò
nel
1911
una
esposizione,
considerata minore
e
pertanto
poco
significativa
dal
punto
di
vista
di
un’indagine
volta
a
capire
quali siano
i
messaggi
che
l’intelligentia
italiana
vuole
mandare
alla
propria
popolazione
e
all’estero
attraverso
i
festeggiamenti
giubilari
del
1911.
L’esposizione
di
Torino
e
quella
di
Roma
sono
assai
diverse
tra
loro
a
partire
dai
temi:
in
Piemonte
l’attenzione
degli
espositori
è
dedicata
al
lavoro
e
all’industria,
primati
per
il
Nord;
Roma
vede
invece
la
propria
kermesse
concentrarsi
sull’arte,
sulla
storia
patria
e su
una
nuova
emergente
disciplina,
l’etnografia.
Torino,
capitale
del
progresso
italiano
e
snodo
cruciale
verso
la
Francia,ospita
l’Esposizione
Internazionale
dell’Industria
e
del
Lavoro,
in
cui
a
far
da
protagonista
è il
mito
del
progresso
espresso
in
particolare
dalle
diverse
applicazioni
dell’elettricità.
Va
ricordato
infatti
che
in
Italia
gli
studi
sulla
produzione
dell’energia
elettrica
erano
stati
pionieristici,
portando
in
via
Santa
Radegonda
a
Milano
il
primo
impianto
elettrico
funzionante
non
solo
in
Italia
ma
in
tutta
Europa
che
nel
1883,
data
della
sua
inaugurazione,
poteva
illuminare
tutto
il
centro
cittadino.
Del
resto,
una
nazione
notoriamente
povera
di
materie
prime
come
l’Italia
non
può
che
guardare
con
grande
favore
e
speranza
all’energia
elettrica,
alla
sua
produzione
e
alle
sue
applicazioni,
in
virtù
altresì
del
fatto
che
il
paese
è
comunque
uno
dei
più
ricchi,
in
particolare
al
nord,
di
acqua
e di
alte
cadute
indispensabili
per
la
creazione
di
centrali
idroelettriche.
Aldilà
delle
forti
motivazioni
di
natura
economica
e
pragmatica,
resta
il
fatto
che
l’elettricità
da’
luogo
a
diversi
utilizzi
davvero
fascinosi
per
il
pubblico
del
1911,
creando
giochi
di
luce
e
campi
magnetici
in
grado
di
sbalordire
il
visitatori
dell’esposizione.
Altro
fondamentale
catalizzatore
dell’esposizione
torinese
sono
certamente
gli
ultimi
modelli
di
locomotive
e di
tram
progettati
a
livello
internazionale,
sensazionali
mezzi
di
trasporto
che
di
recente
avevano
avuto
modo
di
sposare
l’elettricità
per
il
proprio
funzionamento.
Altro
tema
importante
dell’esposizione
è
poi
quello
del
lavoro
e
della
sicurezza.
La
sempre
più
forte
coscienza
operaia
porta
infatti
nella
mentalità
paternalistica
della
classe
dirigente
della
nazione
la
necessità
di
far
fronte
in
parte
alle
richieste
di
tutela
che
vengono
dai
lavoratori,
per
questo
una
sezione
della
kermesse
torinese
premia
progetti
studiati
per
sistemi
di
prevenzione
di
infortuni
sul
lavoro.
Diversamente
la
capitale,
Roma,
fa
da
palcoscenico
per
le
esposizioni
di
natura
più
“umanistica”.
Anzitutto
viene
allestito
per
il
1911
il
nucleo
centrale
di
quello
che
sarebbe
poi
diventato
il
Museo
del
Risorgimento
romano,
e
per
far
ciò
già
3
anni
prima
del
Giubileo
della
patria
viene
emessa
una
circolare
ministeriale
atta
a
raccogliere
cimeli
e
oggetti
riconducibili
ai
movimenti
risorgimentali
di
Roma
e
dell’ex
Stato
vaticano
provenienti
da
tutta
la
Penisola.
La
natura
comunque
romana
dell’esposizione,
pur
necessaria
e
certamente
non
avulsa
dalla
volontà
della
Giunta
Nathan
di
rimarcare
il
ruolo
di
nemico
svolto
dal
Vaticano
nel
processo
unitario,
non
ha
però
le
indispensabili
connotazioni
di
coinvolgimento
unitario
per
la
popolazione,
concentrando
appunto
l’attenzione
non
sulle
vicende
del
Risorgimento
italiano
ma
su
quelle
del
Risorgimento
romano.
Per
questo
motivo
diventa
di
fondamentale
importanza
che
la
capitale
ospiti
anche
una
mostra
di
carattere
collettivo,
che
possa
rappresentare
tutti
gli
Italiani
e
non
solo
una
parte
di
essi.
L’occasione
per
l’allestimento
di
una
mostra
d’effetto
viene
offerta
dalla
popolarità
di
cui
all’inizio
del
secolo
comincia
a
godere
una
nuova
disciplina,
l’etnografia,
ovvero
lo
studio
degli
usi,
costumi
e
tradizioni
delle
popolazioni.
Nulla
può
essere
più
utile
dell’etnografia
per
metter
in
luce
le
tanta
differenti
“Italie”
che
nel
1911,
come
oggi,
compongono
il
Paese,
dando
modo
a
ogni
regione
di
allestire,
all’interno
di
un’area
espositiva
creata
ad
hoc,
un
proprio
stand
in
cui
ricreare
gli
ambienti
tipici
del
proprio
territorio,
mettendo
in
scena
dei
veri
e
propri
quadri
viventi
che
coinvolgono
attivamente
parte
della
popolazione
in
costumi
locali,
attori
per
l’occasione.
Inutile
dire
che
a
Mostra
etnografica,
tra
le
diverse
esposizioni
ospitate
nella
capitale,
proprio
per
la
natura
così
folkloristica
e
pop,
è
quella
che
maggiormente
raccoglie
il
favore
dei
visitatori,
confermato
anche
dal
numero
di
ingressi
nettamente
superiore
rispetto
a
quelli
della
Mostra
internazionale
di
Arte,
a
Villa
Giulia,
o
della
Mostra
del
Risorgimento,
entrambe
certamente
rivolte
a un
pubblico
più
elitario.
La
mostra
etnografica,
di
immediata
comprensione,
permette
agli
Italiani
di
conoscere,
scoprire,
vedere
altri
Italiani.
In
modo
semplice
e
coinvolgente,
tutte
le
Regioni
hanno
simbolicamente
un
proprio
spazio
all’interno
della
capitale
e
mettono
in
mostra
la
propria
storia
indipendente
ma
parallela
e
collaterale
a
quella
dello
Stato
Unitario,
le
proprie
eccellenze
e le
proprie
tipicità.
Simbolicamente,
al
termine
dell’esposizione
etnografica,
per
volontà
dell’allora
già
citato
sindaco
di
Roma,
Ernesto
Nathan,
sarebbe
stato
posto
un
monumento
a
Dante,
nel
centro
di
un
parco
dedicato
appunto
alle
regioni
(zona
ex
Vigna
Cartoni):
il
poeta,
padre
della
lingua
unitaria,
al
centro
del
luogo
che
ha
ospitato
i
diversi
pezzi
del
mosaico,
anche
linguistico,
di
cui
l’Italia
è
fatta.
Di
fatto,
per
concludere
la
rassegna
sulle
immagini
legate
al
Giubileo
della
Patria,
si
può
osservare
come
l’italianità
si
trasmettesse
principalmente
su
due
filoni:
il
progresso
e la
tradizione.
Per
quanto
riguarda
il
primo,
di
matrice
più
internazionale
dal
momento
che
il
progresso
è
ormai
il
protagonista
indiscusso
delle
principali
e
numerose
esposizioni
internazionali
organizzate
e
ospitate
dalle
diverse
nazioni
tra
Ottocento
e
Novecento,
lo
scettro
è in
mano
a
Torino,
industrializzata
e
con
una
posizione
più
favorevole
rispetto
agli
stati
dell’Europa
continentale.
In
qualche
modo
queste
caratteristiche,
nonostante
la
volontà
degli
organizzatori
fosse
ben
altra,
fanno
sì
che
l’ex-
capitale
si
ritrovi
ad
essere
anche
il
vero
centro
propulsore
dell’immagine
che
l’Italia
vuole
trasmettere
all’esterno:
progredita,
grande
potenza,
industrializzata
e
all’avanguardia.
Suo
malgrado
Roma,
sfavorita
dalla
posizione
e
dalle
tematiche
più
simbolico-culturali
delle
proprie
esposizioni,
finisce
per
catalizzare
meno
l’attenzione
dei
visitatori
internazionali
–
spesso
industriali
interessati
appunto
all’esposizione
torinese
in
quanto
più
simile
a
quella
che
oggi
definiremmo
una
vera
e
propria
fiera
di
settore-
avendo
dunque
per
destinatari
gli
Italiani
stessi,
che
nella
loro
capitale
possono
andare
per
conoscere
la
propria
storia
e
sentirsi
uniti
pur
nelle
differenze
che
li
contraddistinguono.
La
kermesse
romana,
anche
numeri
alla
mano,
nonostante
apra
un
mese
prima
e
chiuda
un
mese
dopo
rispetto
a
quella
torinese,
ospita
poco
più
della
metà
dei
visitatori
di
Torino.
Roma
dunque
depositaria
del
messaggio
di
politica
interna,
di
quella
volontà
didascalica
che
fu
cara
al
Crispi
e
che
ancora
non
è
stata
realizzata,
quella
di
“fare
gli
Italiani”,
plasmarli,
insegnar
loro
una
catechesi
del
Regno,
indispensabile
per
la
coesione
interna
da
cui
sarebbe
dipesi
anche
i
possibili
successi
dell’Italia
nel
consesso
internazionale.
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